Elefanti nella cristalleria di piazza Malatesta: parla l’ex Soprintendente regionale Garzillo

Elefanti nella cristalleria di piazza Malatesta: parla l’ex Soprintendente regionale Garzillo

Fellini avrebbe apprezzato? «Penso poco o molto poco».

I vincoli «vanno rispettati e basta», come fece l'allora Soprintendente Iannucci quando bloccò «il progetto “modernista” dell’Arch. Natalini per il Teatro Galli perché “in chiaro contrasto” rispetto alle disposizioni in materia di tutela monumentale che proibiscono qualsiasi costruzione nell’area adiacente la Rocca», scandisce l'architetto Elio Garzillo in questa intervista. «Una cosa è la fantasia (felliniana), l’immaginazione, il senso dell’onirico, tutt’altro è un sia pur moderno luna-park. Le singole installazioni, poi, pur realizzate senza risparmio di energie e di finanziamenti, sono tutte in qualche modo già viste». E sulla Soprintendenza che ha avallato il tutto: «mediando mediando se ne andranno all’altro mondo, un brandello per volta, i nostri luoghi più preziosi e si finirà per attivare il bottone rosso dell’autodistruzione».

Chi è l’architetto Elio Garzillo. Vanta una competenza di prim’ordine in restauro dei monumenti. E’ stato professore universitario ed ha al suo attivo numerose pubblicazioni in materia di beni culturali. Ha fatto parte di Commissioni tecnico-amministrative dell’Unione Europea e di due ministeri (Lavori pubblici e Beni Culturali), è stato Soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici a Bologna, a Salerno e direttore regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia-Romagna e della Sardegna. E’ stato co-autore, col Prof. Cervellati ed importanti professionisti, del progetto di ripristino filologico del Teatro Galli e in seguito referente per il ministero sullo stesso intervento di recupero.

Le chiedo anzitutto se ha avuto modo di farsi un’idea delle trasformazioni intervenute in piazza Malatesta e dintorni, considerato che gli allestimenti del museo Fellini interessano varie aree esterne, compresa piazzetta San Martino dove è stato collocato il rinoceronte, e interessano anche quelli che, forse in maniera significativa, vengono sempre più spesso definiti “contenitori”, a partire da Castel Sismondo e dal suo fossato. E qual è la sua valutazione complessiva.
Mi sta chiedendo già in partenza una “valutazione complessiva” su quanto realizzato…
In verità, apprezzo la volontà di ricordare la figura di Federico Fellini nell’occasione del centesimo – in verità centunesimo – anno dalla nascita. E conosco questa parte della Città, essendo stato anche co-autore, col Prof. Cervellati ed importanti professionisti, del progetto, datato 2004, di ripristino filologico del Teatro Galli. Abbiamo davanti uno spazio prezioso, anzitutto per le memorie vive e forti dei Malatesta: a partire dalla Rocca, l’enorme castello costruito da Sigismondo Pandolfo Malatesta, un monumento con paternità riconducibile perfino a Filippo Brunelleschi.
Le prime perplessità sorgono quando si prende in considerazione, nel suo insieme, quanto realizzato. Tutto appare come un parco di divertimenti. Una cosa, penso, è la fantasia (felliniana), l’immaginazione, il senso dell’onirico, tutt’altro è un sia pur moderno luna-park. Le singole installazioni, poi, pur realizzate senza risparmio di energie e di finanziamenti, sono tutte in qualche modo già viste. Di vasche d’acqua “a filo” le città europee e italiane sono piene e il riferimento ripetuto alla Mirroir d’eau di Bordeaux – ben altra cosa, in verità, peraltro sita in una città a 60 km dal mare – sa un po’ troppo di provincialismo. Le proiezioni notturne su pareti di edifici (nel nostro caso, il retro del teatro Galli) sono ormai comunissime e spesso nulla hanno a vedere ad esempio con le “invenzioni” realizzate da W. Wenders a Bologna ormai vent’anni fa. Persino il rinoceronte (la straordinaria creazione datata 1983 di Valeriano Trebbiani per il film E la nave va) vive con e nelle numerose repliche del suo Autore e di altri artisti. Sarà un caso, ma lo stesso Trebbiani ha fatto qualche anno fa fuoco e fiamme per i suoi rinoceronti, in piazza ad Ancona, oscurati proprio da un mini luna-park.
Siamo di fronte a un insieme poco coerente di episodi in cui la forma viene lucidata come un gadget vistoso, per essere specchio sì ma anche allodola. Con l’ossessione di “lasciare il segno”. Episodi che trasformano quel prezioso luogo aperto in “contenitore”, in cui del dichiarato “recupero identitario” non c’è traccia. Lo stesso Castel Sismondo è considerato come un contenitore da riempire e non come un monumento in sé: un contenitore-punto d’appoggio, pieno di tecnologia interattiva e non.
A questo si aggiungono gli altri “interventi”, fra cui il filare di vecchi platani purtroppo abbattuti e il platano plurisecolare a quanto pare destinato ad una teorica emozione basica in ricordo di un episodio di Amarcord. O l’area con panche in legno a ridosso del Castello. O, naturalmente, l’illuminazione notturna…

