Esclusioni storiche dall’albo delle “botteghe” del Comune di Rimini e discutibili inclusioni

Esclusioni storiche dall’albo delle “botteghe” del Comune di Rimini e discutibili inclusioni

«Il rammarico è innegabile. Non so quante attività storiche come la nostra ci siano in città». La gelateria Marselli, più di 70 anni di vita e una qualità ampiamente riconosciuta, non è stata ammessa nell'albo che valorizza le realtà commerciali e artigianali che abbiano radici nel passato. Ma fra le bandiere della tradizione sono stati promossi ben sette pub.

È il 1947. Armando Marselli, ventenne di belle speranze, reduce come tutti i Riminesi (quelli rimasti) da una guerra devastante, si adopera per aprire una piccola latteria in viale Tripoli. Lo aiuta Antonio, il fratello sedicenne che gli fa da “bocia”, come si diceva allora. I due giovani battono l’entroterra per reperire il latte che poi vendono nella bottega che si affaccia sul viale, all’epoca non ancora asfaltato, come racconta Antonio. I sacrifici e la fatica sono alleviati dall’entusiasmo e da quel furore costruttivo e ricostruttivo che ha contraddistinto il dopoguerra. Per tornare a una vita normale, con un orizzonte non più invaso dai traccianti o dalle bombe che piovevano come riso lanciato sulle teste degli sposi. A distanza di poco tempo, i due fratelli pensano bene di ricorrere a un sortilegio. Trasformano il latte in una voluttuosa lusinga dolce: il gelato. L’operazione ottiene il consenso del pubblico che lecca, assapora, gradisce e commenta favorevolmente. A quel punto, col passare del tempo, non rimane che sposare la dolcezza con una nota di amaro.

Il locale si arricchisce della miscela Moka Rica di Forlì. Lo storico marchio è impresa dello scrittore – futurista – intellettuale Silvio Carella. Insieme con il figlio Franco, fonda l’azienda nel 1950. Di quest’ultimo è la paternità dell’originale logo del “Caffè in frac”. A distanza di settant’anni, il sodalizio tra Marselli e Moka Rica dura tutt’ora con reciproca stima, tanto che nell’insegna della caffetteria/gelateria compare anche il nome della torrefazione.
Un ex “ragazzo” del ’28 che abita in zona, ricorda che l’apertura di quella attività, per il quartiere fu un avvenimento di un certo rilevo. «Il gelato, fino ad allora, qui non era ancora arrivato», specifica. E tiene a puntualizzare che «la crema, da Marselli è sempre stata fatta con le uova. Di polverine o strane porcherie, nemmeno a parlarne». Da quello che si sente dire in giro, la tradizione è stata mantenuta sia dal “piccolo di bottega” che negli anni ha rilevato la quota del fratello, che dai figli e ora anche dal nipote. Di generazione in generazione i Marselli hanno lasciato un segno chiaro e deciso di qualità e seria dedizione al lavoro. Questa è esattamente la reputazione che si fiuta, appena si accenna al nome della gelateria.
Ora, le redini dell’azienda sono saldamente in mano ai due figli di Antonio e Franca, alla nuora, al nipote Alessandro e alla sua fidanzata. È demandato loro il còmpito di perpetuare la storica, dolce tradizione di famiglia. Storica? Beh, settantatré anni di attività, nello stesso luogo, condotta sempre da un’unica famiglia, talvolta usando gli stessi prodotti, vedi il caffè oppure le macchine Carpigiani, tuttora operanti nel retrobottega (sala-parto della gelateria), non sono pochi. Se non è consegnata alla storia di Rimini questa, non lo è nessuna azienda, viene istintivo pensare. Ma non è così.

Da Marselli il “Caffè in frac” e le macchine Carpigiani

Nonostante le premesse sopra accennate, alla famiglia Marselli è stata respinta la domanda di iscrizione nell’albo delle “Botteghe Storiche di Rimini”. Se non ci fosse il rischio di inciampare in una fin troppo facile ironia, si potrebbe dire: “doccia fredda sulla gelateria”. In verità, Massimo Marselli (uno dei titolari) che abbiamo contattato telefonicamente, non è esattamente entusiasta di come sono andate le cose.
«Abbiamo raccolto vari documenti, foto, ricordi, ricostruito faticosamente la vita lavorativa dell’azienda e infine fatto domanda. C’è stato poi il sopralluogo da parte dei funzionari del Comune. Alla fine hanno detto che agli occhi di un nuovo avventore non ci sono reperti sufficientemente chiari, tali da rendere apprezzabile la storicità del locale. Purtroppo, nel corso dei decenni muri e arredi e banco-bar sono stati più volte ristrutturati (cosa che periodicamente capita alla stragrande maggioranza delle attività; ndr) quindi, di “storico” abbiamo solo le foto che attestano una tradizione di svariati decenni di lavoro e le macchine Carpigiani, peraltro invisibili al pubblico, poiché situate nel laboratorio».

