“Cosa aspettiamo a puntare sulla Sangiovese Valley?”: Monterumisi e l’Ulisse Fest

“Cosa aspettiamo a puntare sulla Sangiovese Valley?”: Monterumisi e l’Ulisse Fest

Il 70% del turismo di tutto il mondo è attratto dall'enogastronomia e dalla voglia di scoprire gli usi e i costumi dei popoli. C'è chi l'ha capito. E la Romagna? "Abbiamo una storia che nessun altro ha. Strategicamente ci troviamo in una zona eccezionalmente spettacolare. Il vino, da noi può contare su un'epopea di 2.500 anni che ci lega alla Magna Grecia e ai Celti". Ma...

Essere convocati in un’ambasciata non è cosa di tutti i giorni. E per non provocare “incidenti” diplomatici, quando l’ambasciatore Monterumisi chiama, si va tosto a colloquio. Naturalmente, armati di sola penna.
L’Ambasciata delle Città del Vino d’Europa è uno spazio, il primo in Italia e in Europa, che promuove la civiltà del vino e la ricchezza produttiva del territori. Non a caso, è situata non troppo lontano dal campus universitario di Rimini. Molto recentemente, uno studente del Corso di Laurea in Economia del Turismo ha discusso la propria tesi, incentrata proprio sull’Ambasciata di via Soardi, situata nella corte del secentesco, omonimo palazzo.

Alfredo Monterumisi, ambasciatore del vino

Allora, Monterumisi, qual è il motivo della chiamata a rapporto?
«Durante la recente Ulisse Fest, manifestazione ricca di eventi dedicata al turismo (in tutte le declinazioni) è passata pressoché inosservata la “tavola rotonda” tenuta presso il teatro Galli. Tema conduttore del convegno, l’enogastronomia nel turismo. Per l’importanza economica e intellettuale che riveste il tema, i contenuti dell’incontro avrebbero meritato ben maggiore attenzione e diffusione. Dopo l’introduzione di Luciana Olivadese (rappresentante di Unicredit) a ribadire l’attenzione del gruppo bancario verso il settore, ha preso la parola Roberta Garibaldi, moderatrice del dibattito, esperta di grande caratura in comunicazione e organizzazione enogastronomica che ha fornito i dati mondiali a partire dal 1993 a oggi».

Ulisse Fest in piazza Cavour

Facile supporre che l’intervento sia stato incentrato sul tipo di turismo di cui ci si occupa anche qui.
«Certamente. E ha specificato con forza che esso rientra a pieno titolo in quello culturale, aggiungendo che il 70% del turismo di tutto il mondo è attratto dall’enogastronomia e dalla voglia di scoprire gli usi e i costumi dei popoli: una sorta di ricerca antropologica culturale molto specifica e mirata. Purtroppo, pur essendo l’Italia la meta maggiormente desiderata, nello stesso tempo è valutata come la meno efficiente».

In soldoni, non abbiamo adeguata dentatura per mordere il panino che avremmo a disposizione?
«La relatrice ha portato un esempio assai significativo. Ha messo a confronto due valli conosciute in campo internazionale: la Napa Valley californiana e la Val d’Orcia Toscana. Nella prima, accanto a una cantina dove si producono vini è stato costruito un maniero di epoca medievale (Castello di Amorosa) simile a quelli che da secoli esistono nell’antico continente. Ogni anno, questo luogo attira più di 500.000 visitatori. Anche a Montalcino è stato fatto lo stesso tipo di operazione, ma di visitatori se ne contano solamente 70.000».

