Turismo, ecco perché Gnassi & Co. stanno sbagliando tutto. Parla il prof. Gardini

Turismo, ecco perché Gnassi & Co. stanno sbagliando tutto. Parla il prof. Gardini

Rimini è desiderata dall’8,8% dei turisti ma viene effettivamente scelta solo dal 2%. Il gap non si recupererà se il sindaco continuerà a puntare su notte rosa e dintorni. Fra le tante urgenze per invertire la china discendente c'è quella di una rivoluzione urbanistica che renda concretamente possibile il rinnovamento dell’industria dell’ospitalità. E il taglio dei costi diretti e indiretti della rendita politica, fra le cause della recessione turistica e del declino. Ma occorre anche fare tesoro della lezione del vescovo di Rimini sulla desertificazione spirituale della Riviera. Intervista al prof. Attilio Gardini.

“La vacanza a Rimini è desiderata da una quota molto elevata di turisti, però le presenze continuano a calare”. Il prof. Attilio Gardini (nella foto), docente di econometria dell’Alma Mater ed esperto di turismo (sono sue anche molte delle indagini sviluppate negli anni su turismo e congressuale in Riviera) mette subito il dito nella piaga. Che Rimini sia la località turistica italiana più cliccata da chi cerca una meta per le proprie vacanze non è una novità. L’hanno attestato anche motori di ricerca specifici e dai grandi numeri come Trivago.
Gardini parte proprio da qui. “Esistono potenzialità enormi che attendono solo strategie adeguate per trasformarsi in presenze, fatturato, occupazione, benessere”, spiega a Rimini 2.0. “Infatti, tutte le analisi della domanda potenziale dimostrano che le destinazioni riminesi sono tuttora in cima ai desideri di vacanza dei turisti”.

Però…
Un’indagine condotta dall’Università (Tourism destination positioning in the global tourism market, AlmaTourism Review) ha dimostrato che le destinazioni riminesi sono desiderate dall’8,8% dei turisti, ma sono effettivamente scelte solo dal 2%. Una situazione opposta si verifica per le destinazioni spagnole che nel passaggio dai desideri alle scelte effettive aumentano la loro quota dal 9,4% al 12% ospitando probabilmente proprio turisti che sognavano Rimini, ma che per i deficit di accessibilità (stradale, ferroviaria, aeroportuale e telematica), di qualità ambientale (cultura, architettura, natura, wellness, sport) e di sicurezza (security & safety) hanno preso strade diverse. L’eliminazione delle criticità può quindi avviare una fase virtuosa di crescita sostenibile, ad alto valore aggiunto in grado di generare occupazione e reddito.

Eppure, proprio commentando l’alto appeal di Rimini, il sindaco Gnassi lo sottolineò come motivo d’orgoglio. Della serie: siamo sulla strada giusta.
E qui sta l’errore. Anche il 2014 si è chiuso con il segno meno (-2,7%) nelle presenze turistiche nella Riviera di Rimini. Continua inesorabilmente la sequenza di risultati negativi in contrasto con le tendenze del mercato. Nel 2014 è infatti aumentata ulteriormente l’attività turistica non solo a livello globale (+4,7) e in Europa (+4,9%), ma anche nelle destinazioni limitrofe: le citta costiere della provincia di Ravenna hanno registrato un incremento delle presenze globali del 14,35% nel 2014, attribuibile proprio al forte aumento degli stranieri (+42%), mentre nella Riviera di Rimini le presenze degli stranieri si riducono del 3,1%.
La flessione del 2014 è peraltro l’ultima di una lunga serie iniziata molto prima dell’attuale fase recessiva. Siamo infatti passati da 16.044.480 di presenze del 2001 a 14.928.732 del 2014, con una perdita annuale di circa 1 milione di presenze rispetto ai livelli di inizio secolo.