In occasione dei festeggiamenti per i 70 anni della gelateria: Franca, Antonio, Claudia, Davide, Alessandro con la fidanzata Mery e Massimo

Tra la lista dei “promossi” notiamo attività che di storico hanno ben poco, se non nulla.
«Non è assolutamente nostra intenzione fare polemica. Dico però che se ci avessero spiegato con chiarezza che i requisiti richiesti erano entro confini così rigidi, la domanda non l’avremmo nemmeno presentata».

E il motore della vostra gelateria? Anche i macchinari sono stati sostituiti in toto?
«Scherziamo? No di certo. Lo ripeto. Abbiamo ancora le bolognesi: le “Carpigiani”. Le adoperiamo ancora, per lavorare il gelato. Pensi che nel 2012 è stato inaugurato il Gelato Museum Carpigiani. È l’unico al mondo, dedicato alla storia del gelato! Si può dire che nel retrobottega teniamo pure pezzi da museo… Ma ahinoi, non sono direttamente visibili e quindi, a detta del Comune, non possono attrarre la curiosità degli avventori. Chi entra qui, sa tuttavia che facciamo gelati dal 1947. Senza soste e senza cambi di gestione. Sta scritto a chiare lettere sulla grande targa all’ingresso».

La sentenza di esclusione è stata senza appello?
«A dire la verità, ci hanno anche richiamato per sapere se per caso avessimo allestito un angolino che riconducesse alla storia del locale. Qualche attrezzatura, qualche oggetto. Ho risposto che non avevamo né tempo, né voglia, ma soprattutto, spazio da riservare a un “angolo dedicato”. Disponiamo di soli cinquanta metri quadrati di spazio. E poi, sinceramente, mettere in mostra che so, una foto, una spatola e un cestello per gelato a mo’ di altarino, ad esempio, per palesare la storicità della bottega, mi sembra di prendere in giro il cliente».

Vi sarà dispiaciuto rinunciare a una giusta consacrazione, dopo tanti anni di sudato lavoro.
«Il rammarico è innegabile. Non so quante attività storiche come la nostra ci siano, a Rimini. Quando abbiamo festeggiato i settanta anni di attività, devo dire che molto carinamente, anche il Sindaco Gnassi ha partecipato e brindato alla nostra festa. Quindi un certo rammarico è inutile nasconderlo. Avremmo avuto piacere di partecipare a questa iniziativa. Ma non abbiamo i requisiti richiesti. Se hanno deciso così, avranno i loro buoni motivi. Ripeto, non faccio polemica, ma sono dispiaciuto. E stupito.

Suo padre, che commenti ha fatto quando ha saputo dell’esclusione dall’albo?
Beh, per un ottantottenne che ha dedicato la vita intera al lavoro è un riconoscimento che sarebbe stato molto gradito. Vedere quella targa, per lui e mamma avrebbe rappresentato un vanto. Anche nei confronti di parecchi turisti che entrano dopo averci visto sulle guide turistiche, descritti come una delle migliori gelaterie di Rimini».