L’interno dell’Ambasciata delle Città del Vino d’Europa di via Soardi

Morale?
«Questo significa che in un continente che ha poca storia, ma che è ben organizzato e sa adeguatamente comunicare un monumento scenografico, si crea grande interesse. In Europa, dove per contro di castelli autentici se ne trovano a migliaia, la differenza è fatta dalla storia di un territorio, mentre il vino diviene non già un mezzo di attrazione, ma di comunicazione. Per dimostrare nel concreto quello che la Signora Roberta Garibaldi ha magistralmente esposto, ha invitato tre persone che operano in Italia. La prima a cui ha dato la parola si chiama Isabella Perazzoli, responsabile di un ambizioso progetto denominato “Only 4U DMC” che parte da Piacenza e coinvolge altre importanti realtà italiane ricche di storie enogastronomiche. La seconda, Pierina Vibbani, ha presentato la rete d’impresa “Prosecco Hills” e spiegato quanto sia importante il territorio per dare valore al vino. Infine, il sindaco di Montepulciano Michele Angiolino ha introdotto “Valdichiana Living” che rientra nel progetto regionale “Toscana Rinascimento senza fine” che coinvolge le eccellenze storiche, ambientali ed enogastronomiche delle terre della provincia di Siena: dopo settecento anni, la Valdichiana Senese con i suoi stupendi borghi è tuttora una fulgida testimonianza del Rinascimento italiano. In sostanza, le tre persone intervenute hanno dimostrato (con tre diverse realtà) quanto sia strategicamente fondamentale il turismo enogastronomico per attirare un pubblico economicamente e culturalmente selezionato, curioso di conoscere un territorio. Cosa che qua non accade».

Quali sono i motivi di questa lacuna?
«La Romagna avrebbe enormi potenzialità, ma non pare in grado di esprimerle. Per usare una metafora automobilistica tristemente attuale (crisi “Ferrari”; ndr), non riesce a scaricare a terra tutti i cavalli-motore a disposizione. Anche perché pensa solo agli eventi e vive di rendita sul “balneare”, ma i tempi sono cambiati. In àmbito turistico, non nascondiamocelo, si rilevano gravi ritardi rispetto ad altre realtà europee».

È opportuno ricordare che la prima “Ambasciata delle Città del Vino d’Europa” doveva essere inaugurata il 16 di marzo, giorno del compleanno di Tonino Guerra (1920 – 2012), ma a causa della pandemia è stata rinviata a data da destinarsi. Ciononostante i locali sono tuttavia visibili, visitabili e a disposizione di chi volesse approfondire il discorso vino – territorio – potenzialità. La scelta di ubicarla nel centro storico è avvenuta per cercare di recuperare quel terreno perso rispetto ad altre nazioni a cui accennava Monterumisi.

Quali proposte immagina, per uscire da lunghi anni di vecchi, ma anche “nuovi “stereotipi Riminesi?
«Se un matto come me, considerato un rompiballe, decide di fare un’operazione come questa (l’Ambasciata; ndr) non è perché sia un megalomane che vuole far vedere di essere l’ambasciatore della Città del Vino. No, è perché questo è considerato, da chi se ne intende, uno strumento essenziale per organizzare il territorio (intendo storicamente) attraverso il vino. Non sono il Brunello di Montalcino o il Montepulciano ad aver dato valore alla Toscana, bensì viceversa. Lo stesso dicasi del Prosecco. Ora è un marchio apprezzato che parte dalla Lombardia e arriva fino al Friuli. Ma c’è un cuore che pulsa forte: è la “Strada del Prosecco”. La provincia di Treviso ci ha lavorato assiduamente per vent’anni e ora ha ottenuto dall’UNESCO il riconoscimento di “patrimonio dell’umanità”. Ma ad essere “Patrimonio dell’Umanità” è il territorio, non il vino che è stato impiegato come ariete. Spero di essere stato chiaro».

Limpido. E la Romagna?
«A fare da cicerone, in Romagna è il Sangiovese, con una bella narrazione che fa subito presa. Abbiamo una storia che nessun altro ha. Strategicamente ci troviamo in una zona eccezionalmente spettacolare. Il vino, da noi può contare su un’epopea di 2.500 anni che ci lega alla Magna Grecia e ai Celti. Il Rubicone segnava il confine tra la Gallia Cisalpina e l’Italia peninsulare. Qui si sono incontrate due culture, ma anche due “colture”. Le immagini dei palmenti (vasche larghe e poco profonde usate per la pigiatura e la fermentazione dei mosti nell’Italia meridionale, in particolare in Puglia, Calabria e Sicilia; fonte: Treccani) che ho sistemato su quel tavolo parlano di storia. Per la pigiatura del vino, sono gli strumenti più arcaici che esistano. Quelle pietre partono dalla Calabria e lungo l’appennino arrivano fino a Torricella di Novafeltria. Casualmente, là ho scoperto un posto dove c’è un palmento. Da queste parti è l’unico esistente, ma in Calabria se ne trovano a centinaia, anche se non sono originari nemmeno del sud Italia».

