Saluti al centrodestra di Rimini: ecco perché il progetto Pizzolante fa male alla città

Saluti al centrodestra di Rimini: ecco perché il progetto Pizzolante fa male alla città

Dice Péguy “che ci vuole del metodo per conoscere la realtà”. Quello che è mancato a Sergio Pizzolante. Mandato in parlamento dagli elettori di centrodestra ed ora si allea con Andrea Gnassi. Si dice riformista e non vede la conservazione che ha ingessato Rimini. La sua civica è destinata a fare danni seri alla rappresentanza sociale ed economica e alla democrazia di Rimini.

Sergio Pizzolante è un politologo, più che un politico. Nel senso che gli riesce bene ragionare di politica. Forse dà il meglio di sé da questo punto di vista. Quello che dice nella bella intervista di Franco Fregni, che consente a Pizzolante di spiegare compiutamente il significato della sua civica a sostegno di Gnassi (e Rimini 2.0 ha un punto di vista, ma proprio per questo è interessato a capire davvero il punto di vista degli altri e a favorire il confronto) ne è la prova.
Le sue teorie non sono banali. Il suo ragionamento ha anche, in qualche passaggio, elementi convincenti. Ma cos’è che non torna?
Pizzolante è convinto di essere un riformista e citando Craxi aggiunge che “il riformismo è l’idea di progresso che incontra la realtà”. E’ questo che non torna. Pizzolante dice una cosa giusta ma non la mette in pratica: non si misura con la realtà di Rimini. Sembra parlare di un’altra città, sembra avere in mente un film che non è quello che vediamo tutti i giorni in questa città che si chiama Rimini, e probabilmente è normale che sia così perché l’onorevole non vive Rimini, al massimo incontra della realtà riminese quello che gli è congeniale per difendere i legittimi interessi delle categorie economiche che ha deciso di tutelare (lo dice lui stesso nell’intervista: “Per dieci anni ho lavorato per il mondo del turismo, del commercio, delle professioni. La mia coerenza è continuare a rappresentare questo mondo”). Ma gli interessi legittimi delle categorie economiche non sono la realtà di Rimini (e sarebbe anche interessante capire cosa c’entrano col riformismo che Pizzolante dice di rappresentare). Sono una porzione, purtroppo per certi aspetti anche malata, della realtà, che spesso e volentieri è preoccupata soprattutto di difendere rendite di posizione. Ora, cos’è accaduto? Che a Palazzo Garampi s’è insediato un piccolo “monarca”, che soprattutto ad alcuni vertici del mondo imprenditoriale non ha dato udienza per cinque anni, li ha tenuti fuori dalla porta e li ha trattati a muso duro. E siccome “tengono aziende” e hanno giustamente bisogno di fare breccia nel cuore del principino, hanno deciso di andare a Canossa, di stringere un patto per entrare alla corte del sindaco. E’ una aberrazione, non un progetto politico. Destinata a fare danni seri alla rappresentanza sociale ed economica ed alla democrazia di Rimini.