La risposta del sistema turistico locale (inteso come classe politica e mondo delle categorie economiche) di solito è: colpa della crisi.
Devo smentire questo tipo di lettura perché contiene solo una mezza verità. Se è vero che la congiuntura economica influenza la domanda di vacanze, è anche vero che la Riviera di Rimini performa peggio delle altre destinazioni concorrenti sia nelle fasi recessive, sia in quelle di sviluppo. Esistono quindi fattori locali e regionali che penalizzano le aziende turistiche della Riviera di Rimini. Ma c’è anche dell’altro…

Dica.
La flessione del fatturato delle aziende turistiche della Riviera di Rimini è superiore alla perdita misurata dai dati delle presenze, e per tre ordini di motivi: il primo è l’emersione del nero, avvenuta nell’ultimo decennio, la quale fa si che i dati ufficiali sovrastimino l’effettivo volume delle presenze. Il secondo è l’aumento dell’instabilità sia a livello stagionale, sia a livello infrasettimanale. La stagionalità che nel secolo scorso era diminuita, è nuovamente cresciuta negli ultimi anni quando vi si è aggiunta l’instabilità derivante dal turismo dei week end e da quello degli eventi che generano un funzionamento a singhiozzo anche durante i periodi di alta stagione e pregiudicano i margini e l’efficienza della gestione. Il terzo è la dinamica dei prezzi inferiore all’inflazione.
Il valore aggiunto dell’attività turistica si è ridotto progressivamente (stagnazione presenze e contenimento prezzi) e i margini si sono contratti in misura maggiore a causa dell’aumento dei costi, dell’incremento degli oneri fiscali e degli appesantimenti burocratici, pregiudicando gli investimenti e determinando una progressiva obsolescenza delle strutture con riduzione dell’occupazione, altro indicatore che pone Rimini fra le città col più alto tasso di disoccupazione dell’Emilia Romagna.

Segno che se non “gira” il turismo la macchina dell’economia riminese batte in testa?
Esattamente. La crisi occupazionale a Rimini pesca in maniera sostanziale nella crisi del turismo. Possibile che chi di dovere non capisca l’errore strategico di posizionamento che si consuma ormai da troppi anni? Sarebbe come se la Fiat si ostinasse a voler produrre ancora la Balilla. C’è una domanda diversa sul mercato turistico mentre Rimini continua a inseguire un segmento che sta scomparendo e che è minoritario a livello di mercato.

Quello dell’effimero, degli eventi mordi e fuggi dai grandi numeri?
Si. Sono diverse le cause del processo recessivo e di declino della Riviera di Rimini, ma con qualche semplificazione possono essere ricondotte a sette macro criticità: debolezza nei segmenti esperienziali, culturali e enogastronomici; posizionamento nel segmento dello sballo, e mi riferisco ad eventi simbolo come notte rosa, molo street parade ed altri; problematiche di accessibilità fisica (stradale, ferroviaria aeroportuale) e accessibilità virtuale (reti telematiche, e-commerce, social networks e così via), per finire con le debolezze presenti a livello di qualità della ricettività, ambiente naturale e urbano e aggiungo anche errori di comunicazione.
La crisi riminese è ascrivibile soprattutto a fattori locali e a riprova di ciò è sufficiente evidenziare che nel periodo 2000-2014 la domanda diretta alle destinazioni europee è aumentata del 52,33% e nelle destinazioni del Mediterraneo ha registrato addirittura un incremento del 62,88%. I mutamenti socioculturali e l’apertura progressiva delle frontiere hanno modificato i comportamenti di vacanza: è aumentata la domanda esperienziale (cultura, architettura, enogastronomia) e la vacanza divertimento è ormai relegata a segmenti marginali del mercato, a scarso valore aggiunto. Rimini non ha saputo interpretare i cambiamenti, è rimasta fuori dalle nuove tendenze e da oltre 10 anni perde quote di mercato estero a favore di altre destinazioni costiere europee ed anche italiane, vale a dire lidi forlivesi, ravennati, veneti e destinazioni costiere delle regioni meridionali.

