Ecco perché Banca Carim dovrebbe stare lontana dall’aeroporto

Ecco perché Banca Carim dovrebbe stare lontana dall’aeroporto

La mission di un istituto di credito è dare denaro alle imprese del territorio, non gestire aeroporti. Intervista al prof. Alessandro Berti-

Volare nel blu dipinto di blu è un sogno che s’impossessa anche dei banchieri? Oppure una banca “del territorio” ad un certo punto del suo percorso si vede costretta anche ad entrare in una cabina di pilotaggio e compiere acrobazie delle quali avrebbe volentieri fatto a meno? Chissà se sarà felice di stare lassù. Comunque la si pensi, banca Carim si è imbarcata in una operazione piena di insidie. “Sono dell’idea che Carim farebbe bene a tirarsi fuori prima possibile dalla operazione Aeradria perché la mission di un istituto di credito è dare denaro alle imprese del territorio, non gestire aeroporti”. Parola di Alessandro Berti (nella foto), docente di tecnica bancaria all’Università di Urbino e da molti anni impegnato nell’assistenza e nella consulenza finanziaria per banche e imprese con la R&A Consulting.
Banca Carim partecipa all’aumento di capitale di Aeradria con 3 milioni di euro e vanta 9 milioni di crediti che saranno convertiti in azioni. Il resto dei denari per tentare di far ripartire lo scalo riminese arrivano da San Marino (2 milioni in tutto, 1 da Asset Banca e 1 dalla Repubblica), 100 mila euro da Confindustria Rimini e 200 mila da Italcamel. Fine. Senza il salvadanaio Carim Aeradria sarebbe andata a picco. Ma il presidente Massimo Masini assicura che “l’interesse intorno allo scalo è alto e, ammesso il concordato (udienza in Tribunale il 18 luglio), altri imprenditori si faranno avanti nel medio periodo”.
Col professor Berti entriamo nel merito di una vicenda che presenta ancora non pochi lati oscuri.
Lei ha già espresso forti dubbi.
Comunque si giudichi l’intervento di Carim, di fatto la banca immobilizza i risparmi dei riminesi in un “salvataggio” dagli esiti molto incerti. Non so se i riminesi, potendosi esprimere, avrebbero condiviso la scelta compiuta in questo frangente dal cda.
Andiamo per gradi: come vede il ruolo strategico di una banca del territorio?
Semplicemente dovrebbe essere quello di far crescere rigoglioso l’albero sul quale è seduta, far sì che il territorio e le imprese si sviluppino, creino occupazione e così via. Se non fa questo, una banca del territorio smette di fare il suo mestiere. E non è per niente scontato saper fare questo mestiere, come attestano anche i commissariamenti di Carim e Banca di Rimini, due ferite che comunque non si rimargineranno in breve tempo.
E invece qual è la situazione delle imprese a Rimini e del loro rapporto col mondo bancario?
Non molto dissimile da quella che potremmo trovare in qualunque altra provincia italiana, con qualche aggravante…
Di che tipo?
La presenza di un distretto onnivoro e monotematico come quello turistico, caratteristica che rende abbastanza fragile questo territorio, la grande industria ridotta ai minimi termini e l’assenza della media impresa. In più a Rimini si registra una maggiore rigidità imprenditoriale sulle tematiche gestionali e finanziarie, l’imprenditore è più restio a mettersi in discussione, ad affrontare i processi di sviluppo e di ampliamento, anche se non si può generalizzare. Infine, il ruolo marcato dell’edilizia, alimentata dal distretto turistico e dalle possibilità anche speculative che il turismo ha fornito, generando una imprenditorialità per lo più vocata alla rendita e poco alla produzione. Se si aggiunge che la monocultura è segnata da un turismo povero, il quadro è tale da non consentire troppo ottimismo.
Tanto più adesso che la crisi generale rischia di far esplodere contraddizioni latenti da decenni nel turismo riminese.
