Ci fu lo zampino di Alfredo Panzini nella denominazione del Comune di San Mauro Pascoli

Ci fu lo zampino di Alfredo Panzini nella denominazione del Comune di San Mauro Pascoli

Novant'anni fa San Mauro di Romagna diventava San Mauro Pascoli. Spunta ora la prova che lo scrittore della Casa Rossa ci mise del suo per centrare l'obiettivo e vergò a mano su otto foglietti pieni di cancellature e correzioni la motivazione ideale alla base del nuovo "battesimo".

Si sa quasi tutto sull’iter procedurale che portò, novant’anni fa, al cambio della denominazione del Comune di San Mauro di Romagna in quello di San Mauro Pascoli. Era invece quasi sconosciuta la mano di Alfredo Panzini in questa vicenda, non al tempo dei fatti ovviamente, ma in seguito si era persa traccia.
Ma andiamo con ordine. Sul sito istituzionale dell’amministrazione comunale a guida Luciana Garbuglia è pubblicato il regio decreto di Vittorio Emanuele III “per grazia di dio e per volontà della nazione”, che reca anche la firma di Benito Mussolini: «Vista la domanda in data 15 giugno 1932, con cui il podestà di San Mauro di Romagna, in esecuzione della propria deliberazione in data 13 stesso mese ed anno, chiede l’autorizzazione a cambiare la denominazione del comune in quella di “San Mauro Pascoli” […]. Sulla proposta del Capo del Governo, Primo Ministro Segretario di Stato, Ministro Segretario di Stato per gli affari dell’interno, abbiamo decretato e decretiamo: Il comune di San Mauro di Romagna, in provincia di Forlì, è autorizzato a cambiare la propria denominazione in quella di “San Mauro Pascoli”». Era il 22 settembre 1932.
Il podestà Angelo Vincenzi aveva già fatto affiggere un avviso alla cittadinanza, aulico e conciso al tempo stesso:

«Cittadini di San Mauro Pascoli!
E’ stamane pervenuto alla civica Residenza il seguente telegramma:
“Podestà Vincenzi, annunziate amati Sanmauresi deciso Ministero Educazione Nazionale nostro Comune nomarsi Sanmauro Pascoli. Gloria gloria gloria immortale Poeta. G.M. Ferrari”.
Cittadini!
A pochi giorni della visita e del munifico dono del Duce anche questa suprema realizzazione è raggiunta.
Il XX annuale della Sua dipartita non poteva essere più degnamente ricordato.
Fieri delle mete raggiunte, vibranti di quell’amore che ha saputo resistere e vincere sui tempi e sulle penose vicende, noi dobbiamo dalla conquista odierna, trarre lena e fede per conquiste più alte e più lontane.
Cittadini!
Spargete i lauri sulla tomba vuota che da un ventennio aspetta!
San Mauro Pascoli, 8 settembre 1932 X E.F.
Il podesta Cav. Geom. Angelo Vincenzi».

Notare che in questo manifesto, dove viene riportato il testo del telegramma, si trova scritto Sanmauro anziché San Mauro. Qualche notizia di contorno per spiegare nomi e sigle che oggi dicono poco o nulla. Il citato G. M. Ferrari (Giuseppe Michele), di origini calabresi, fu un luminare del tempo, con incarichi anche politici ai massimi livelli (il papa Benedetto XV gli chiese di occuparsi della questione romana per conto della Chiesa). Docente in diverse università italiane, compresa quella di Bologna, dove insegnò pedagogia e dove si innamorò della città emiliana. Ma fu anche presidente del Comitato romano per le onoranze a Giovanni Pascoli, che venne costituito nel 1924. Ebbe un ruolo attivo nel battesimo pascoliano del comune, e questo spiega la ragione del suo telegramma al podestà. L’avviso alla cittadinanza reca, dopo l’anno 1932, X E.F.: sta ad indicare il decimo anno dell’era fascista, una cronologia che datava dalla marcia su Roma, 28 ottobre 1922.

