di Primo Fonti * Esauriti i fondi della Gestione INA Casa, altrimenti noto come Piano Fanfani, le prove tecniche di compromesso, che la “politica” ch
di Primo Fonti *
Esauriti i fondi della Gestione INA Casa, altrimenti noto come Piano Fanfani, le prove tecniche di compromesso, che la “politica” chiamerà “storico”, aveva prodotto, tra le altre, la legge sulle procedure di esproprio (legge 865 del 1971) e la legge n. 392 del 1978, più nota come legge sull’equo canone.
La legge n. 865/71 aveva disciplinato le procedure di esproprio delle aree da assegnare a cooperative costituite al solo scopo di edificare appartamenti per i soci imponendo un prezzo d’esproprio quasi irrisorio rispetto al valore venale.
Allora, disciplinare il “libero” mercato significava immettere nel sistema elementi tipici della “pianificazione”: i prezzi amministrati.
La logica che governava, però, non era quella del sano “compromesso” ma della mera “spartizione” del potere anche se era più elegante chiamarla “compromesso storico”.
Come ancora oggi accade dove non può o non vuole la politica, dispone la Magistratura. La Corte Costituzionale con la sentenza n.5 del 25.01.1980 ha chiarito definitivamente che il prezzo d’esproprio deve corrispondere al valore venale del bene.
Una simile pronuncia ha una doppia valenza politica e giuridica: da una parte dice che la politica non è Robin Hood in versione moderna e, dall’altra, che i patti, per primi quelli costituzionali, vanno rispettati. Regola, quest’ultima, difficile da digerire per la politica, antica e moderna.
Se le cose stanno in questi termini – e non possono stare diversamente – non vi è spazio, come pretende il Comune di Rimini, per riversare sui soci delle cooperative gli effetti economici della riliquidazione.
Se infatti i patti vanno rispettati non si può negare che le convenzioni stipulate dai Comuni con le Cooperative concessionarie hanno fissato liberamente un importo comprensivo del prezzo totale di esproprio delle aree e delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria e che tale importo è stato interamente versato senza che si prevedesse la futura regolazione del prezzo sulla base di una diversa determinazione delle indennità espropriative.
In altri termini, i maggiori oneri per l’acquisizione delle aree non possono essere recuperati addebitandoli ai soci assegnatari delle unità immobiliari.
La materia, peraltro, è già stata oggetto di esame giudiziale nei due gradi di giudizio ordinario davanti al Tribunale di Rimini che nel 2003 ha statuito con due sentenze definitive, una delle quali confermata in appello, l’insussistenza di alcun diritto di credito del Comune … omissis … nei confronti degli attori… con riferimento alla cessione delle eree PEEP per cui è causa”.
A nulla vale la possibile modifica delle convenzioni con la soppressione dei vincoli di alienabilità o la cessione in proprietà delle unità assegnate in diritto di superficie. La modifica delle convenzioni non costa nulla al Comune, mentre l’assegnatario non ne trae nessun concreto beneficio economico. Insomma, gli accordi sono da osservare!
* Avvocato, ha trattato diversi procedimenti giudiziari analoghi al caso relativo al Peep Ausa di Rimini.
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