"Abbiamo il dovere di rivedere le attuali regole, quelle precovid19, riscriverle in modo che la tutela del territorio, dell’ambiente, del patrimonio storico ed artistico vada di pari passo con le attività economiche anche perché le stesse diventano sempre un presidio di legalità. E non si realizzi, come successo fino ad ora, solo con i divieti". Una lettera di Bonfiglio Mariotti apre, speriamo, il dibattito su una questione della massima importanza.
Seguo con grande interesse molti degli interventi e degli articoli che Rimini 2.0 pubblica. Da anni è una delle poche voci non allineate di questa città, una voce critica non tanto dell’Amministrazione Gnassi ma di questo consociativismo che dura da decenni, premia solo le rendite di posizione e gli amici e impedisce a Rimini di esprimere il suo potenziale anche rispetto al resto della regione.
Permettetemi questa volta di non essere d’accordo con alcuni focus con tanto di foto pubblicati negli ultimi giorni e relativi alla occupazione di spazi pubblici da parte di ristoranti e bar.
La tragedia del Covid ci deve far riflettere sugli errori che abbiamo commesso e magari sulle opportunità che questo “azzeramento temporaneo” ci potrà offrire.
Grazie, se così si può dire, al lockdown, abbiamo avuto modo e tempo per fare tante riflessioni sul nostro modo di vivere, di come cittadini e imprese possono interagire con la Pubblica Amministrazione per il bene collettivo ed utilizzare le risorse che la natura, l’ambiente, il passato, la storia, la nostra civiltà millenaria ci ha messo a disposizione.
Dante e Petrarca definirono l’Italia il Belpaese, che non è una marca di formaggio, proprio perché racchiude in se tutte quelle caratteristiche. E’ grazie alla nostra cultura, alla nostra storia e alla nostra civiltà che siamo un Paese straordinario ed unico, non solo nel Mediterraneo ma nel Mondo intero.
Prima della crisi economica del 2007/8 molti pensavano che la finanza potesse sostituire l’economia di impresa e che con quella avremmo risolto ogni problema per il nostro benessere. Altri ancora hanno sempre pensato che il mattone potesse metterli al riparo da ogni crisi e così scatenando una speculazione selvaggia in ogni angolo del nostro paese.
Ma in realtà ci siamo accorti, grazie alla crisi di quegli anni, che la speculazione finanziaria ed immobiliare non crea ricchezza ma semplicemente la trasferisce dalle tasche di milioni di individui a quelle di pochi, rendendo poveri milioni di persone e ricchissimi i pochi eletti.
Da quella tremenda esperienza ci siamo resi conto che solo l’impresa crea posti di lavoro e quindi uguaglianza e prosperità sociale.
Purtroppo oggi abbiamo dovuto imparare che l’intera umanità è fragile e facilmente attaccabile da un comune nemico, che oggi è il covid 19 ma che domani potrà essere un altro virus o un qualsiasi “cigno nero”. Imprevisto e imprevedibile.
La lezione che la natura ci consegna è molto chiara: dobbiamo avere un diverso approccio con la “risorsa”, con lo sfruttamento delle risorse naturali, culturali e storiche. Chi ha la responsabilità di governare città e stati dovrà tenere conto delle nuove fragilità delle persone, che c’erano anche prima ma che adesso soffrono maggiormente, dei giovani e degli adolescenti, della loro crescita e della loro istruzione (non solo a parole o con i banchi a rotelle), delle nostre famiglie e del loro benessere. Non più difesa delle rendite di posizione, ma inclusione delle persone e delle attività che lo richiedono, basta figli e figliastri, perché anche le città e le nazioni possono fallire e quando accade è perché i loro leader non sanno scegliere la strada giusta.
“Prima e dopo l’11 settembre 2001” era una frase di qualche anno fa, ora diciamo “prima e dopo il lockdown del 2020”.
Come è cambiata la nostra vita e la nostra cultura dopo l’11 settembre 2001 è già storia, come cambierà e deve cambiare la nostra vita dopo il blocco economico del 2020 ancora non lo sappiamo ma credo che ognuno di noi possa contribuire per migliorare le previsioni più fosche. Quattro imprese su 10 rischiano la chiusura a causa della crisi economica, con particolare riferimento a quel ceto produttivo costituito da imprese dei servizi, negozianti, botteghe artigiane e partite Iva con meno di 10 addetti (la fonte è la Cgia Mestre). E ad essere più colpite saranno i bar, i ristoranti, le attività ricettive, il comparto della cultura e dell’intrattenimento a causa della scarsa liquidità delle famiglie. Aggiungo che a Rimini in particolare gli effetti del Covid si sono sovrapposti ad una situazione generale che era già profondamente deteriorata.
Il D.L. rilancio approvato durante la chiusura ha dato l’opportunità ai Comuni di concedere spazi del suolo pubblico ai pubblici esercizi per ampliare temporaneamente le proprie attività di somministrazione al fine di compensare i danni economici causati dalla riduzione di ricettività degli stessi, costretti ad applicare le regole del distanziamento sociale.