Come hanno fatto ad arrivare fino nel nostro paese?
«Li portano in Magna Grecia gli ellenici, ma è una cultura che essi apprendono in Armenia e in Georgia, nella zona al confine con quella terra che all’inizio del ‘900 un archeologo americano battezza come la “Mezzaluna Fertile” che tra l’altro coincide con l’area compresa tra i fiumi Nilo, Giordano, Tigri ed Eufrate, definita la “culla della civiltà”. Pensando alla storia di Roma, alla fatale decisione di Giulio Cesare, al Rubicone e alla via Emilia, si immagini che cosa immensa abbiamo da raccontare al mondo, rimanendo solo in tema agreste, a partire dalla centuriazione (metodo modulare agricolo basato su rete ortogonale; ndr) quando nel 268 a.C., i romani, arrivati nella Pianura Padana e cominciata la fondazione delle colonie iniziando proprio da Ariminum, adoperano la centuriazione per assegnare appezzamenti di terreno ai loro soldati (veterani a riposo). In modo particolare, si ricorre alla centuriazione tra la fine del periodo repubblicano e l’età imperiale. In tal senso, la testimonianza a noi più prossima è Cesena che, affatto casualmente, in epoca romana prospera come centro nodale sulla via Emilia. Di quel periodo conserva tuttora pressoché intatta un’estesa centuriazione nella pianura circostante e perfino un museo dedicato a quel rilevante sistema fondiario».

Un criterio diametralmente opposto al latifondismo dell’Italia peninsulare…
«Certamente, ma i romani sono sempre stati all’avanguardia e imposto il proprio “modus operandi” alle popolazioni che assoggettavano, tanto è vero che parecchie centinaia di anni dopo la caduta dell’Impero Romano, quando le nazioni che furono assoggettate da Roma a loro volta colonizzarono il “Nuovo Mondo” cosa esportarono in Nordamerica, Sudamerica, Australia, Nuova Zelanda? Quello che i romani insegnarono loro in agricoltura! Ecco perché la via Emilia e il Rubicone sono miti mondiali. Li abbiamo qui. E il termine “Rubicon” di cui naturalmente conosciamo l’origine, ha un significato molto forte nel mondo anglo – americano e latino – americano: significa “saper prendere decisioni importanti” come fece Giulio Cesare quando compì l’irrevocabile gesto dell’attraversamento del fiume romagnolo. Quindi, quando si vuole definire il coraggio o qualcosa di estremamente importante, in quei paesi si dice “Rubicon”. Ad esempio, in Nuova Zelanda c’è un luogo deputato ad accogliere chi pratica sport estremi. Sa come si chiama? Rubicon Valley.
Questo mito è nato in Romagna».

Dovremmo insistere di più sulle nostre origini e sull’aspetto culturale? Far sapere chi siamo?
Per progettare al meglio le potenzialità di un territorio, a detta anche di esperti del settore, serve un punto fisico che possa dimostrare cosa sia il turismo enogastronomico. Qui a Rimini, piena di ristoranti, di osterie, pizzerie in ogni dove, sono convinti che quel tipo di turismo l’abbiano sempre praticato. Niente di più falso: hanno solo sfruttato una situazione. Hanno semplicemente dato da mangiare a persone che per naturale necessità avevano bisogno di cibarsi. Fine. Ma non funziona così. Bisogna dare qualche segnale forte di volontà, di cambiamento. Dobbiamo ripartire dalla cultura e dalla storia. Con l’Ambasciata cerco unicamente spazio per comunicare questo all’opinione pubblica. Anche se trovo che Rimini non sia sufficientemente attenta. Basta che facciamo un giro su noi stessi di 180 gradi ed ecco che la “Storia” è là, a pochi passi. A differenza di altri paesi, non siamo costretti a inventarci nulla. Non dobbiamo costruire simulacri di sorta per mettere in scena nessuna fasulla rappresentazione. Abbiamo il passato a portata di mano e ovunque ci volgiamo, siamo letteralmente avvolti nel bozzolo rassicurante del nostro passato. Approfittiamone, una buona volta, e valorizziamolo per poi passare all’incasso. Da parte mia, comincio a preparare i biglietti».

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