Quando sento parlare di 15 euro per la pensione completa, o di 29 euro compreso l’ingresso a Mirabilandia … evidentemente c’è qualcosa che non funziona. L’imprenditoria di prima generazione ha preferito affittare gli alberghi e ha investito poco in riqualificazione, chi ha gestito le strutture ha badato ad uscirne indenne a fine stagione, mi sembra un circolo vizioso. Di certo non si sono mai visti tanti cartelli “vendesi” o “affittasi”. Chi avrebbe immaginato che aprire una gelateria a Rimini potesse non essere un successo? C’era la convinzione della intramontabilità del modello riminese, invece si scopre che non è così e che forse, al di la della crisi, i turisti non hanno più motivi per scegliere Rimini.
E oggi prevale il turismo “mordi e fuggi”.
Col quale non si va lontano perché non permette nemmeno la pianificazione da un punto di vista imprenditoriale. Mi pare che l’unico evento capace di tenere il pubblico a Rimini per una settimana sia il Meeting, che però è un corpo estraneo da molti punti di vista. C’erano le mostre promosse da Linea d’Ombra e finanziate dalla Fondazione Carim, che assicuravano anche un’ottima ricaduta sull’indotto, ma sono finite.
La Fondazione Carim è stata costretta a “tagliare”…
La Fondazione ha un unico asset, quello della banca, che ha considerato come una sorta di rendita vitalizia, e fondamentalmente si è adagiata su quella. La banca del territorio a lungo ha funzionato bene garantendo i dividendi alla Fondazione che li impiegava nel non profit, nella cultura, nel recupero del patrimonio artistico e così via. Ma ad un certo punto il meccanismo si è inceppato, si è scoperto che la banca non funzionava poi così bene. A mio parere si potrebbe individuare un difetto di vigilanza da parte della Fondazione, che nel suo interesse avrebbe dovuto chiedersi: cosa fa la mia controllata? Come si sta comportando? Non se l’è chiesto, da qui tutte le conseguenze ormai ben note, che ricadranno sulla comunità riminese chissà per quanti anni ancora.
In questo contesto, Banca Carim e Fondazione decidono di correre al capezzale di Aeradria, che ha una situazione debitoria di 52 milioni di euro e che da anni prova a spiccare il volo ma non ci riesce. Lei sostiene, mi corregga se sbaglio, che il volo difficilmente riuscirà a spiccarlo anche in futuro. Perché?
Perché “il” problema di Aeradria non è finanziario ma economico, ha cioè a che fare con la dura realtà dei costi e dei ricavi. Dai bilanci della società di gestione del “Fellini”, che io ho potuto esaminare, emerge che i ricavi non sono sufficienti a coprire i costi d’esercizio. Coi volumi di passeggeri che si possono raggiungere a Rimini non si coprono le spese. Questo significa che si avranno sempre delle perdite, che genereranno sempre dei deficit e qualcuno dovrà mettere mano al portafoglio. Non si è cioè in presenza di una iniezione di denaro una tantum, ma invece di continue iniezioni.
Perché il “Fellini” non potrebbe decollare ed avere performance positive come, ad esempio, Orio al Serio?
Mi sembra molto difficile immaginare per l’aeroporto di Rimini qualche analogia con Orio al Serio. Quest’ultimo opera in un’area molto industrializzata, praticamente al centro della Lombardia, collocato a 5 chilometri da Bergamo e a 45 da Milano, risultando di fatto competitivo e concorrenziale anche con gli scali del capoluogo perché un milanese è naturalmente un potenziale cliente di Orio al Serio. Rimini è uno scalo sostanzialmente turistico, una infrastruttura che a mio parere sarà strutturalmente in deficit perché non potrà mai raggiungerà il punto di pareggio. Ripeto, lo dicono i bilanci, e siccome non penso che in questi anni il management di Aeradria abbia buttato via i soldi è evidente che il problema stia tutto nel traffico, in ultima istanza, e quindi non c’è operazione finanziaria che possa salvarlo. Mi ricorda le squadre di calcio, che perdono sistematicamente ma, almeno le principali, non saltano mai perché c’è uno zio Paperone che ci mette i soldi, per ragioni di cuore, di passione, di fede calcistica…non perché convenga.
