Carim, dal ritorno “in bonis” ai titoli di coda

Carim, dal ritorno “in bonis” ai titoli di coda

Dalle speranze del 2012 al passaggio della cassaforte di Rimini in altre mani.

Appena cinque anni fa la banca tornava ai riminesi dopo un commissariamento di due anni. Che ci credettero e iniettarono quasi 120 milioni di euro. Solo cinque anni fa un'azione valeva 5,35 euro. E adesso, fra gli azionisti, c'è chi studia le carte (con l'aiuto di professionisti), perché non accetta di cantare "svalutation".

Chi segue le vicende di banca Carim ricorderà una data importante. E’ quella del 27 settembre 2012.
La banca ritornava ai riminesi (questa l’espressione usata da tanti in quella giornata, come vedremo) dopo un commissariamento di due anni. Il peggio sembrava alle spalle. Invece l’Apocalisse doveva ancora verificarsi. In queste settimane – in una città che sembra inconsapevole di quel che si prepara – Rimini si sta per spogliare del suo importante salvadanaio, cioè della istituzione finanziaria principe, che passerà in altre mani. Come è potuto accadere? E rispetto a tutte le risorse investite per mantenere in mani riminiesi la banca, cosa resterà agli azionisti? Stando a quel che si conosce oggi, un tozzo di pane.
Andiamo indietro di quasi cinque anni. Il tavolo della presidenza è occupato dal commissario Piernicola Carollo e dal comitato di sorveglianza. Il tutto si svolge al Palacongressi nel pomeriggio, appunto, del 27 settembre 2012.

Fra i soci che prendono la parola c’è chi si stupisce del commissariamento, giudicandolo “esagerato e inopportuno”. Chi ritiene che la lunga permanenza in città degli ispettori sia il frutto della conflittualità all’interno della Fondazione Carim e che la “curiosità” – così si afferma – “della Banca d’Italia o del Ministero dell’Economia di conoscere i dati dei correntisti sammarinesi ha giocato un ruolo fondamentale nella decisione assunta”. Un altro è ancora più esplicito: “La nostra Banca si è trovata, nel contesto dei noti contrasti fra Italia e San Marino, al centro di un bombardamento a tappeto intorno alla Repubblica, voluto dall’allora Ministro Tremonti allo scopo di demolire quella specie di membrana osmotica che la circondava. Tutti i bombardamenti a tappeto, come noto, colpiscono anche gli innocenti, e la nostra Banca, più vicina e più importante delle altre banche locali, è stata, a mio avviso, una delle vittime”. Gli amministratori destituiti si sentono calciatori “espulsi dal campo”, vittime “di rigori inesistenti” fischiati “per normali falli compiuti molto lontano dall’area di rigore”. Ma l’arbitro ha sempre ragione. Carim, dice chi prende la parola in quell’assemblea (che riconsegna la banca ai riminesi, ricordatevelo) è una banca che “si è trovata nel posto sbagliato nel momento sbagliato: infatti al momento del commissariamento non aveva una situazione dissimile da quella delle consorelle …”.

Un socio, che si presenta come ex dipendente e piccolo azionista, che ha comprato le azioni Carim “per amore verso la sua banca”, si chiede “se l’esperienza in materia di diritto fallimentare del nuovo eleggendo Presidente Dott. Bonfatti Sido, non sia presagio di un futuro poco favorevole per la Banca e si domanda altresì, scusandosi per l’osservazione un po’ spiritosa, sui motivi per cui non sia stato possibile trovare un Presidente riminese”.
Fa saltare sulla sedia, anche se lo stile è quello distaccato e notarile del resoconto, leggere oggi il verbale della assemblea di banca Carim appena uscita dal commissariamento.
Il lamento è forte e prolungato. Vi è la percezione di riprendersi una banca “ferita”, ma anche il bisogno di guardare avanti all’insegna dell’ottimismo. Prevale la convinzione che il commissariamento “ci riconsegna oggi una banca finanziariamente sana dopo una cura di potenti antibiotici e i futuri amministratori e dirigenti potranno riconquistare la clientela che si è allontanata e riaffermare una posizione di primato fra le banche locali”. Tutti vedono il bicchiere mezzo pieno perché si è “riusciti a mantenere il controllo di banca Carim all’interno del territorio di riferimento”. Orgoglioso è anche il presidente della Fondazione Carim, Massimo Pasquinelli, che declama: “Per questo motivo, la Fondazione si è impegnata fortemente – anche investendo una somma di 23 milioni di euro – nel sostenere e stimolare la partecipazione all’aumento di capitale della scorsa primavera e nel creare le condizioni più opportune per favorire il ritorno in bonis di Banca Carim”. E poi: “Oggi prendiamo atto con soddisfazione che l’obiettivo dell’autonomia è stato raggiunto e che la Cassa di Risparmio può finalmente riprendere il proprio corso. Ora toccherà al nuovo Consiglio di Amministrazione, quale emergerà dall’Assemblea di oggi, prendere in mano le redini della banca con perizia e decisione”. Linda Gemmani sale al microfono e dice: “Oggi è un giorno molto importante per Rimini e per la sua Provincia…. Torna in mano agli azionisti la Carim”. E per un curioso gioco del destino scappa di mano agli azionisti quando è lei presidente della Fondazione. Ringrazia tutti, i soci vecchi e nuovi, ringrazia la Fondazione per il sacrificio economico assunto e “per l’opera svolta nel sensibilizzare il sistema economico sull’importanza del traguardo di mantenere sul territorio il controllo della Banca”.

