Ha sede a Viserbella, fattura 1 milione di euro l'anno, lavora con l'Italia (Orogel e altri) ma anche con Olanda, Israele, Francia e Spagna. "Il nostro lavoro è l’offerta di servizi che consentano ai prodotti della terra di crescere sani". Intervista a Simone Pizzagalli.
La storia che raccontiamo oggi interessa tutti coloro che comprano frutta e verdura o dal fruttivendolo vicino casa, oppure al supermercato, nei farmer marker di quartiere o dal contadino direttamente. Parliamo infatti di Verdelab, un laboratorio privato di fitopatologia, assistenza agronomica e fitosanitaria, con sede a Rimini. Paroloni su temi che c’entrano molto con la qualità della frutta e della verdura e dunque con la nostra salute.
Simone Pizzagalli, originario di Cattolica, 50 anni compiuti da poco, è un dottore agronomo specializzato in fitopatologia, iscritto all’ordine dei dottori agronomi e forestali delle province di Forlì, Cesena e Rimini, che dopo la laurea nel ‘92 ha mosso i primi passi come ricercatore in università ma immediatamente è stato assunto a Bologna nella sede di una multinazionale olandese di sementi, la Nunhems, inglobata poi dalla Baier, fino a diventarne, nel giro di una decina d’anni, il responsabile del laboratorio fitopatologico interno. Insomma era arrivato al classico ‘posto fisso’, quando ancora il mercato del lavoro poteva annoverare nel suo vocabolario questa parola oggi quasi dimenticata.
Un po’ per motivi personali e cioè l’avvicinamento alla famiglia che viveva a Rimini, un po’ per una scommessa imprenditoriale, ha deciso di lasciare tutto per mettersi in proprio. Ha così allestito un laboratorio privato da offrire a clienti che non hanno la possibilità di analizzare le piante e le sementi in casa ma si servono per questo servizio all’esterno, in ‘outsourcing’.
Anche per la salute delle piante come per quella dell’uomo esistono gli ospedali (università e altri enti pubblici) e le cliniche private, appunto i laboratori come Verdelab che ha sede a Viserbella in via Curiel 78. In questo laboratorio, oltre al responsabile Simone Pizzagalli, lavorano altre sei persone: la biotecnologa Eleonora Andruccioli, la biologa Eleonora Bagè, i periti agrari Davide Censi e Andrea Rossi, nonché la segretaria Elisa Basconi e la responsabile dell’amministrazione Silvia Tellurio.
La storia dei 15 anni del laboratorio la racconta Pizzagalli stesso in questa intervista. L’attività di questa struttura fattura quasi un milione di euro l’anno tra la sua attività principale di laboratorio e una parte commerciale, ritenuta comunque secondaria rispetto alla mission aziendale. Verdelab è certificato e accreditato presso il servizio fitopatologico nazionale del ministero dell’agricoltura che, per competenza, viene erogato dalle Regioni.
Quando è iniziata questa avventura hai dovuto licenziarti dalla multinazionale e cominciare a investire soldi tuoi: gli amici e la famiglia come l’hanno presa?
“A parte mia moglie e pochi amici, tra cui il responsabile nazionale della Confcooperative Massimo Coccia, che mi hanno sempre sostenuto, la maggior parte a cominciare dai miei genitori dicevano che ero un pazzo a iniziare un’avventura del genere, lasciando un posto sicuro. Fra l’altro lavoravo già a Rimini, avevo la macchina aziendale, non dovevo timbrare il cartellino. Insomma c’erano tutte le condizioni per restare comodo alle dipendenze di questa multinazionale. Invece nel 2002 mi sono fatto il mio business plan e, inizialmente in forma cooperativa, sono partito, sostanzialmente da solo. Ho citato Massimo Coccia perché lui, non solo perché chimico, ha creduto moltissimo in questo progetto, molto più delle banche. Il mio piano d’investimento prevedeva la concessione di un centinaio di milioni di lire quindi di 50mila euro (accadeva nel momento del passaggio tra la lira e l’euro) per le celle climatizzate e alcune macchine d’analisi piuttosto costose. Così abbiamo chiesto un finanziamento a Fondo sviluppo, una strumento finanziario delle centrali cooperative. Un prestito a cinque anni allora al 3%, un bel tasso rispetto al 7, 8, 9% praticato allora dagli istituti bancari”.
Qual è stata la prima sede?
“Alle Celle dietro il mercatino dell’usato, a fianco di una falegnameria e dove ora c’è un’officina meccanica”.
Un laboratorio di microbiologia vicino ad una falegnameria polverosa?
“Infatti devo dire che non era la soluzione migliore, comunque questo è stato l’inizio e per cinque anni ho lavorato da solo. Poi, intorno al 2007 2008, negli anni in cui fra l’altro iniziava una gravissima crisi finanziaria globale, assunsi il primo dipendente, la biologa Eleonora Andruccioli che è tuttora la responsabile del laboratorio. Da subito lei s’è buttata a capofitto nel lavoro, sposando questo progetto e, dopo di lei, ogni persona che è arrivata, ha permesso di fare passi in avanti al laboratorio. Sono convinto che l’investimento principale di questa azienda siano le persone che ci lavorano. E io, al momento dell’assunzione, ho detto a tutti i collaboratori che questo poteva diventare il loro laboratorio, che nessuno glielo avrebbe portato via e che io non mi ritenevo affatto un padrone. Ora ci stiamo sempre più consolidando”.
Come si è evoluta l’attività della vostra struttura?