E quindi?
Nulla vieta di decidere che l’aeroporto di Rimini debba essere una infrastruttura di sistema e che nell’interesse del territorio vada tenuta in piedi, ma con quali risorse? Anche gli impianti di risalita della provincia autonoma di Trento non sono in pareggio, ma in quel caso l’ente pubblico può contare su risorse ingenti . Il problema è che a Rimini non mi pare ci sia nulla che assomigli alla provincia autonoma di Trento.
Quindi che prospettive ha il salvataggio in corso?
Sinceramente faccio fatica a vederne, l’obiettivo mi sembra quello di evitare il fallimento e “silenziare” per quanto possibile i creditori.
Non sarebbe stato meglio il fallimento, almeno per azzerare tutto e ripartire senza zavorre?
Un fallimento tout court sarebbe stato comunque devastante per tanti creditori, e sicuramente sarebbe stata una pessima figura per i politici e le istituzioni locali. E poi mentre col concordato gli “attori” del territorio mantengono voce in capitolo in Aeradria, col fallimento non sarebbe stato così. Stupiscono però molte cose…
Ad esempio?
La leggerezza con la quale è stata presentata l’istanza di ammissione alla procedura di concordato preventivo, “bocciata” lo scorso maggio dal Tribunale di Rimini… certe operazioni non si possono sbagliare. Oppure alcune dichiarazioni uscite da Aeradria, del tipo “noi abbiamo fatto gli investimenti, pensavamo che poi le banche ci finanziassero”. A parte che quegli investimenti non hanno sortito il risultato, ma un imprenditore assennato non ragiona in questo modo, e Aeradria fino a prova contraria è una spa pubblica, con un cda e un collegio sindacale, non è una snc della zona industriale di Viserba, peraltro – a quanto pare – gestita meglio.
Ma lei ce la vede banca Carim impegnata a gestire l’aeroporto?
No e a mio parere non dovrebbe farlo. Penso che la trasformazione dei crediti in azioni sia stata la soluzione un po’ obbligata per non evidenziare perdite che avrebbero gravato su un bilancio non particolarmente entusiasmante. Il problema è che in questo modo non si esce dalla difficoltà: Carim si dedica ad un business che non compete ad una banca, immobilizza la gestione, sottrae risorse alle imprese, si muove sulla lama di rasoio del conflitto di interesse. Non a caso il governatore Visco ha di recente richiamato le banche proprio a non cadere in queste tentazioni e lo ha fatto in un intervento molto chiaro pronunciato alla platea dell’Abi.
Ci sono state espressioni di stupore per il fatto che nella ricapitalizzazione non si sono coinvolti in maniera sostanziale investitori privati e associazioni di categoria. Lei si stupisce?
No. Se l’aeroporto di Rimini fosse l’affare di cui qualcuno parla, il cavaliere bianco sarebbe arrivato, se non si è visto è forse perché il cavaliere bianco non è un cavaliere stupido. Se i numeri deponessero a favore della struttura ci sarebbero anche gli investitori, com’è accaduto altrove. Purtroppo, invece, Rimini ha un bacino d’utenza troppo limitato e pensare che il privato entri in un progetto che non giudica conveniente è pura irrazionalità. Peraltro il no del Tribunale alla prima richiesta di concordato di continuità presentata da Aeradria non è stato un buon viatico per chi magari avrebbe avuto voglia di investire. Mi creda, il privato a Rimini fa tante cose, compreso comprare azioni di Mediobanca piuttosto che di Unicredit, ma la beneficenza è un’altra cosa. D’altra parte, se convenienza c’era, perché non si è seguita la strada del project financing?
Perché manca il privato?
Esattamente, il nodo è sempre lo stesso. Non so se qualcuno ci abbia pensato, ma sul mio blog io l’avevo proposto. A Rimini si è attinto ai project per tanti progetti: perché non anche per l’aeroporto? Il privato si coinvolge ma vuole ovviamente un ritorno in tempi accettabili e forse è proprio questo il punto debole.
