La campagna elettorale del governatore uscente della Regione Emilia Romagna è tutta caratterizzata dal tentativo di oscurare il Pd e la sinistra. Bandito il rosso, sui manifesti è un trionfo di "verde Lega" dei tempi andati. Ha ribattezzato Metrocosta il Metromare, che però copre meno di 10 chilometri mentre la costa ne misura oltre 100.
Emilia Romagna regione rossa? L’ultima roccaforte del Pd? Ma quando mai. Nemmeno Stefano Bonaccini ci crede. Mentre i “valori” della sinistra tornano nelle piazze con le sardine cartonate, il governatore uscente fa di tutto per nascondere l’identità della Stalingrado d’Italia. La sua campagna elettorale è all’insegna del verde, ha bandito il rosso e il simbolo del partito di cui è figlio e per il quale è stato eletto, governando per cinque anni la regione.
La sua carriera politica è tutta all’ombra degli eredi del Pci, sin da quando muove i primi passi negli anni 90. E’ segretario provinciale della Sinistra giovanile, poi segretario del PDS della città di Modena, quindi assessore nello stesso Comune, nel 2007 segretario provinciale del PD modenese fino alla carica di segretario del Partito Democratico in Emilia-Romagna (“mozione Bersani”), e nel 2013 responsabile nazionale enti locali nella segreteria nazionale del Pd.
L’hashtag di Bonaccini è #SiamoEmiliaRomagna, ma sbianchettata dei tratti distintivi che caratterizzano le politiche del Pci-Pds-Ds-Pd in questo territorio. Trasformata in qualcosa che nella realtà non esiste. Sa bene che tira una brutta aria per il suo partito e cerca in ogni modo di mimetizzarlo. Ma è una mimetizzazione fasulla. Elettorale. Una operazione di marketing scaltra ma bugiarda.
Nei suoi manifesti elettorali regna il “verde Lega” dei tempi andati. Perché proprio questo colore? «Un verde sostenibile, per l’ambiente», ha risposto lui, come se la difesa dell’ambiente fosse la cifra delle politiche regionali. Quindi, da un lato pubblica post zuccherosi sulle sardine, dall’altro pare vergognarsi di rappresentare la sinistra.
Le spara grosse. Per accreditare il Trc come quell’opera faraonica che in effetti non è, gli ha persino cambiato nome: Metrocosta. Esternando così una idea di costa che non va dai lidi di Comacchio a Cattolica (più di 100 chilometri), come ripete ogni anno in occasione della Notte Rosa, ma che si restringe a meno di 10 chilometri. E anche se si dovessero aggiungere (in quali tempi?) il tratto verso la Fiera e quello verso Cattolica, come spiega lui, che costa sarebbe? “Oggi a Rimini abbiamo inaugurato il TRCMetrocosta”, ha scritto sulla sua pagina Facebook il 23 novembre. “Un’altra importante opera sbloccata dopo anni e anni di attesa”. Come se la lunga attesa (quando se ne iniziò a parlare in Regione c’era ancora il presidente Enrico Boselli, poi è stato il turno di Bersani, La Forgia, Errani e Bonaccini) fosse colpa di altri e non delle amministrazioni del suo stesso colore politico.
La metropolitana di costa è l’appellativo cucito addosso al progetto originario del Trc, che immaginava di unire la costa, ma nel frattempo di acqua ne è passata sotto ai ponti e l’infrastruttura si è riconvertita in bus e non è nemmeno stata inaugurata con la trazione elettrica.
COMMENTI