Affinchè il concetto sia più chiaro faccio una precisazione: non sono stati i singoli comuni, ma è lo stato che ha praticamente obbligato i Comuni a concedere spazi di aree pubbliche senza oneri o tributi e soprattutto con procedimenti semplificati in deroga ai limiti imposti dai vari regolamenti comunali, regionali e nazionali in materia di utilizzo delle aree pubbliche e di salvaguardia dei beni artistici e culturali.
Ci voleva una tragedia umana ed economica per fare comprendere agli amministratori di un comune o ai controllori delle Belle Arti che sono proprio i cavilli burocratici, spesso incomprensibili ed illogici, che affossano l’iniziativa privata e che condividere con la gente le bellezze del nostro territorio e del nostro Belpaese è una opportunità che cambia la visuale di ognuno di noi oltre a quella dei turisti: cenare a fianco dell’arco d’Augusto sul prato che era fino a 10 anni fa un parcheggio non ha prezzo.
Poter scendere dal treno e passeggiare fino al mare fermandosi in un parco con un punto di ristoro all’aperto strappato ai balordi e al degrado come il ristorante l’Artrov non ha prezzo. Poter ballare sulla spiaggia a piedi nudi non ha prezzo.
Sta alla Polizia municipale e alle altre forze dell’ordine fare i controlli legati al distanziamento obbligatorio: non su 16 chilometri di lungomare, semplicemente in quei 5/6 luoghi di aggregazione conosciuti da chiunque, che se incontri qualsiasi ragazzo per strada te li può indicare.
Questo non deve significare che in futuro il centro storico di Rimini (per fare un esempio) deve esser invaso da dehors, tavoli, pedane, ombrelloni in ogni angolo della nostra Città o della zona mare; ma significa che abbiamo il dovere di rivedere le attuali regole, quelle precovid19, riscriverle in modo che la tutela del territorio, dell’ambiente, del patrimonio storico ed artistico vada di pari passo con le attività economiche anche perché le stesse diventano sempre un presidio di legalità. E non si realizzi, come successo fino ad ora, solo con i divieti.
Soprattutto, abbiamo sperimentato che la burocrazia può essere limitata nei suoi influssi più nefasti e a volte crudeli per le attività che creano lavoro stabile.
La lettera è molto utile perché invita ad una riflessione che solitamente Rimini cerca in tutti i modi di evitare, preferendo le scorciatoie e gli effetti speciali. L’ultima trovata del sindaco in seconda Maurizio Ermeti è “Rimini capitale della felicità”. Rimini deve tornare ad essere una capitale del turismo per poter essere un po’ più felice. Tutto il resto sono strategiche elucubrazioni.
Un piccolo accenno di inizio di “reazione” alle parole di Bonfiglio Mariotti. Abbiamo dedicato alla comparsa dei tavoli di un ristorante sul prato dell’Arco d’Augusto una fotografia e tre righe, titolo compreso, ma tanto è bastato per generare migliaia di visualizzazioni, numerosi “mi piace” e diversi commenti, fra favorevoli e contrari alla iniziativa. Il post non conteneva valutazioni di merito ma solo la constatazione che “ci si allarga sulla storia di Rimini”, con l’intendimemto di affrontarlo il tema, appena possibile, in tutti i suoi impatti. Tutto vero: il lockdown deve costringere il governo centrale, le amministrazioni comunali, le Soprintendenze ed ogni altro ente dispensatore di “permessi”, a ribaltare il modus operandi praticato fino alla pandemia. Ma le regole stabilite dal Comune di Rimini e dalla Soprintendenza devono valere per tutti oppure no?
Un conto è la burocrazia e un altro la fissazione di alcuni basilari “paletti” che, oltre a valere per tutti, devono anche porre dei confini: fin dove è lecito esporre tavoli e sedie la pubblica amministrazione ha comunque il dovere di stabilirlo chiaramente. Un qualunque imprenditore, seppure in temporanea occupazione di suolo pubblico, magari gradirebbe piazzare i propri tavoli attorno alla fontana dei quattro cavalli, o fra i resti archeologici dell’Anfiteatro romano, o sul Campone del Castello o in tanti altri luoghi “esclusivi” della città. Ma potremmo giustificarlo con la volontà di andare incontro alle attività economiche colpite dalla crisi e con lo stato di emergenza (che, come stiamo vedendo, viene prorogato a piacimento) legato al Covid? Fra i divieti, assurdi, posti dalla Soprintendenza sui dehors e il “tutto è possibile” c’è probabilmente una via mezzana. Come affrontare la crisi, pesantissima, che colpisce bar, ristoranti, negozi, hotel…, è una questione aperta, molto seria, e sono in tanti a non sapere che pesci pigliare. Avanti c’è posto, mandateci i vostri pensieri: redazione@riminiduepuntozero.it. (Rimini 2.0)
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