E’ una soddisfazione durata poco. A cinque anni di distanza e a 25 anni dalla prima importante “ristrutturazione bancaria” della Cassa di Risparmio di Rimini (1992), che conferì l’attività bancaria in una nuova società – Cassa di Risparmio di Rimini spa-Carim – e mutò la propria denominazione in Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, cambia totalmente la scena del mondo… Di questo mondo bancario, che dagli anni 90 cresce, cresce e ancora cresce, fino ad ampliarsi e ramificarsi nei primi anni 2000 acquisendo 27 sportelli da Capitalia e innervandosi come una radice in cerca di acqua in sei regioni: Emilia Romagna, ovviamente, ma anche Marche, Abruzzo, Molise, Umbria e Lazio. I sogni di grandezza continuano e nel 2005 acquista anche (da Antonveneta) il Credito Industriale Sammarinese, la storica banca del Titano che tanto peso avrà nel ciclone che si è abbattuto su Carim. I nuvoloni si addensano sulla cassaforte di Rimini nel 2010.

Banca d’Italia sottopone Carim ad accertamenti ispettivi, dal 3 febbraio 2010 al 24 giugno 2010. L’esito di questa trasferta degli uomini di Palazzo Koch, fa decidere il ministro dell’Economia e delle Finanze (nel settembre di quello stesso anno), su proposta di Bankitalia, a disporre lo scioglimento degli organi che amministrano e controllano la banca, nominando due commissari e tre componenti del comitato di sorveglianza, che si insediano il 4 ottobre 2010 assumendo l’amministrazione e la gestione della banca. Comincia l’interminabile amministrazione straordinaria, che muove i suoi passi a partire da una fotografia impietosa scattata dagli ispettori: gravi irregolarità nell’amministrazione (che fanno riferimento soprattutto ad altrettanto gravi inadempienze nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento del gruppo bancario, con particolare riferimento alla controllata CIS), violazioni normative e gravi perdite patrimoniali. Fra l’altro emerge “un eccessivo sbilanciamento sugli impieghi a medio e lungo termine, in particolare verso i settori immobiliare e alberghiero, nonchè una elevata concentrazione su singoli nominativi o su gruppi di nominativi tra loro collegati”. Carim viene rivoltata come un calzino. Fra l’altro: sostituita la società di revisione, risolto il rapporto di lavoro con cinque dirigenti, ridefinita la governance, diminuite le filiali e i dipendenti, e tanto altro.

E’ una storia più volte raccontata, approdata anche nelle aule di giustizia e che ha comportato anche l’irrogazione di sanzioni amministrative ai vertici e al management di Carim. Ma in quel settembre del 2012 i riminesi, e con essi i nuovi amministratori, raccolgono dalle mani dei commissari una banca “ripulita” e con un nuovo piano industriale, approvato il 23 agosto 2011 e tarato su cinque anni, fino al 2015. Bankitalia lascia alla banca le chiavi di una macchina appena uscita dall’officina e pronta a correre. L’automobile ha in dotazione un libretto delle istruzioni: la banca dovrà “assicurare il mantenimento e il miglioramento dei livelli di patrimonializzazione raggiunti”. “Spetterà ai nuovi Amministratori e alla Direzione aziendale fare in modo che la Banca accompagni le esigenze produttive degli operatori economici e sostenga le necessità delle famiglie, sempre prestando la massima attenzione alla trasparenza e correttezza nei rapporti, evitando il ripetersi di errori del passato e assicurando sempre adeguata protezione al risparmio delle comunità ove la Banca opera”.
Per guidare l’automobile ed evitare che grippi ancora, Bankitalia sceglie anche i piloti. Il cda dovrà essere formato da “professionalità in grado di proseguire e consolidare l’opera di rafforzamento della Banca sul piano organizzativo e gestionale avviato dalla procedura”. E infatti s’insediano i professori. Dirà Giovanni Ossola, presidente del Comitato di Sorveglianza, in assemblea, che “sono state poste le condizioni per il mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario della futura gestione ordinaria della Banca, a condizione ovviamente che vengano rispettate le regole di sana e prudente gestione”. E che “la permanenza nel tempo delle condizioni di autonoma capacità di sopravvivenza della Banca, basate sulla corretta gestione del processo di acquisizione dei depositi e di erogazione del credito, trova il fondamento nell’adeguatezza della struttura organizzativa e in quella dei controlli, che dovranno essere atte a sostenere le complesse attività collegate allo svolgimento dell’attività creditizia”. Darà precisa indicazione ad esaminare “eventuali possibilità di aggregazione con altre entità analoghe al fine di diversificare i rischi settoriali e dell’area geografica di attuale operatività”. Dirà un’altra cosa assai importante: “Le azioni già completate o intraprese, con l’immissione di nuove risorse finanziarie e la modifica degli assetti organizzativi e di controllo, in mancanza di una chiara visione strategica e di adeguate capacità manageriali, non potranno da sole assicurare, nel medio-lungo termine, autonoma capacità di sopravvivenza alla banca, stante la crescente complessità dei mercati, l’aumento della concorrenza da parte di altre banche, locali e nazionali, l’evoluzione dei sistemi di risk management e dei sistemi informatici e infine la complessità dei sistemi di sicurezza e controllo. Tale importante compito non può essere svolto dalla procedura di amministrazione straordinaria, di per sé orientata a obiettivi di breve termine legati all’eliminazione delle anomalie riscontrate in sede ispettiva, ma rappresenta la sfida che dovrà essere affrontata e vinta dal nuovo management della banca”. Che ne è stato di questa sfida?

