Botta e risposta con il vescovo di Rimini. La misericordia non deve essere buonismo.
Caro Vescovo Lambiasi,
l’altro potrà essere anche un dono, ma deve rispettare le regole come tutti. Altrimenti la misericordia scade nel buonismo più becero e del messaggio cristiano non ne rimane traccia, ma resta solo un’opaca e falsa imitazione. Lei ha puntato il dito contro le manifestazioni di protesta dei cittadini in riferimento allo smantellamento del “Campo Nomadi” di via Islanda, a Rimini. Ha denunciato un atteggiamento “non umano e non cristiano”, a suo dire “oggettivamente” discriminatorio, basato su pregiudizi secolari, paure paralizzanti e velenose diffidenze. Innanzitutto, Vescovo Lambiasi, ci tengo a ricordarle che i cittadini non hanno protestato contro l’auspicabile chiusura del Campo Nomadi, ma perché il Comune vorrebbe regalare a questi nomadi dalle 7 alle 11 micro aree in tutto il territorio riminese con un trattamento radicalmente assistenzialista e preferenziale nei confronti di costoro, con una spesa che probabilmente si avvicina a un milione di euro. Francamente, le sue, mi sembrano parole estranee alla realtà dei fatti di tutti i giorni. Parlo di quella vissuta dai cittadini che manifestano legittimamente un forte disagio. Disagio che forse lei non ha propriamente colto fino in fondo. Non ci sono affatto pregiudizi, si tratta di un post-giudizio. Un giudizio maturato nel tempo, una constatazione difficilmente opinabile a proposito di uno stile di vita, quello dei nomadi, che non ha mai cercato alcuna integrazione, anzi ne è sempre stato comodamente alla larga. Non ci siamo imbattuti in una novità ancora da valutare in modo adeguato, ma è una situazione ben nota che persiste da tanti anni. Credo che un principio dovrebbe essere ormai chiaro a tutti: negando il problema non si troverà mai la soluzione. Non possiamo chiudere gli occhi davanti al degrado, alla criminalità e al lassismo dimostrato da certe amministrazioni comunali. Qual è la nostra testimonianza dinnanzi a tutto ciò? Dire: “i cittadini sbagliano”, è la risposta peggiore che si possa dare, una non-risposta lontana che banalizza un malessere diffuso, non affronta di petto la situazione e che in realtà non intende nemmeno risolverla. Mi consenta, Vescovo Lambiasi, ma io penso che dobbiamo finirla con una certa retorica insopportabile e molto in voga negli ultimi tempi. Quando lei afferma: “Diciamo basta ai muri, recinti e steccati. Si a ponti, legami e a buone relazioni” non rischia di ridurre una problematica enorme ad uno slogan che si presta a facile banalizzazione? Ha mai pensato, invece, ad un ponte levatoio? No, non sono sarcastico, perché dietro questo termine si nasconde un concetto ben preciso nutrito dal buon senso, oggi fuori moda. Il ponte levatoio era un ponte mobile utilizzato come sistema di difesa nei castelli a partire dal Medioevo. Veniva sollevato o abbassato a seconda delle necessità, per superare il fossato o per evitare entrate indesiderate. Si trasformava in un ponte e talvolta in un muro. Quest’ultimo non andrebbe demonizzato come se fosse una parolaccia. Che possa piacere o meno, le regole sono un muro, un argine giusto di cui non si può fare a meno. Una società esiste solo grazie a delle regole. Uno Stato esiste solo grazie a dei confini. Dobbiamo essere realisti, senza regole e confini non ci sarebbero legami e buone relazioni, ma si vivrebbe nell’anarchia totale. La misericordia è sempre accompagnata dalla giustizia, se ci dimentichiamo questo fondamento crolla tutto il castello. Aiutati che Dio t’aiuta, diceva un vecchio proverbio che in questo caso calza a pennello. Discernere significa anche mettere i puntini sulle i.
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