Se però si parla di operazione di sistema, quantomeno non dovrebbero essere della partita tutte le associazioni di categoria?
Le associazioni di categoria non attraversano un momento facile. Le imprese versano in difficoltà, anche pagare le quote associative non è ormai scontato e le associazioni vedono venir meno la loro linfa vitale per cui in questo momento stanno molto attente alle spese. Davanti alla chiamata alle armi per “salvare l’aeroporto”, che sembra più che altro una mozione degli affetti, nemmeno le associazioni di categoria si entusiasmano più. Sa cosa le dico?
Prego.
Io sono interista e potrei anche decidere di pagare un abbonamento più caro per sostenere la mia squadra, ma se mi chiedessero di diventare socio dell’Inter non lo farei, ma neanche della Juve o di qualunque altra squadra, non sarebbe un buon investimento in termini finanziari.
Se tutto depone a sfavore dell’aeroporto, perché dovrebbe andare avanti quella che lei chiama la mozione degli affetti?
Per non trovarsi in seguito sul banco degli imputati ed evitare che si possa dire: Comune, Provincia, Carim hanno fatto fallire l’aeroporto. Per rimanere nella metafora calcistica, intanto viene tirata la palla in tribuna … sperando che qualcuno fischi la fine della partita e si possa uscire indenni dal campo di gioco.
Però San Marino ha detto sì e scuce in totale 2 milioni di euro.
San Marino con un investimento relativamente contenuto utilizza una struttura che con le sole sue forze non si sarebbe potuto permettere, ed evidentemente immagina di trarre dei benefici dal segmento commerciale. Ma questo non sposta il tema centrale: l’aeroporto di Rimini, anche ipotizzando che divenga l’aeroporto internazionale di San Marino, avrà sempre numeri contenuti e a mio parere non adeguati per reggere sul mercato.
Lei ha già accennato al richiamo di Visco, vogliamo un attimo glossare le sue parole? Il governatore di Bankitalia ha detto: “In più casi le banche italiane, oltre a erogare credito, partecipano direttamente al capitale delle aziende. Ciò può favorire un vaglio più accurato delle prospettive di crescita dell’azienda e una migliore valutazione delle sue esigenze finanziarie. Al tempo stesso, il legame partecipativo può talora distorcere le scelte di erogazione del credito; al crescere delle quote azionarie e dell’entità dei prestiti concessi, può dar luogo ad atteggiamenti collusivi o finalizzati a ritardare l’emersione di situazioni di difficoltà aziendale”.
In buona sostanza, se la banca finanzia una impresa di cui è socia, ha tutto l’interesse che i problemi – se ci sono – emergano il più tardi possibile. In secondo luogo, partecipando alla gestione si cade in tutti quei problemi che sono riconducibili al capitolo conflitto di interessi. Tutte cose già viste in Italia e che hanno reso necessaria la legge bancaria del ’36: all’epoca le banche erano azioniste e proprietarie di imprese che avevano maturato una congerie tale di debiti da coinvolgerle pesantemente. Gli atteggiamenti collusivi che si possono manifestare con una controllata non sono necessariamente da codice penale, ma comunque appartengono a logiche non strettamente professionali e trasparenti.
E quali ricadute potrebbero esserci per Carim qualora l’aeroporto di Rimini continuasse ad avere bilanci in rosso?
Per ora nessuna, perché i crediti vengono trasformati in capitale, ma appena Aeradria dovesse ricominciare a perdere, allora Carim si vedrebbe costretta – ovviamente – a registrare le perdite in bilancio per la propria quota di competenza. Mi sembra che il problema sia stato solo spostato in avanti e in più Carim sarà messa sotto osservazione da Bankitalia. Ma quel che più conta è che per la banca aumentano i cosiddetti non performing loans, cioè i prestiti non performanti, i crediti deteriorati, che incidono sul suo bilancio, e anche in conseguenza dei vincoli di Basilea (rapporto fra affidamenti e patrimonio di vigilanza) non potrà fare affidamenti alle aziende sane di Rimini che ne faranno richiesta per attraversare la crisi senza soccombere.

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