Non fu una passeggiata per i sanmauresi centrare l’obiettivo. La trafila burocratica fu lunga e non mancarono le difficoltà, tanto è vero che, raccontano le cronache, «per due volte fu negata la gioia di cambiare la denominazione del comune».
Alfredo Panzini, al tempo quasi settantenne, era non solo uno scrittore affermato in Italia e tradotto all’estero, ma anche Accademico d’Italia e firma della terza pagina del Corriere della Sera. Nella Casa Rossa di Bellaria trascorreva lunghi periodi di tranquillità, mai inoperosa, perché scrisse e lavorò sodo fino all’ultimo. Pascoli fu uno dei fari di Panzini e non a caso nel decennale della morte del poeta (1855-1912) proprio l’autore del Padrone sono me! fu scelto come oratore ufficiale «dell’elogio sul Pascoli» da tenersi nell’Arengo di Rimini. L’evento avrebbe dovuto svolgersi nell’agosto del 1923 ma saltò all’anno successivo. L’orazione di Panzini fu solenne e, come racconterà il diretto interessato, anche parecchio sudata. Alla presenza del Duce, dei gerarchi del regime, di tutte le autorità, dei balilla e di una folla debordante, il pubblico bramava ascoltare le parole di Mussolini, più che quelle dello scrittore: «Eravamo nel 1923 ed io tremavo un po’. Mussolini nel 1923 era un Dio!», scriverà Panzini nel 1925 in un articolo per Gerarchia (Le avventure di un oratore ufficiale), il mensile diretto da Margherita Sarfatti. «Con l’orgasmo che ha tutta questa gente per Mussolini, come farò io? Il popolo che gremiva la sala – tranne le prime file dell’immenso Arengo – era disposto a tollerare cinque minuti di inno su la bontà e sul Pascoli, non certo un discorso». Ma arriva in fondo al discorso e, commenterà con la sua solita ironia nell’articolo citato: «Quanto al mio discorso sul Pascoli, il miglior giudizio che udì da parte del popolo è stato questo: “Nessuno ha capito niente, ma quelli che hanno capito, dicono che lei ha parlato molto bene”».

L’ammirazione di Panzini per Pascoli fu vera e profonda, anche se di lui non amò tutto. E anche Pascoli ricambiava perché dirà ad un amico (Giuseppe Gori) agli inizi del 900, che Panzini è un «ingegno schiettissimo… bravo sul serio». Nelle opere di Panzini la presenza di Pascoli è reale e viva: ce ne sono tracce nella Lanterna di Diogene, nel Viaggio di un povero letterato, e poi in discorsi e articoli disseminati sulla stampa. Nel 1913 Panzini aveva tenuto la commemorazione ufficiale di Pascoli nella sala del teatro comunale di San Mauro, coniando quella definizione di poeta che è rimasta celebre: «Il più elementare fra voi, cittadini di S. Mauro, sa che Giovanni Pascoli fu un Poeta. Che vuol dire poeta? Uno che dice coi versi cose del tutto fantastiche e strane? No, questi è falso o misero poeta! Poeta è colui che non può tacere quando vede la verità. Poeta è colui che dice cose che fanno tremare il cuore; e quando il cuore trema, meglio riluce l’umanità nella belva umana».

Arrivati a questo punto della narrazione, sarà probabilmente diventata più chiara la molla che portò a chiedere a Panzini di stendere la cornice ideale che doveva costituire la base dell’atto deliberativo sul cambio di nome del comune di San Mauro. Probabilmente la richiesta a Panzini arrivò da più parti, dall’Accademia d’Italia (forse nella persona di Roberto Paribeni, che fu il primo a comunicare al prof. Ferrari l’accoglimento del cambio di denominazione da parte del ministero dell’Educazione nazionale) e dalle istituzioni locali (il podestà Vincenzi e il prefetto di Forlì Dino Borri).