Surfista in piazza Malatesta. Qui non si immagina solo ma si fa qualunque cosa. Sabato pomeriggio oltre al surfista a bagno nel vascone d’acqua c’erano un cane, una bicicletta e, come sempre, un nugolo di bambini, alcuni in totale ammollo.

Uno degli aspetti più controversi riguarda la spessa soletta di cemento armato che è stata riversata su tutta piazza Malatesta, con la realizzazione di una vasca d’acqua che ha previsto un “vano tecnico” di circa 100 metri cubi nell’area del fossato di Castel Sismondo, interrato ad una profondità di circa 4 metri. Tutto questo è stato fatto in un’area archeologica tutelata in forza di un vincolo archeologico che risale al 1991 e che riguarda il sottosuolo delle aree incidenti sul tracciato delle mura tardo imperiali e sull’area occupata dall’antico fossato difensivo della Rocca; e da un vincolo di inedificabilità che invece risale al 1915, finalizzato ad assicurare la prospettiva della Rocca Malatestiana. Lei è stato Soprintendente regionale, non posso non chiederle se a suo parere si tratta di interventi compatibili con i vincoli esistenti.
La “vasca d’acqua” e il suo vano tecnico di circa 100 metri cubi interrato in cemento armato? È stato infilato quell’enorme meccanismo interrato negli spazi del vallo, con volumi accessibili per ispezioni, con serbatoio d’acqua e meccanismo di sollevamento per alimentare tanto la vasca quanto il velo d’acqua vaporizzato – sul tipo di quello di Bordeaux – su cui (in futuro) proiettare, in alternativa o in addizione al retro del Galli, sequenze di film. Naturalmente, lì sotto – per alimentare la sola vasca – sarebbe bastato molto meno di un incredibilmente voluminoso congegno cementizio multivano, ma questa ipotesi non sembra sia stata presa in considerazione. Si è preferita una soluzione invasiva costosa e evidentemente irreversibile, che molto difficilmente potrà consentire in futuro scelte diverse. Arte dell’effimero e del sogno, come è stato detto? Ho dubbi sul sogno, ma di effimero lì non c’è certo traccia.
Italia Nostra, prendendo con sconcerto atto qualche mese fa delle stravolgenti opere in corso e della stessa relazione illustrativa al progetto (… la fontana – leggo – che segue il bordo dell’antico fossato ha una profondità di 5 cm, tali da ospitare un velo d’acqua che ricordi la presenza dell’antico sistema difensivo, ma ne permetta la fruizione ai visitatori… e presenta poi un gioco con getti d’acqua nebulizzata, che vanno a formare uno strato di nebbia, richiamando sia le suggestioni felliniane che il fossato…), ha segnalato alla Procura della Repubblica di Rimini la possibile (oggi ormai definitiva) preclusione della corretta soluzione di rimettere in luce l’apparato difensivo e di ripristinare la continuità visiva delle integrali strutture del monumento. Staremo a vedere.