Fin qui il racconto pacato, cui fa da sottofondo una malcelata vena di amarezza, di Massimo Marselli.
Scorrendo la lista delle attività che hanno ricevuto il benestare per fregiarsi del titolo di “Bottega Storica”, ne abbiamo viste alcune che, conoscendone la logistica o le caratteristiche, ci fa comprendere ancor meno l’esclusione della gelateria dei Marselli e l’inflessibilità mostrata nei loro confronti. Non siamo qui a perorarne la causa, ma pur cogliendo che da qualche regola si debba partire, crediamo peraltro che in talune circostanze queste vadano applicate con una certa elasticità. Tanto più se all’interno delle stesse ci sono a parer nostro, evidenti forzature. Veniamo al punto dell’ordinanza comunale di Rimini che ci sembra alquanto opinabile.
La normativa riguardante la “Promozione e valorizzazione delle botteghe storiche” fa riferimento alla legge regionale del 10 marzo 2008 e a successive delibere comunali che non stiamo ora a citare. Diremo solo che alle botteghe selezionate viene rifuso l’importo (calcolato sull’ultima Tassa sui Rifiuti pagata) fino ad esaurimento del plafond di 200.000 euro complessivi messi a disposizione dal Comune per i primi due anni a partire da quello in corso. In caso di sforamento si procede per decremento proporzionale. Ma chi vorrà, potrà trovare i collegamenti ipertestuali al termine dell’articolo.
Al comma 1, lettere a), b), c) si citano i requisiti. Il comma 2 fa una precisazione al comma 1, lettera a).
Al punto 3 della suddetta legge si stabilisce che «In deroga al disposto di cui al comma 1, lettera a), lo status di “Bottega storica” può essere riconosciuto anche ad esercizi operanti da almeno venticinque anni, quando si tratti di esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande recanti la denominazione “Osteria”». Fino a qui, tutto bene. Le linee guida sono chiare. la Treccani altrettanto: «osterìa s. f. [der. di oste1]. – Nel passato, locanda dove si poteva mangiare e trovare alloggio. Oggi, locale pubblico, di tono modesto e popolare, con mescita di vini e spesso anche con servizio di trattoria».
Succede che nel 2009, la Giunta del Comune di Rimini, con la deliberazione n° 249 decide di assimilare alle “Osterie” anche gli esercizi di somministrazione con denominazione diversa “Birreria”, “Enoteca”, ecc. (“ecc.” si legga “pub”; ndr) in quanto attività significative per la tradizione locale. Sapete quante tipologie di aziende compaiono nell’attuale lista dei “promossi”? 17 imprese diverse (si veda il box in fondo) di cui un quarto del totale sono pub. Sissignori, curiosamente il 25% delle aziende scelte è costituito dal genere meno rappresentativo tra tutte le attività economiche che avrebbero potuto chiedere l’ammissione al desiderato albo.

Antonio Marselli con la moglie e il figlio Massimo in una fotografia “storica”

Quanto alla “storicità percepibile” dall’avventore, di alcune di esse nutriamo forti e nel caso, a gentile richiesta, esponibili dubbi. E ancora una volta, non ci capacitiamo come Marselli sia stato escluso, considerando poi che l’unica gelateria (Nuovo Fiore) presente nella lista è stata aperta nel 1964, ben diciassette anni dopo. Ai selezionatori forse è sfuggito il fatto che alcune attività, per sopravvivere alle giuste e continue normative in materia di igiene devono forzatamente rinnovare materiali e arredamenti. Ad esempio, una cosa è una barbieria che può restare immutata negli anni, altra storia è la somministrazione di materie a base di latte, uova o comunque elementi facilmente deperibili. Spesso si richiede l’acciaio inossidabile, superfici non porose, il vetro e attrezzature idonee alla massima pulizia. La vetustà va facilmente a farsi benedire. Forse questi aspetti andavano considerati, ma tornando alla questione delle “attività significative per la tradizione locale” (sic!), quali erano le osterie, ormai purtroppo scomparse dal panorama locale (speriamo che qualcuna sia sopravvissuta in Veneto) non si può pensare di sostituirle con i pub. Anche quelli più vecchi (il massimo della longevità porta come data il 1964) a Rimini e non solo, imitano lo “stile” di quelli inglesi. Anche se riprendono arredamenti e oggettistica tipicamente britannica, ovviamente non possono essere e di fatto non lo sono, inglesi. Siamo di fronte a “una copia originale”. Se preferite, a un “vero” falso pub. Il confronto con la maggior parte di quelli nostrani, scopiazzati alla meno peggio, non regge proprio. Ma va benissimo. Basta che il tutto resti nell’alveo naturale delle riproduzioni senza troppe pretese. Se invece vengono sciaguratamente considerate bandiera delle nostre tradizioni, allora scatta la ribellione.