Fino a pochi giorni fa lo zampino di Panzini aveva un fondamento labile. Un articolo de La Stampa del 14 settembre 1932 rinvenuto per caso, che metteva in relazione Panzini con la decisione ratificata dal regio decreto cui si è accennato: «Fin dal 25 ottobre 1930 il podestà chiese la nuova denominazione con un atto deliberativo il cui testo fu dettato da Alfredo Panzini». Occorreva una prova più solida, che sarebbe potuta uscire solo dalle carte del comune di San Mauro Pascoli. Il 24 novembre le porte dell’archivio si aprono, grazie alla grande disponibilità e collaborazione di Rosita Boschetti, responsabile del Museo Casa Pascoli. Le prime ricerche non lasciano ben sperare. I polverosi faldoni restano muti, non regalano niente. Poi salta fuori quello che mostra l’anno giusto: «Storico II – 1932 – Cat. I, II». Si tenta, e si ottiene soddisfazione. Con l’inconfondibile calligrafia di Panzini, vergata con una matita blu su otto foglietti di piccole dimensioni, ecco il testo, pieno di cancellazioni e aggiunte. E’ indirizzato a S. E. il Prefetto della Provincia di Forlì:

«Nella bene augurata visita di Vostra Eccellenza a questo nostro paese di San Mauro di Romagna, noi tutti, per la parola del nostro Podestà, rivolgiamo viva istanza alla S.V. affinché il nome di San Mauro di Romagna venga modificato in quello di San Mauro Pascoli.
Il nome di Giovanni Pascoli è bene affidato a sé stesso e durerà nella memoria finché durerà amore di bellezza e di bontà.
Ma qui in San Mauro è pure la casa Materna di lui, onde mossero i primi suoi canti, e in questa casa, fatta oggi asilo per i bimbi e per i vecchi, splende ancora il focolare domestico, e il cuore del Poeta, che cantò i bimbi ed i vecchi insieme alle cose più eccelse dell’umano pensiero, ne deve esultare se vita spirituale rimane oltre questa vita. Da queste circostanti campagne trasse il Poeta ispirazione a celebrare le cose create e quel fecondo e sano lavoro dei campi, che la parola del Duce nobilitò.
E quando dolorose vicende del glorioso cammino e le necessità indussero il Poeta a stabilirsi altrove, mai la memoria del paese nativo gli cadde dal cuore. Della quale cosa ogni suo scritto è documento, cominciando dai virgiliani canti latini, da cui ebbe fuori anche d’Italia la prima rinomanza, e che tutti datavano dalla terra di San Mauro (ex castro Sancti Mauri).
Non potendo essere noi custodi dei suoi resti mortali nel cimitero dei padri, dove pure egli avrebbe voluto riposare, domandiamo di essere custodi della sua memoria con questo vivo segno del nome di lui aggiunto al nome del suo e nostro paese nativo. E questo non per vanità, ma per dimostrazione come anche da un popolo di lavoratori si onori l’ingegno e l’arte, quando l’ingegno e l’arte sono rivolte a rivelare le cose belle e buone che vivono anche negli umili cuori».

Da quanto è stato possibile ricostruire, del contributo di Panzini non venne fatto un copia-incolla per il testo definitivo, ma servì da guida, ispirazione e traccia sostanziale. Tra i documenti dell’archivio comunale sono custoditi anche tre articoli: due brevi, uno del Corriere della Sera e uno del Resto del Carlino, ed uno lunghissimo del Corriere Padano redatto da Giulio Tognacci. Ci permettono di tornare indietro a quei giorni. Una sorta di istantanea su come venne accolta la notizia sul cambio del nome: «Il paese è stato immediatamente imbandierato ed ha assunto la fisionomia dei giorni festivi. Questa sera gli edifici pubblici e molti privati sono illuminati» (Il Resto del Carlino, 9 settembre 1932).
«Dalle finestre sventola il tricolore», scriveva il Corriere Padano (11 settembre).
«Nel ventesimo annuale della morte di Giovanni Pascoli si vedono compiuti i voti degli studiosi italiani e di questa popolazione perché sia onorato in perpetuo il Poeta», annotava il Corriere della Sera (13 settembre), aggiungendo un particolare interessante: a San Mauro non avevano atteso l’autorizzazione per sentirsi e concepirsi pascoliniani. Ecco la citazione: «Un profondo esame della proposta ritardò la decisione; ma intanto il popolo adottò unanime il nuovo nome e lo adoperò nei commerci e negozi: e di tale fatto il podestà trovava il giusto motivo di altra sua deliberazione del 13 ottobre 1931».

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