Mi risulta, ma le chiedo conferma o smentita, che il cosiddetto progetto “modernista” presentato per il recupero del teatro Galli, venne “stoppato” dalla Soprintendenza perché avrebbe violato i vincoli di cui sopra. E’ così oppure no?
Il progetto “modernista” dell’Arch. Natalini per il Teatro Galli è stato effettivamente bloccato dall’allora Soprintendente Iannucci sin dal 1992 perché “in chiaro contrasto” rispetto alle disposizioni in materia di tutela monumentale che proibiscono qualsiasi costruzione nell’area adiacente la Rocca (il D.M. del 1915) e per le normative a maggior tutela aggiunte nel 1991 (vincolo archeologico) e per l’ulteriore D.M. “di esplicitazione” datato 1992. La Soprintendente concludeva che “il progetto in questione è evidentemente inattuabile per i dispositivi di legge sopracitati”. Il progetto – peraltro – discendeva come è noto da un concorso di idee bandito in piena autonomia dal Comune di Rimini. Il progetto di ricostruzione filologica poi realizzato (con alcune variazioni, su cui non è il caso qui di soffermarsi, rispetto al “progetto Cervellati”) ha fatto invece rientrare il nuovo Galli nella storica area di sedime, rispettando quindi tutte le tutele vigenti. Rispettando così la volontà espressa con determinazione da Comitati e da cittadini riminesi.
Quelle tutele (“vincoli”, come vengono definiti) sono tuttora vigenti. Anzi – con le più recenti e stringenti normative inserite nel “Codice dei Beni Culturali” – se ne sono aggiunte altre: come pubblica piazza dell’insediamento urbano storico, Piazza Malatesta è bene culturale in sé (art.10, 4g) e il suo carattere storico (art.20) va preservato, evitandone (art.170) qualsiasi uso incompatibile con il suo carattere storico o pregiudizievole di quel carattere. Siamo insomma in una cristalleria. Dove è necessario agire (perché agire può e magari deve essere necessario), ma con un’attenzione e un rispetto che siano proporzionati all’importanza storica e simbolica dei luoghi. La religione del fare, con la sua cultura semplificatrice e derogatoria, unita al declino inarrestabile della cultura delle regole, qui non può, non potrebbe, trovare spazio. La cosiddetta “gestione del vincolo” non dovrebbe qui trovare spazi sconfinati e nemmeno quel sentimento di confusione e di incertezza che spesso ci sembra di star vivendo. E le tutele non hanno, non possono avere, una vita misteriosa come quella dell’Uomo Ombra e una capacità segreta di produrre conseguenze sorprendenti. Vanno rispettate e basta.

C’è una domanda connessa alla precedente che vorrei porle: in tanti si chiedono come sia stato possibile che la competente Soprintendenza abbia consentito un intervento tanto pesante e snaturante («osceno» l’ha definito Cervellati), addirittura finanziato in maniera sostanziosa dal ministero della cultura; nel girare questo interrogativo a lei, ne aggiungo un altro: lei ha detto diversi anni fa intervenendo ad un incontro pubblico a Bologna, che le Soprintendenze «non bocciano più, ma danno prescrizioni, concordano, trattano, mediano fra scelte politiche e istanze di questa o quella categoria sociale». E’ questo che sta avvenendo e perché?
L’azione delle strutture statali di tutela? Sì. È proprio questo il problema, il nostro warning, il nostro allarme rosso. Un problema gravissimo, che purtroppo non posso che confermare nei termini che lei mi ricorda di aver già detto qualche anno fa.
Le esigenze di tutela si pongono quale “valore di straordinario rilievo”, primario e insuscettibile di essere subordinato a qualunque altro. Le Soprintendenze non sono un servizio di sportello e non devono “mediare” – né concertare o fare confronti – con altri valori pur rispettabilissimi: e dispongono di tutti i necessari strumenti, amministrativi e normativi che siano. Ma dispongono di strumenti soprattutto culturali: e questa è la loro forza, senza necessità di tendere all’incolore o di limitare il proprio pensiero ai sentieri suggeriti dagli altri. Devono essere un riferimento di cultura e di azione: perché mediando mediando se ne andranno all’altro mondo, un brandello per volta, i nostri luoghi più preziosi e si finirà per attivare il bottone rosso dell’autodistruzione.

