Chiesa di S. Martino in Riparotta, già nota per il fumetto sugli altari. Ha fatto la sua comparsa un'opera che sembra uscita dalla fucina dei Mutoid. Soprattutto in questi giorni di nebbia passandoci davanti quando cala la sera viene voglia di allungare il passo. Se poi ci si imbatte nel momento in cui la bestia lancia il fuoco dalle sue fauci metalliche, allora si rischia l'infarto. Ma l'installazione ha un significato.
Don Danilo Manduchi, che oltre ad essere parroco di S. Martino in Riparotta è anche economo diocesano, questa volta invita i parrocchiani a fare i conti con un drago. Che c’è di male. L’Apocalisse di Giovanni non parla forse della bestia? «Vidi poi salire dalla terra un’altra bestia, che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, che però parlava come un drago. Operava grandi prodigi, fino a fare scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini». Ma il “don” non pare riferirsi a questa simbologia. L’installazione, ancora circondata da transenne, viene spiegata da due targhe, poco leggibili, ma si spera che lo diventino un po’ di più una volta che il drago abbia sparato le sue fiamme dalla bocca metallica.
Su una targa c’è l’incipit di un racconto fantastico: tanti anni fa in una città della Cina viveva un enorme drago che si nascondeva in una caverna. Naturalmente gli abitanti erano terrorizzati perché il drago inceneriva e bruciava tutto ciò che incontrava. Così in quella città decisero che il drago andava messo a morte. Ma chi sarebbe stato l’eroe? Un bambino buono e coraggioso, che pensò di… Puntini di sospensione. In buona sostanza viene sollecitata la fantasia e la creatività di chi legge, invitandolo ad inventare «il finale di questa fiaba», a scriverlo «su un foglietto» mettendo poi il testo «nella cassetta delle lettere della parrocchia» col fine di essere pubblicato «in un libretto apposito». Al di là di tutto, non sembra proprio una metodologia pensata per i nativi digitali, ma insomma… Avanti.
Su una seconda targa c’è forse il significato pedagogico dell’opera. Si possono leggere tre citazioni. La prima chiama in causa l’autore dei Sonetti lussuriosi, e dice così:
«Qui giace l’Aretin, poeta Tosco,
che d’ognun disse mal, fuorché di Cristo,
scusandosi col dir: “Non lo conosco”!»
(Paolo Giovio, 1493-1552)
La data di nascita è sbagliata, essendo il vescovo nato nel 1483. Ma ancora avanti.
Segue Papa Francesco:
«Con la lingua incominciano le guerre.
Tu, sparlando degli altri, incominci una guerra.
La lingua ha il potere di distruggere come una bomba atomica.
Non dirlo nel chiacchiericcio, perché il chiacchiericcio non risolve niente, anzi.
Fa peggiorare le cose e ti porta alla guerra»
Infine c’è il Vangelo:
«Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no, il di più viene dal maligno».
E arrivato a questo punto il passante che s’imbatte davanti al drago intuisce che la lingua qualcosa c’entra. Ma bisogna compiere una specie di caccia al tesoro (alla scoperta del significato del drago) portandosi davanti all’ingresso della chiesa. Qui si scopre un altro tassello, messo nero su bianco su di un foglio fissato con il nastro adesivo: «Il drago della malalingua». E’ fatta. Questo drago «emette il suo fuoco» in orari determinati della giornata, ma attenzione: solo «per dieci secondi».
Chi cerca il parroco, avverte un avviso più datato, «è pregato di telefonare al….», le «Sante Messe solo la domenica mattina ore 8,30 e 11,15», ma il drago della malalingua sputa il fuoco ben nove volte al dì. Dalle ore 17, ogni ora fino ad un’ora dopo mezzanotte. Probabilmente al calar delle tenebre la lingua di fuoco risulta meglio visibile, se non addirittura scenica.
Don Danilo Manduchi non ha atteso l’arrivo del drago per far parlare della sua piccola chiesa. Ha già fatto diventare il fumetto arte sacra.
Così ad occhio e croce, il drago della malalingua sembrerebbe uscito dalla fucina dei Mutoid, ma manca la certezza perché una targhetta che lo confermi al momento non compare (o almeno se c’è non risulta immediatamente visibile).
Qualcuno di studi ecclesiastici svolti con profitto già sghignazza: «E’ il Motu proprio di don Danilo». Nessuna targa spiega se l’opera sia stata donata/regalata oppure pagata e da chi, ma questo sarebbe chiedere troppo nella diocesi dai bilanci che hanno sì sputato molto fuoco in passato e che ancora indicano un rosso niente male, però senza mai diventare trasparenti come le pupille del drago.
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