Quindi ci sono realtà vicine a Rimini ed anche estere che dimostrano come scelte strategiche giuste facciano la differenza.
Certamente sì. Gli aspetti che penalizzano le aziende turistiche della Riviera di Rimini non si riscontrano nelle altre destinazioni costiere, anzi la domanda turistica marina è, al contrario, caratterizzata da una progressiva riduzione della stagionalità: le destinazioni spagnole (Costa Brava e Andalusa) e francesi (Costa Azzurra) hanno stabilizzato le presenze proprio nell’ultimo decennio consentendo l’apertura annuale della maggior parte delle aziende dell’ospitalità e assicurando il regolare funzionamento delle destinazioni senza interruzioni nell’arco dell’intero anno, con effetti rilevanti sul livello di attività turistica. Se nel periodo che ho citato le presenze nella Riviera di Rimini calano, nelle altre destinazioni dell’Europa mediterranea si registrano incrementi significativi (+63%) anche nelle zone cosiddette di turismo maturo (ad esempio la Costa Brava) che in passato avevano caratteristiche analoghe alla Riviera di Rimini ma che hanno saputo riposizionarsi efficacemente nel nuovo contesto di mercato e valorizzare la crescente domanda turistica creando reddito, occupazione e sviluppo.

Se così stanno le cose il declino può non essere inevitabile.
Infatti non lo è a patto che non si sbagli la cura. Per invertire il declino e ridare al settore turistico il ruolo di attivatore dello sviluppo sociale e umano di quest’area occorrono mutamenti nel destination management, nella comunicazione e nella qualità ricettiva che facciano transitare l’offerta riminese dal turismo delle 3S (Sun, Sand, Sea) al turismo delle 3L: Landscape, Leisure e Learning. Questo processo può essere innescato da una rivoluzione urbanistica che renda concretamente possibile il rinnovamento dell’industria dell’ospitalità (dalla spiaggia alle valli interne) coniugando le esigenze di ampliamento delle aziende con la qualità dell’offerta attraverso la ricostituzione dei margini e l’azzeramento delle rendite. Le risorse disponibili nel sistema bancario locale possono consentire l’avvio del processo senza rischi, poiché le aziende saranno poi in grado di autofinanziarsi e creare valore per tutti gli stakeholders trasformando la domanda potenziale in produzione turistica, occupazione, reddito, qualità della vita e benessere.

Dalle sue parole sembra di cogliere una causa di tipo motivazionale per far scattare la molla che può fare invertire la china discendente.
In una sua lettera pastorale il vescovo di Rimini, mons. Lambiasi, identifica nello sganciamento dell’economia dall’etica la causa profonda della crisi riminese, il tunnel fatale che ci ha portati al precipizio ed individua nel superamento dell’attuale desertificazione spirituale della Riviera di Rimini e nel contenimento della dilagante avidità le strade per uscire dal tunnel. E’ un’analisi che coglie temi cruciali ed individua responsabilità reali che si annidano anche nella mala gestio della “cosa pubblica”.

A cosa fa riferimento?
L’elefantiaca classe politica riminese alimentata in una miriade di società controllate dalle pubbliche amministrazioni in cui si annida un ceto politico spesso incompetente, ma avido, genera costi diretti e indiretti per le aziende, recessione economica, aumento delle disuguaglianze sociali e declino.
I costi diretti e indiretti della rendita politica determinano un’inefficiente allocazione delle risorse, distorcono i flussi creditizi e sono una causa rilevante della recessione turistica e del declino.
Molto opportunamente il vescovo punta il dito contro la diffusione delle rendite, la crescente diseguaglianza sociale e il declino che penalizzano i ceti deboli e generano quell’aumento di povertà documentato dai “rapporti” della Caritas Diocesana.

L’assessore regionale al turismo della Regione Emilia Romagna ha aperto il cantiere che porterà alla revisione della legge 7/98. Lei cosa ne pensa?
Per prima cosa la riforma della legge 7 dovrebbe chiarire che il prodotto è una esclusiva dell’impresa, mentre il pubblico deve occuparsi esclusivamente della destinazione. Anche su questo versante andrebbe fatta molta pulizia per guadagnarne in efficacia e per non continuare a disperdere risorse pubbliche. L’occasione della riforma della legge 7 deve assolutamente evitare di trasformarsi in una operazione gattopardesca, uscendo cioè dalle logiche che da anni si dimostrano sbagliate.

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