Don Carlo Rusconi: «dare a Cesare quel che è di Cesare? Non è mai lecito uniformarsi al mondo»

Don Carlo Rusconi: «dare a Cesare quel che è di Cesare? Non è mai lecito uniformarsi al mondo»

“Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” significa che il cristiano deve ubbidire a due autorità? «Questa lettura inserita nel più ampio e completo contesto biblico non è lecita». Questo il pensiero del sacerdote riminese, docente di teologia e lingue bibliche. «Che il nostro episcopato volutamente eviti di fare questi discorsi perché lo Stato poi gli toglie l’8 per mille, questo è possibile, ma ognuno ha il diritto di avere le paure che vuole, io tuttavia vorrei che il nostro modo di pensare da cristiani fosse chiaro».

Tra quelli che si dicono cristiani e frequentano più o meno assiduamente la chiesa nel giorno di domenica, alzi la mano chi non ha mai pensato che la frase di Gesù “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” non volesse significare che esistono due autorità cui obbedire nella vita privata e sociale. Anzi sono sicuro che tanti sacerdoti nella loro predica domenicale abbiano commentato questo brano evangelico dicendo che “bisogna pagare le tasse”, “essere bravi cittadini” e via dicendo… Persino papa Francesco nell’Angelus di domenica 18 ottobre ha detto questo. Ora, non mi risulta che don Carlo Rusconi abbia ascoltato l’Angelus del Papa quella domenica e neppure credo abbia intenzione di polemizzare col “suo” Papa ma se lo avesse sentito credo che avrebbe avuto qualcosa da ridire anche con Bergoglio.
Don Carlo Rusconi infatti nella sua omelia di quella domenica è proprio partito da questo episodio evangelico per dire che, in passato ma anche oggi, ci sarebbero due autorità a cui l’uomo cristiano sarebbe tenuto ad obbedire. «Ma questa lettura», sono state le sue parole, «inserita nel più ampio e completo contesto biblico non è lecita».

Don Rusconi ricorda l’inizio della Genesi dove si parla dell’uomo fatto ad immagine di Dio mentre Gesù stesso nel Vangelo si descrive come immagine di Dio (“Chi vede me vede il Padre”). Insomma ci sarebbe una contrapposizione tra il fondamento sacro e il fondamento mondano dell’uomo. «Sempre che ci possa essere – ha detto don Rusconi – un fondamento del mondo in sé. Queste “due possibili immagini” formano due uomini distinti e differenti quanto alla struttura reale della propria identità: Dio e Cesare. I “due uomini” sono quello secondo il progetto divino e quello secondo il progetto del mondo: quello che ha come propria origine e destino Dio e quello che ha come origine e destino il mondo. Questa è una contraddizione, perché io esisto ma il mondo acquista la sua consistenza (cioè esiste) soltanto quando ci sono io che con la mia coscienza sposto (riporto cioè al suo posto) ogni cosa del mondo al suo riferimento oggettivo». Di fronte a questa alternativa che riguarda l’uomo, don Rusconi (che sul tema del “dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” ha già polemizzato in passato) ha ricordato quanto scriveva san Paolo nella seconda lettera agli abitanti di Corinto: «Quale comunanza possono avere giustizia e iniquità?» O anche «quale unione può avere ciò che è luce con ciò che è tenebra? Quale accordo può esserci di Cristo con Belial (“Il Malvagio” che nell’antico testamento è usato come sinonimo di Satana)?». Per Rusconi questo “dire” paolino ha una perentorietà che ne fuga ogni equivoco. Spiega infatti: «I “due uomini” non hanno proprio niente a che spartire tra loro. Che il nostro episcopato volutamente eviti di fare questi discorsi perché lo Stato poi gli toglie l’8 per mille, questo è possibile, ma ognuno ha il diritto di avere le paure che vuole, io tuttavia vorrei che il nostro modo di pensare da cristiani fosse chiaro. Quanto dice san Paolo diventa un giudizio su qualsiasi nostra scelta, sia essa in ambito personale sia in ambito di morale o sociale; dove non è mai lecito uniformarsi ai giudizi del mondo: si tratti di politica, economia, ecologia e men che meno che si tratti di antropologia; cioè, che cosa rispondo a chi mi chiede che cos’è un uomo? Rispondo che l’uomo che è secondo Cesare è un uomo che non ha dignità se non quella che gli viene dallo Stato. Ditemi voi se riuscite a trovare una definizione che sia realmente dignitosa della vostra persona nelle “acrobazie” degli stati moderni? Noi siamo infatti un’altra cosa, che il mondo non è in grado di comprendere, nonostante il tentativo del mondo di assumerne indebitamente il linguaggio. Perché qualsiasi linguaggio non è fissato una volta per sempre; è invece generato da una cultura; e chi lo usa finisce per assumere quella cultura. Il linguaggio odierno è invece vuoto. Se mi faccio derubare del linguaggio mi faccio derubare della mia cultura, come attesta in maniera inequivocabile la sciatteria, il cattivo gusto dei nostri tempi: dal modo di vestirsi, al modo di parlare e a tanto altro. Abbiamo abbandonato una storia e la sua ricchezza e svuotato il nostro linguaggio. Abbiamo creduto che usare una parola anziché un’altra fosse innocuo, non lo è e noi ci facciamo imbrogliare e ci lasciamo scippare della nostra storia. Che una volta era figlia della storia (come diceva Benedetto XVI) di Atene, Roma e Gerusalemme. Adesso è figlia di N.N. E’ figlia della superficialità di chi si è dimenticato di essere qualcosa e qualcuno. Vorrei che fossimo ben consapevoli di questo e a chiunque, partendo dal Vangelo di oggi (“A Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”), sostiene la possibilità di accettare le “due obbedienze” io vorrei chiedere una cosa: chi di voi è disposto ad accettare che dalle proprie tasse lo Stato tragga il denaro per finanziare l’aborto di Stato?».

Fin qui l’omelia del sacerdote che però, al termine della messa risponde alla nostra richiesta di chiarimenti, ad esempio se il suo fosse un invito a non pagare le tasse. Don Carlo Rusconi spiega: «Non conosco il meccanismo pratico e tecnico per realizzare questo, ma certamente io non sono disposto, con le mie tasse, a finanziare l’aborto o altre pratiche contrarie alla dignità umana donataci come un imprinting dal Creatore. O perlomeno lo Stato dovrebbe dirmi quale percentuale di queste tasse vanno a finanziare queste pratiche e io, ripeto, quella percentuale non la verserei».

Don Carlo si ferma qui sulle tasse, ma sarei curioso di conoscere il suo parere di linguista e biblista sul linguaggio del nuovo messale che sarà introdotto a breve nelle chiese italiane. Che, per esempio, traduce il latino del Padre Nostro “ne nos inducas in tentationem” in quel “non abbandonarci alla tentazione” che a me pare un errore culturale e linguistico (visto che di tentazioni si parla eccome nella bibbia, a partire da Adamo ed Eva per finire con Gesù). Ma in generale l’intento del nuovo messale appare quello di avvicinare il linguaggio della tradizione cristiana alla cultura più moderna, appunto. Questo, però, è un altro discorso!

Fotografia di Robert Cheaib da Pixabay

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