In Cattedrale il 15 ottobre il concerto di San Gaudenzo all’insegna di Mozart

In Cattedrale il 15 ottobre il concerto di San Gaudenzo all’insegna di Mozart

Sul palco ci saranno circa un centinaio tra strumentisti dell’orchestra sinfonica dell’istituto musicale Lettimi e coristi del coro della Cappella Malatestiana, a cui si affiancano i solisti, la soprano Isabella Orazietti, la contralto Sara Rocchi, il tenore Marco Mustaro e il basso Lee Shuxin, tutti diretti dal maestro Filippo Maria Caramazza.

Il decennale dell’arrivo in diocesi del vescovo Francesco Lambiasi coincide quest’anno col decennale del concerto di San Gaudenzo. Un appuntamento a cura del coro della Cappella Musicale Malatestiana che da dieci anni appunto segna la solennità delle celebrazioni del patrono della diocesi nel segno della fede e della bellezza.
Il concerto sarà domenica 15 ottobre alle ore 21 nella Basilica Cattedrale (dove alle 18 del 14 ottobre è in programma la messa solenne presieduta dal vescovo). Sul palco ci saranno circa un centinaio tra strumentisti dell’orchestra sinfonica dell’istituto musicale Lettimi e coristi del coro della Cappella Malatestiana, a cui si affiancano i solisti, la soprano Isabella Orazietti, la contralto Sara Rocchi, il tenore Marco Mustaro e il basso Lee Shuxin, tutti diretti dal maestro Filippo Maria Caramazza. Anche quest’anno il programma attinge a quel pozzo di genialità che è Mozart: verranno eseguite infatti la sinfonia in do maggiore KV 425, conosciuta come la sinfonia di Linz dal nome della città austriaca, e la Messa dell’Incoronazione. Una messa composta da Mozart per l’incoronazione dell’immagine di Maria, che è nella chiesa di Maria Plain, sulle colline sopra Salisburgo.
Mozart nacque in una famiglia di musicisti a Salisburgo il 27 gennaio 1756 e il padre gli insegnò la musica prima ancora che a leggere e scrivere, tuttavia Wolfgang Amadeus non obbedì al padre che lo immaginava alle dipendenze dell’arcivescovo di Salisburgo. Un ‘posto fisso’ che, seppure non l’avrebbe reso ricco, certamente gli avrebbe permesso di campare benino, pur nella briglia con la quale avrebbe dovuto legare la propria creatività. Mozart comunque rifiuta l’invito del padre di tornare a Salisburgo e resta a Vienna. Così scrive in una lettera al genitore: “Vi assicuro che questo posto è eccellente, è il migliore al mondo per il mio mestiere”. Traversie e ricerca di lavoro segnano la vita di Mozart fino all’ultimo. Anche così però la sua pur breve vita non offre per nulla l’impressione di essere vana e incompiuta. Morì due mesi prima di compiere 38 anni a Vienna mentre stava lavorando al suo famosissimo Requiem.
Quando Mozart compose la Messa dell’Incoronazione aveva 23 anni, in pratica il suo contributo alla tradizione popolare di partecipazione alla festa dell’Incoronazione della Vergine. Una messa che, al pari del Requiem, esprime la grande fede e umanità dell’autore. All’inizio, nel Kyrie, il coro viene subito coinvolto con un grido che sarà ripetuto tre volte. Quasi ad assecondare e sottolineare la richiesta di perdono dell’uomo a Dio. Quel “Signore, abbi pietà di me” è un’invocazione drammatica e umanissima che esprime dolore e richiesta di misericordia per la dimenticanza di chi emargina il Creatore dalla propria vita, dimenticanza che è il primo e fondamentale peccato dell’uomo, di tutti noi.
Nel Gloria, come dice il direttore Filippo Caramazza “c’è un cambio di scena e l’atmosfera muta radicalmente, l’attenzione si sposta dallo sguardo rivolto verso l’uomo ferito, alla grandezza divina: il grido diventa invocazione e coro festoso che esprime la potenza divina e che sfocia nella ‘pax hominibus bonae voluntatis’. Per l’uomo singolo e per l’umanità intera è drammatico e spaventoso trovarsi nudo e impotente davanti al giudizio divino, perciò la richiesta di misericordia viene rivolta a ‘Colui che toglie i peccati del mondo’. L’impossibile diventa possibile. La certezza del perdono – prosegue il maestro Caramazza – cambia anche la partitura musicale e le voci corali non tacciono più e s’introducono nel gesto che inizialmente era solo strumentale e intonano il “Tu solus, solus sanctus” affermando che la Misericordia ha un nome: Gesù Cristo”.
Col Credo l’intervento della misericordia di Dio che si fa storia diventa una certezza e il “Credo in unum Deum” viene cantato con lo stesso ritmo e su un’unica nota, il do. Musicalmente si sottolinea che la fede non può fondarsi su qualcosa che vacilla ma sulla stabilità. Tutto si avvia impetuosamente verso il più grande evento della storia, la partecipazione di Dio alla pochezza e fragilità della nostra umanità, “et incarnatus est”. Ancora Caramazza: “Mozart cambia il tempo che diventa ‘Adagio’, la tonalità è quella del fa minore, l’orchestra e il coro tacciono per fare spazio ad un silenzio insondabile di fronte al Dio che si fa carne ed entra nella storia dell’uomo. E il soprano canta “et homo, homo factus est”. Quella ripetizione di ‘homo’ è bellissima perché rende presente, anche a chi ascolta, la contemplazione del bambino nella braccia della madre, quasi che Maria dicesse: Ora sei veramente qui, ci sei”. In un attimo, sottolineato da una brevissima pausa, si passa al potentissimo e straziante ‘Crucifixus’ (fu crocifisso), ‘passus’ (morì) e al ‘sepultus’ (fu sepolto), che il coro incredulo e stremato, sottovoce e pianissimo canta sillabando, quasi singhiozzasse. Ma in un battibaleno, similmente al passaggio precedente, l’est conclusivo e terrigno del sepultus trascina nell’esplosione vittoriosa del ‘Resurrexit’, con un effetto musicale di contrasto che suona ancor più festoso e certo. Una certezza che Mozart esprime fino alla fine con le 16 battute dedicate all’Amen che non concludono, perché infatti a sorpresa, prima dei due brevi amen finali, Mozart ripete il ‘Credo in unum Deum’.
Il Sactus è in un certo senso la musica che supera se stessa, facendo splendere un inno di lode della terra al cielo cantato non dagli uomini ma dagli angeli. Dice Caramazza: “Il coro liberamente è sostenuto dal suono caldo dei tromboni e dagli archi ricchi di trilli gioiosi e dalla tromba che svetta marcata dai colpi di timpani. Segue l’esplosione dell’Hosanna incontenibile e articolato in due sezioni: non c’è più distanza tra cielo e terra, in Cristo diventano un’unica cosa”.
L’Agnus Dei viene introdotto dai solisti, quasi a sottolineare che si passa dal coro degli angeli ad un rapporto personale con Dio. Il coro interviene solo nella richiesta pressante finale del ‘Dona nobis pacem’, una sorta di compimento nel quale i solisti trascinano nel canto tutti i coristi e con loro tutta l’umanità”.

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