Dice Péguy “che ci vuole del metodo per conoscere la realtà”. Il metodo che Pizzolante ha avuto a disposizione per conoscere e cambiare la realtà di Rimini si chiama scranno in Parlamento. Ci è entrato nel 2006 con Forza Italia e quindi sono 10 anni che fa il politico di professione, come dice lui. Da Forza Italia è passato al Pdl e poi a Ncd-Area popolare, attualmente sogna un “centro muscolare” e chissà, se continuerà la carriera politica, quali altri approdi lo attendono. E’ stato mandato in Parlamento (peraltro nominato e quindi senza troppi sforzi) da un elettorato di centrodestra che lui ripaga alleandosi con Gnassi. Al governo (di nominati, in attesa di un responso elettorale) è alleato con Renzi ma il matrimonio non giustifica anche una unione di fatto a livello locale. Se non al prezzo di diventare organico al centrosinistra.
Pizzolante (ma anche Marco Lombardi e l’ex gruppo dirigente di Forza Italia) aveva il dovere di far crescere l’opposizione di centrodestra a Rimini e “attrezzarla” per diventare classe politica di governo. Invece ha prima contribuito a dividere l’opposizione (si pensi alle polemiche feroci e alle spaccature con gli ex di An e con la Lega Nord) e poi si è messo a lavorare per il centrosinistra. Troppo facile dire adesso “che non ci sono alternative a Gnassi” e, peggio ancora, fare questa affermazione come constatando l’imponderabile destino cinico e baro, perché l’alternativa avrebbero dovuto crearla Pizzolante e la classe dirigente del centrodestra.
L’impressione è che Pizzolante voglia vincere facile. Ma come dice ancora Péguy, “la fedeltà alle regole del gioco è il supremo rispetto; il primo e indispensabile e più semplice rispetto, quando si pensa per chi, e davanti a chi, si sta giocando”. E ancora: “Non si tratta di vincere, si tratta di aver combattuto bene”. Questa citazione è rivolta anche a quel mondo ciellino, alleato nella civica pro-Gnassi al progetto di Pizzolante, che Bruno Sacchini ha bastonato con eleganza. E al quale l’incitamento di Péguy dovrebbe essere assai caro e familiare: “Combattere bene tocca a noi. La vittoria non tocca a noi. Il debole che sconfigge un altro debole, o uno un po’ più debole, non ha fatto niente. Ma un grande pensiero che affronta un altro grande pensiero è una cosa che rallegra il cuore di Dio”. “Una vittoria vile non è nulla davanti a una vittoria forte”.

Ma comunque la si pensi sulla ammucchiata pro-Gnassi, su un punto credo si possano nutrire pochi dubbi: darà una mano alla conservazione dello status quo e ad ingigantire l’ego politico (già abbastanza sviluppato) di Andrea Gnassi. Il quale ha allontanato da sé (si veda anche quel che accade nel suo partito, il Pd) ogni persona che avrebbe potuto fargli ombra. Via tutte le voci critiche. Ha fatto tabula rasa. Possibile che straveda per il riformismo di Pizzolante e perché convinto che “da soli non si realizza nulla”? E’ più credibile che Gnassi abbia bisogno della stampella che Pizzolante gli ha preparato. Ecco perché chiamare il progetto Pizzolante “start up” è una bella immagine ma, ancora una volta, lontana dalla realtà che si vuole descrivere. Start up è sinonimo di giovani, intrapresa, innovazione, rischio, tutti concetti che non viene naturale associare alla nuova civica (che civica non è perché la regia è tutta interna alla politica).
Rimini ha bisogno di cambiamento ben più che di presenze turistiche. Non ha bisogno di rafforzare un potere che è già troppo forte e accentrato in poche mani, che ha impregnato ormai tutto e che ha sempre più partite aperte con la giustizia. Rimini, nonostante la propaganda dica il contrario, presenta quasi tutti gli indicatori economici più importanti in sofferenza e in cinque anni Gnassi non è stato in grado di cambiarli di segno. Ha continuato a fare l’imprenditore di eventi (anziché farlo fare al privato) che per di più fanno battere in testa il nostro turismo, che se la passa peggio anche rispetto alle altre città della costa (rileggere l’intervista ad Attilio Gardini, ancora attualissima). Gnassi, come i suoi predecessori, non valorizza per l’intera città un bene storico e archeologico come l’Anfiteatro romano per non scontentare gli amici che li sopra gestiscono una scuola. Non ha saputo trovare una soluzione allo scandalo incredibile della nuova questura. Spende montagne di soldi per foraggiare la rete del sociale (che è anche rete elettorale), non sa cosa sia la sussidiarietà vera, amministra un comune che non attrae investitori e che continua ad impoverirsi. Ma qui bisognerebbe iniziare un altro articolo. Tema: dietro alla facciata low cost di Andrea Gnassi si nasconde un comunista della prima ora.

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