“I primi cinque anni era fondamentalmente uno studio agronomico nel quale facevo l’agronomo con un mio piccolo laboratorio. Da 10 anni a questa parte siamo cresciuti soprattutto nel settore delle piante orticole; non trattiamo se non occasionalmente, frutteti, vigneti e uliveti. Insomma non alberi e frutta ma ortaggi e verdure, con anche meloni e cocomeri che di fatto vengono annoverati come verdure. Questo deriva anche dal mio curriculum e dal fatto che ho lavorato per una decina d’anni nel settore delle sementi in una multinazionale. La nostra specialità è dunque quella dell’orticoltura. Comunque la nostra palazzina di via Curiel si sta rivelando stretta e in un prossimo futuro dovremmo trasferirci in un capannone che abbiamo già individuato vicino all’uscita autostradale di Rimini nord”.
Chi sono i vostri clienti e qual è concretamente la vostra attività?
“I clienti nostri sono grandi vivai, come quello di Garattoni a San Mauro che fa piantine d’ortaggi, insalate, pomodori, peperoni, zucchine, cetrioli, spinaci. O altri come Orto Mio e la Orogel che producono su tutta la penisola. Questa della produzione di serra è una situazione pericolosa per le piante: perché quando se ne ammala una, in un battibaleno la malattia si espande come un’epidemia devastando l’intera coltura. Quindi la diagnosi delle patologie delle piante è una parte importante del nostro lavoro. Ma ancora prima c’è un lavoro di prevenzione e cioè il controllo delle sementi, perché la malattia può avere origine proprio li. Il vivaista cioè compra il seme, lo pianta e magari la piantina viene su ammalata e l’epidemia si espande a tutta la serra. Se può sembrare una cosa da poco per l’hobbista, per il vivaista invece questo può significare la perdita di investimenti di notevole entità. Tra i nostri clienti ci sono anche gli agricoltori singoli o organizzazioni associate di produttori. In termini di numeri il 70% dei clienti è italiano e il 30% estero, soprattutto Olanda, Israele, Francia, Spagna. In termini di fatturato le percentuali si invertono, il 70% viene dall’estero, il 30% dall’Italia. Sulla via Emilia, tra Gambettola e Cesena, c’è un polo per le sementi molto importante, aziende che si rivolgono a noi per il servizio di analisi e laboratorio. Sono aziende che vendono semi in tutto il mondo: Africa, Asia, America. Chi compra questi semi vuole garanzie circa l’assenza di sviluppo di patologie nella pianta. Inoltre controlli vengono richiesti obbligatoriamente alle dogane. La difficoltà e le complicazioni doganali sono alla base della nostra assenza invece sul mercato americano, dove peraltro di laboratori come il nostro ce ne sono tantissimi”.
Anche in Italia nel vostro settore c’è concorrenza?
“Nell’orticolo, nel riminese non ci sono per la verità competitor, mentre per la frutta laboratori attrezzati sono tanti, i più vicini a Lugo, Bologna, nel Ferrarese”.
Le tue aspettative iniziali si sono realizzate?
“La realtà è andata ben oltre le attese. Intanto paghiamo sette stipendi, poi facciamo un lavoro che ci appassiona e ci diverte. E non ho perso nessun cliente di quelli che avevo 15 anni fa quando ho cominciato”.
E nel futuro?
“Per il sementiero vedo un futuro buono: intanto in Italia ci sono produttori e selezionatori molto capaci e infatti esportiamo in quasi tutto il mondo: Africa, Asia e Americhe. Altro discorso bisogna fare per l’attività agricola in generale”.
Cioè?
“Mi riferisco all’innovazione. Con questa generazione, gli agricoltori che conosciamo scompariranno perché non è più tempo dell’hobbistica: quella del contadino che produce nel suo terreno ortaggi e frutta e li vende, magari in nero, per guadagnare mille euro al mese. Questa è un’attività irrilevante dal punto di vista economico destinata a morire. Invece l’enorme quantità di prodotti agricoli che arrivano sul mercato costringe a mettere nel cassetto l’aspetto bucolico e del contadino col cappello di paglia e a ripensare la produzione. Per lavorare in Italia, cosa non scontata visto che già da tempo si stanno sondando altri paesi come l’Est Europa o Marocco e Tunisia, per dire solo quelli a noi più vicini, bisogna puntare all’innovazione, con la produzione fuori suolo o a quella idroponica. Un tempo, anche noi si studiava all’università, gli agricoltori facevano le rotazioni delle colture. Ma se la grande distribuzione richiede pomodori in grande quantità e per tutto l’anno e questa varietà rende economicamente molto più di un’altra, è chiaro che il produttore abbandonerà la rotazione per coltivare sempre e solo pomodori. Ecco allora che servono nuove idee. Anche nel riminese dove l’hobbistica prevalentemente resiste ancora, tranne qualche eccezione”.
Ma oggi i consumatori chiedono sempre meno chimica nel processo produttivo…
“Si, anche per questo il nostro lavoro a monte, diciamo così, è importante. Funghi, batteri e malattie delle piante sono presenti da sempre. Bisogna iniziare ad usare prodotti sani dalle prime fasi della filiera fino l’ultimo anello che è l’agricoltore. Noi offriamo servizi che consentano ai prodotti della terra di crescere sani. I nostri clienti si fregiano dei controlli di qualità sui loro prodotti. La Regione fa controlli periodici sui nostri protocolli e attrezzature. Così si fanno analisi impossibili a occhio nudo anche per il tecnico più esperto, perché il microbo non si vede! E’ importante dire che in genere sono storie quelle che si raccontano, cioè che tanti comprano verdura biologica anche se con qualche ammaccatura in più. E’ evidente che la maggior parte dei consumatori vuole invece verdura e frutta sana. Io credo che bello e buono debbano andare insieme. Forse fino a qualche anno fa la gente si accontentava di roba bella perché comprava solo con gli occhi. Ora deve essere soprattutto buona, ma anche bella”.
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