Antonio Marselli

Come direbbe l’amico “rurale” Enrico Santini «Acqua farina, strutto e una teglia di Monte Tiffi, per i più fighetti. E un bicchiere da osteria, spesso e liscio, colmo di Sangiovese. Culo per aria e mani nella sabbia a raccattare poveracce. Poi di corsa a casa in bicicletta a tirare quattro uova di tagliatelle. Le nostre tradizioni sono queste». Ecco perché rifiutiamo di condividerne una fasulla, artificiale, del tutto impertinente rispetto alla “valorizzazione delle botteghe storiche”. I veri “pub”, tra l’altro, belli o brutti che siano, nulla hanno a che fare con la nostra architettura esterna, con l’arredamento e volendo, non quagliano neppure sotto l’aspetto sociologico dei rapporti interpersonali tra i frequentatori. Sono tutt’altro. Anche se i pub vengono fatti discendere direttamente dalle taverne dei romani (invasori), i britannici hanno usi e costumi naturalmente molto differenti dai nostri. Le loro “public house” muovono da un’autentica storia che soffia alle spalle, tavole di legno, tende fumose, polvere, vetri satinati, specchi, ottone e insegne di ferro battuto comprese. Va da sé che a nostro modesto parere una tipologia di locale del genere non possa assolutamente essere considerato come “attività significativa per la tradizione locale”. Che poi, tra le ventotto aziende accuratamente selezionate, un quarto di esse, sorprendentemente siano “pub”, ci pare un controsenso, una distorsione senza motivo. A Bologna, il primo di ottobre del 1960, entrano in azione gli spillatori di birra del terzo pub più vecchio d’Italia (dopo Roma e Milano). Si chiama Wolf, diminutivo di Wolfrano Cavedagna. A dispetto del nome, il proprietario è un bolognese “doc”. L’ Amadeus apre i battenti nel 1985, L’Old Bridge Pub nel 1989 mentre il Black Fire Pub mesce la prima birra nel 1995. Sono solo alcuni, tra quelli più conosciuti, ma potremmo continuare. Il tutto per dimostrare come Bologna, pur vantando un numero considerevole di aziende del genere, al termine dell’articolo 2 delle Disposizioni Operative abbia sottolineato a chiare lettere che «Sono esclusi dalla definizione di “Osteria”, i “pub”». Ma guarda. Che mancanza di fantasia, questi bolognesi.
Immaginatevi invece di passeggiare per le strade di Chelsea, quartiere elegante di Londra. Appena svoltate a destra da Cadogan Gate, in Sloane Street vi imbattete in un negozio di abbigliamento: Emilia Wickstead. Esiste veramente. Già avvertite aria di casa. Subito appresso, e qui subentra l’onirismo, la vetrina di un altro negozio espone una bella targa color “racing green” che recita: “Tortellino House – old Bolognese Store since 1970”. Non vi sgagnascereste dal ridere? A Bologna, proprio per evitare di cadere nel ridicolo, hanno immediatamente messo un fermo a qualsiasi estemporanea interpretazione di “osteria”. In tutta Italia il significato è univoco, non interpretabile, ma soprattutto non espandibile a piacimento, come una fisarmonica. A Rimini, evidentemente, non è così. Tutto è possibile. Si ha l’impressione che abbiano fatto una singolare forzatura. Come fare entrare un elefante in una 500. I motivi ci sono oscuri, ma considerato che nel tempo sono riusciti a compiere ben altre magìe, perché non azzardare anche in questa occasione? Tanto…
Auguri lo stesso, Marselli. E continuate sereni per la vostra strada.

Le tipologie di attività che fanno parte delle Botteghe Storiche a Rimini
1 gelateria, 1 tabaccheria, 1 ottico, 1 negozio di giochi, giocattoli e modellismo, 1 vendita e riparazioni biciclette, 1 negozio pantofole e accessori per scarpe (che ha cessato l’attività da qualche mese), 1 cappelleria, 1 di articoli per la casa, 1 bar, 1 farmacia, 1 negozio di forniture elettriche, 1 pizza al taglio, 1 trattoria, 2 negozi di abbigliamento, 2 gioiellerie, 4 ristoranti e 7 pub.
Link
Legge regionale 10 marzo 2008, n. 5: promozione e valorizzazione delle Botteghe Storiche.
Comune di Bologna: dalla definizione di osteria sono esclusi i “pub” (art. 2 comma c).
Comune di Rimini: il periodo minimo di attività passa da 50 a 25 anni quando si tratta di esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande con la denominazione di “Osteria” (la deliberazione della Giunta del Comune di Rimini n. 294 del 2009 ha stabilito di assimilare alle “Osterie” anche gli esercizi di somministrazione con denominazione diversa (“Birreria”, “Enoteca”, ecc.) in quanto attività significative per la tradizione locale).
Elenco delle iscrizioni nell’Albo delle Botteghe storiche del Comune di Rimini e i requisiti per l’iscrizione

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