“Mi pare d’essere diventato un oggetto turistico e mi ribello”. Pillole di Fellini in vista della parata di domani

“Mi pare d’essere diventato un oggetto turistico e mi ribello”. Pillole di Fellini in vista della parata di domani

Urge un vaccino, da iniettarci tutti quanti, anche i no vax, per riuscire a festeggiare l'inaugurazione del Fulgor senza cadere nel solito provincialismo pataca.

Urge un vaccino, da iniettarci tutti quanti, anche i no vax, per riuscire a festeggiare l’inaugurazione del Fulgor senza cadere nel solito provincialismo pataca. Certa enfasi attorno all’evento epocale che si celebra domani avrebbe fatto inorridire Fellini. Ricorda un po’ quello che succedeva quasi mezzo secolo fa, all’uscita di Amarcord. In consiglio comunale qualcuno chiedeva al sindaco “la presa di contatto con il regista ed i produttori al fine di assicurare alla città di Rimini la proiezione in prima assoluta mondiale di questo film”. Linguaggio a parte, il circo è un po’ lo stesso. Servono robusti anticorpi. Che abbiamo trovato in Federico Fellini.

“Farò un film comico e straziante, indirettamente un ritratto della società italiana. Che cos’è il Borgo se non il riassunto dell’Italia più povera e arretrata? La cittadina che ho inventato rappresenta l’eterna provincia dell’anima, un luogo dove la mancanza di cultura è il legame dei difetti collettivi. I provinciali credono nell’autorità e la cercano; desiderano una figura protettiva, il padre, la chiesa, il partito, il ministro. I provinciali non crescono mai, la loro ambizione è di restare infantili: questo atteggiamento ha certo il suo fascino ed è difficile abbandonarlo”. (Federico Fellini parlando di Amarcord, giugno 1973)

Non voglio più sentire parlare di Rimini. Ogni tanto qualche compagno di scuola, bravissima persona, si presenta ai giornalisti e dice di essere la figura principale del mio prossimo film. Tira fuori fotografie ingiallite e vecchi autografi. Quanto durerà? Vogliamo capire che non è vero niente? Il borgo di Amarcord non è Rimini, io sono romagnolo solo per caso e mi ritengo completamente romano. Mi pare d’essere diventato un oggetto turistico e mi ribello. La mia provincia è metafisica, può essere collocata in qualsiasi punto della carta geografica”. (idem come sopra)

“Che cosa mi addolora? Certi rigurgiti di fascismo, inteso soprattutto come una componente del costume, la tendenza ineluttabile a scivolare nella stupidità, nel conformismo, nelle idee generali degli altri, questa implacabile pigrizia, questo desiderio inconscio di non essere liberi…” (Intervista a Enzo Biagi, marzo 1973)

Walter Ceccaroni, sindaco di Rimini, negli anni 60 si presenta a Roma da Fellini per offrire al figliol prodigo i maggiori onori cittadini. Federico lo guarda ben bene, poi risponde: “Sì, sono onorato. A patto, però, che io arrivi a Rimini per via di mare, su una tartana dalla gran vela bianca, con la banda sul molo!” “E come no”, risponde il sindaco. “E però sulla vela bianca – aggiunge Fellini – devono essere scritte a caratteri cubitali le parole: “Viva la…!”. E qui una parolaccia. (Edda Montemaggi, La Stampa, 11 luglio 1973)

“Io mi sento completamente arreso alle donne, sto bene unicamente con loro: sono mito, mistero, diversità, fascino, tensione di conoscenza, sguardo per vedere te stesso. Sono tutto, le donne. Mi sembra che, col suo alternarsi di luce e oscurità, di immagini che appaiono e spariscono, il cinema stesso sia donna. Come in un ventre di madre, stai al cinema fermo e raccolto, immerso nel buio, aspettando che dallo schermo t’arrivi la vita… al cinema bisognerebbe andare con l’innocenza del feto”. ( Fellini a Lietta Tornabuoni, marzo 1980)

“A Rimini, il “cinema” si chiamava Fulgor, l’ho già raccontato in quasi tutti i miei film. Adesso, nell’atrio, c’è una mia grande fotografia. Sto li proprio sopra la cassa, e non posso fare a meno di pensare che, quando c’è un film che non piace, la gente uscendo se la prenderà un po’ anche con me, mi guarderà con delusione.

E la moglie del farmacista che andava al Fulgor per farsi tastare? Vedeva i film tre o quattro volte di seguito e tutto attorno a lei era un gran carosello di giovanotti, anche noi ragazzini tentavamo la grande avventura, cambiando posto in continuazione con una lenta marcia di avvicinamento.

Poi c’era Baghino, che stava ritto nel buio dietro le tende, per spiare sulle facce degli spettatori la minima espressione di insofferenza quando sullo schermo, nei cinegiornali, appariva il Duce, e poi correva a dirlo al Fascio. Una volta, in quattro, lo hanno arrotolato dentro la tenda, facendolo girare come un salamone appeso al soffitto e legandolo alle caviglie e sopra la testa”. (Fellini, “Il cinema Fulgor”, in Block-notes di un regista, Longanesi, 1988)

COMMENTI

DISQUS: 0