Le cito un brano del discorso inaugurale del museo Fellini tenuto dal sindaco di Rimini e le chiedo un commento:
«C’è un vincitore! Sì c’è! In questo caso hanno vinto i bambini che adesso possono muoversi liberi là dove non potevano, possono correre in uno specchio d’acqua come i coetanei di Bordeaux, o al Guggenheim di Bilbao, possono chiedere ai genitori o ai nonni chi siano quegli strani personaggi in bianco e nero proiettati sul teatro e cosa ci sia in quel castello. Perché a Rimini ci sono l’elefante e il rinoceronte. Sigismondo e Fellini. Possono. Possono chiedere. Il punto è proprio questo. Rinunciare per tanti, troppi anni, alla bellezza, alla storia, a passeggiare e godere di questi spazi è stato prima di tutto una privazione di ‘potere’ della persona, dunque di libertà. Chi aveva deciso, e per quale motivo, che questa piazza dovesse esercitare la sua tirannia con l’auto o nel castello, il nulla travestito da niente? Potere scegliere. Scegliere di dire ‘mi piace’, scegliere di dire ‘non mi piace’, scegliere di attraversare una nebulizzazione d’acqua, scegliere di non togliersi le scarpe e scegliere di scuotere la testa. Ma oggi possiamo scegliere: prima no. Oggi restituiamo a Rimini non solo un unico, straordinario omaggio di valore internazionale al suo figlio e genio, ma sopra ogni cosa la possibilità di esercitare liberamente un diritto primario, un diritto civile, indispensabile come l’aria, come l’acqua. C’è chi obietta: non si può ridurre il dibattito sul Fellini Museum a ‘mi piace’ o ‘non mi piace’. Sul piano culturale una risposta di qualche autorevolissimo intellettuale è stata: e perché no? Ma io penso che la novità, la strada nuova è che oggi possiamo farcela questa domanda, dandoci le risposte che riteniamo. Ma prima, santo Dio, quando c’era una piana di catrame e PM10 qualcuno poteva chiedersi ‘mi piace’ o ‘non mi piace’? Poteva scegliere? Poter scegliere è il primo esercizio di democrazia. E di libertà. E’ poco?»

Il Sindaco fa il suo mestiere ma rilascia dichiarazioni non sempre confortanti, specie in questa stagione di incendi… “a noi piace alimentare il fuoco, non adorare la cenere”. Forse per cenere da non adorare intende il “parcheggio” di Piazza Malatesta, che peraltro era ufficialmente suggerito come tale su tutte le guide turistiche cittadine. Ma, in quest’ipotesi, come mi hanno detto spiritosamente alcuni riminesi, sarebbe bastato sostituire il parcheggio asfaltato con un prato ben curato di altrettanti mille metri quadrati… Forse è stata scelta la soluzione, con i luoghi, più “facile”. Il cinema Fulgor in Palazzo Valloni è totalmente riallestito e il Grand Hotel è affidato all’iniziativa privata. Altri riferimenti specifici sarebbero stati forse difficili o imbarazzanti. D’altronde la casa natale di Fellini non c’è più, la casa dei Benzi di Amarcord dimenticata, come la casa felliniana di Gambettola. Utilizzare le colonie abbandonate (a Bellariva o a Miramare, ad esempio), allargando coraggiosamente la prospettiva, non è stata un’eventualità presa in considerazione, anche se lo stesso Fellini allargava lo sguardo e faceva ricostruzioni a Ostia o altrove.

A conti fatti… un buco nell’acqua?
In definitiva, tutto appare come un’importante occasione perduta, non priva di conseguenze che si protrarranno di sicuro nel tempo. La creatività come narrazione – mai come in questo caso necessaria – non è rappresentata: ma la stampa ufficiale è, per ora, quasi tutta acriticamente celebrativa. Si è abbassato, in tutti i sensi, il livello: e abbassare il livello non è mai una buona idea, anche se magari determina, o sembra determinare, successo di pubblico. Se tutto si affida allo sforzo di una narrazione accattivante, non si può aspettare, al più, che un parziale effimero e con esso la delusione che ne consegue. Non so se o quale parte di tutto questo sarebbe stata apprezzata da Fellini. Penso poco o molto poco.

COMMENTI

DISQUS: 0