La banca viene ripatrimonializzata, con un aumento di capitale superiore ai 118 milioni di euro. E’ il prospetto informativo a mettere nero su bianco questa delicata fase di Carim. Anche questo, letto oggi, fa masticare amaro. “L’Offerta ha ad oggetto massime n. 22.119.608 Azioni del valore nominale unitario di Euro 5,00 (cinque) cadauna. Il Prezzo di Offerta per ciascuna Azione è stato determinato in un ammontare pari ad Euro 5,35, di cui Euro 0,35 a titolo di sovrapprezzo. Il controvalore totale dell’Offerta è pertanto di massimi Euro 118.339.902,80, di cui massimi Euro 110.598.040,00 a titolo di valore nominale e massimi Euro 7.741.862,80 a titolo di sovrapprezzo”. Solo cinque anni fa una azione di banca Carim valeva 5,35 euro.
Nella conferenza stampa dello scorso marzo, Carim ha cominciato a fare circolare il famoso “valore equo” di 1 euro per azione. Motivandolo così: “La mancanza di un mercato attivo per gli scambi del titolo e la conseguente impossibilità di individuare dei prezzi “di transazione” ha indotto l’esperto indipendente incaricato di tale valutazione a ritenere non opportuna l’adozione del criterio del patrimonio netto tangibile (che, in conseguenza dell’azzeramento dei valori di avviamento derivanti dagli acquisti del passato di Filiali di altre banche, restituisce, rapportato al numero delle azioni, un valore pari a 3,34 euro per azione), in favore invece dell’adozione di metodologie valutative che tengono conto dei multipli dei titoli bancari quotati, nonché della attuale illiquidità del titolo Carim (con il risultato di una significativa riduzione del valore teorico dell’azione stimata al “fair value” – “valore equo” – all’importo di 1,00 euro)”. Valore teorico, teoricissimo. La Cassa di Risparmio di Cesena, quando il Fondo Interbancario di tutela dei depositi è intervenuto per l’aumento di capitale (280 milioni di euro), ha salvato la banca ma il valore delle azioni precipitarono a 50 centesimi. Come dire zero. E per questo motivo oltre 600 azionisti chiedono adesso di essere risarciti.

A Rimini si sta preparando il “salvataggio” della banca: con poco Cariparma dovrebbe prendersi una banca mantenuta negli ultimi anni in vita da enormi “iniezioni” di denaro uscito da questo territorio, sia della Fondazione che dei privati. Che ora si trovano il valore delle azioni ridotto ai minimi termini. Tutto bene? In questi giorni ci sono azionisti, più o meno importanti, che scalpitano e che non sono per niente disponibili a cantare la canzonetta di Adriano Celentano, Svalutation. Per cui si sono rivolti a professionisti per chiedere di tutelare il loro investimento in azioni, quasi azzerato. Vedremo. La sensazione è che tante ancora se ne dovranno vedere su Carim.

Per la cronaca, al socio che in assemblea fece la battuta sulla competenza in diritto fallimentare del presidente che poi si insediò all’inizio di ottobre 2012 in piazza Ferrari, rispose il commissario straordinario, e disse che la candidatura del Dott. Sido Bonfatti a Presidente della Banca non era stata proposta da lui, ma, aggiunse, “sento il dovere di evidenziare l’ampia esperienza bancaria e scientifica, oltre che la sua provenienza dalla stessa regione di prevalente insediamento della Banca”. Siamo però al tramonto anche dell’era dei professori in Carim.
Rimini si sta facendo spogliare del suo unico importante salvadanaio, di quella istituzione finanziaria che ne ha permesso la crescita. Non ci sono solo errori e una profonda crisi economica nella quale il territorio è avviluppato all’origine di tutto ciò. C’è anche una comunità che ha smarrito la bussola, in termini culturali prima che economici, che non sa darsi e perseguire un progetto di crescita e che continua a poggiare su una monoeconomia debole. Che però negli ultimi anni si sta illudendo che i “fuochi d’artificio” che vengono sparati su Rimini da uno che i botti li sa fare, possano essere la soluzione.

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