L’analisi del prof. Gardini sul turismo coglie nel segno

L’analisi del prof. Gardini sul turismo coglie nel segno

Con la solita finezza d’analisi, il professor Gardini propone di sostituire le tre “S” su cui s’è retto finora il turismo locale (“sun, sand and sea”)

Con la solita finezza d’analisi, il professor Gardini propone di sostituire le tre “S” su cui s’è retto finora il turismo locale (“sun, sand and sea”) con tre “L” fortemente innovative: “landscape, leisure and learning”.
Perché oggi il turista, dice Gardini, vuole prima di tutto vivere un’esperienza.
Si tratta d’un affondo che sembra confermare tesi e analisi che questa rubrica sviluppa da tempo.
Ma vediamo più da vicino.
Per quanto riguarda il paesaggio, si tratta d’una risorsa che non può non implicare un entroterra fatto di borghi medioevali, castelli, skyline collinare e percorsi enogastronomici connessi a quella dimensione culturale, non naturalista, da sempre intrinseca al turismo Romagnolo.
Come confermato da recenti acquisizioni critiche che fanno dello sfondo paesaggistico della Gioconda (vedi anche alla voce Piero della Francesca) il riconoscibilissimo profilo d’un Montefeltro subito a ridosso del divertimentificio locale.
Cosa che ha già cominciato a muovere qualche flusso turistico, soprattutto dall’area anglosassone.
In linea con un appeal della riviera di tipo sì culturale, ma nel senso antropologico della parola, non accademico o museale, bensì consistente in quel calore umano, quel senso dell’ospitalità, quella capacità d’accoglienza tipica del temperamento locale.
Per quanto riguarda poi il leasure (nel senso di tempo libero, svago, ricreazione), la cosa sembra ottimamente accordarsi con la nozione di “Divertimentificio”.
Inteso non come trasgressificio e sballo organizzato, ma come fruizione di quelle risorse naturali e culturali in grado di “ricreare” la persona.
E qui, da Mantegazza e Murri fino alle colonie d’epoca Fascista e all’odierna riscoperta d’un fitness opposto a derive chimiche e alcoliste, ci siamo.
Più criptica appare l’ultima evocazione, quella d’un learning, d’una possibilità d’apprendimento, apparentemente inconciliabile con una dimensione vacanziera agli antipodi rispetto all’input didattico.
A meno che non si interpreti il “turismo culturale” come quella capacità d’accoglienza e romagnolissima cordialità umana (vedi sopra) tipiche della nostra offerta turistica.
Offerta intesa nel significato di “prendersi cura”, “affaccendarsi attorno a”, “attendere a”.
A cosa?
A un umano da rigenerare con prospettive non tayloristiche e industriali, bensì squisitamente artigianali.
Artigianato in cui consiste, non a caso, l’altra caratteristica storica dell’antropologia Romagnola: vedi lo smanettamento atavico, dalle nostre parti, attorno a “e mudòr”.
Sarebbe bello potersi confrontare su questi temi con un livello politico chiuso, invece, in una autoreferenzialità impermeabile a tutto.
Come confermato dall’errore commesso dalle giunte Riminesi degli ultimi vent’anni di voler privilegiare il fieristico-congressuale a scapito del balneare.
Con un gigantismo industriale (Fiera e Palas) che sta affondando la città nei debiti, a scapito d’un “piccolo è bello” su cui si sono sempre costruite le nostre fortune “artigianali”.
Errore di prospettiva che stiamo pagando in maniera drammatica.

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