Vi spiego perché su fieristico e congressuale rischiamo un “Aeradria 2”

La giaculatoria contro la svendita di un patrimonio della comunità è più o meno la stessa cosa che ha sostenuto Massimo Masini fino a qualche mese fa

La giaculatoria contro la svendita di un patrimonio della comunità è più o meno la stessa cosa che ha sostenuto Massimo Masini fino a qualche mese fa. Ecco perché il combinato disposto delle dichiarazioni di Cagnoni e Gnassi (e, non a caso, sulla scia si è inserita anche la presidente dell’Associazione albergatori) farà insabbiare la privatizzazione del polo fieristico-congressuale. Rimini assomiglia sempre più a Macondo di “Cent’anni di solitudine”, si illude di poter vivere fuori dalla storia, è sempre più egocentrica ed autoreferenziale, disponibile ad accettare le narrazioni più confortanti ed illusorie.

Il combinato disposto della conferenza stampa del Presidente Lorenzo Cagnoni e delle recenti dichiarazioni del Sindaco di Rimini Andrea Gnassi, chiariscono come verranno gestiti nei prossimi mesi i travagli del polo fieristico congressuale della nostra città e perché la privatizzazione auspicata dai tecnici degli enti proprietari sia destinata ad insabbiarsi senza reali prospettive.
Partiamo dal primo. Il Presidente Cagnoni, al di là delle rassicurazioni sul futuro, affidate a business plan che però purtroppo hanno già fallito le loro previsioni in passato, non riesce a nascondere le difficoltà finanziarie attuali legate alla impossibilità da parte dei soci di onorare le rate dei mutui accesi per realizzare il palazzo dei congressi.
Mancano 10 milioni e rotti a breve, sempre ammesso che l’operazione immobiliare sulle vecchie aree della Fiera produca i risultati immaginati, altrimenti le risorse da reperire urgentemente divengono ancora più consistenti.

Nessuno dei dati contenuti nel libro bianco presentato da Dreamini in realtà è stato contestato e smentito, perché i numeri sono quelli e c’è poco da fare.
Cagnoni si è impegnato invece nel dimostrare che la situazione è assolutamente sotto controllo e che i flussi di cassa previsti potranno in futuro contribuire a onorare i mutui accesi. L’unico dato confortante e nuovo rispetto a quelli già conosciuti è quello relativo all’andamento della gestione del primo semestre del palazzo dei congressi. Obiettivamente un buon risultato, ma anche troppo poco per affermare l’affidabilità di business plan che fino ad ora hanno registrato consuntivi ben lontani dalle previsioni e per i quali non è stata spesa una sola parola critica.

Personalmente non ritengo neppure particolarmente significativa la parte della conferenza dedicata ai temi della privatizzazione.
Il Presidente ha voluto accreditarsi come non pregiudizialmente contrario ad un orizzonte di questo tipo, ma spacciare come privatizzazione la cessione di quote di assoluta minoranza effettuata qualche anno fa nella prospettiva di quotare in borsa la fiera sul modello Hera, è un attestato di privatizzatore davvero poco credibile e assai lontano dalle esigenze e dal dibattito del momento.
La giaculatoria contro la svendita di un patrimonio della comunità invece è più o meno la stessa cosa che ha sostenuto Massimo Masini fino a qualche mese fa, quando già il valore della società aeroportuale era vicino allo zero. Affermazioni contro le quali peraltro Cagnoni, in quanto socio Aeradria, non aveva allora mai trovato nulla ridire.
L’unica svendita reale ed effettiva, come dimostra il caso del Fellini, è invece il deprezzamento che si produce a causa di una progressiva decurtazione dei valori provocata dal manifestarsi della crisi finanziaria che impedisce alle società di gestione di infrastrutture, come fiere ed aeroporti, di intraprendere piani industriali realmente competitivi.
Più notevole invece il tono generale della conferenza stampa.

Lorenzo Cagnoni, che è un cavallo di razza ed è stato il miglior amministratore e manager pubblico della città negli ultimi quarant’anni, si muove con la sicurezza che gli è propria, come il vero dominus del polo fieristico congressuale.
Affronta senza alcuna timidezza temi, come quello della ricerca di un partner industriale, che dovrebbero essere riservati ai soci pubblici, di fatto li bacchetta chiarendo che se esistono difficoltà esse derivano esclusivamente dalla loro mancata capacità di onorare gli impegni a suo tempo assunti, presenta una evoluzione degli scenari nei quali ignora deliberatamente ogni elemento critico emerso nelle sedi istituzionali che governano i suoi soci di riferimento, detta le condizioni e i tempi delle varianti urbanistiche.
Quando mi capita di parlare di sistema di potere della Fiera intendo precisamente questo: una società partecipata dagli enti locali che, grazie alla sua grande capacità di influenza politica, si muove e programma la propria vita in maniera del tutto autonoma e svincolata da controlli reali e che gestisce le proprie attività allo scopo di mantenere e perpetuare, sulle materie di propria attinenza, l’influenza ed il controllo sugli attori politici degli enti proprietari e sulle componenti di rappresentanza sociale ed economica della società locale che vengono cooptate in un legame consociativo.
In questo caso tuttavia la colpa non è certo di Cagnoni che agisce ottimizzando tutte le opportunità che vengono offerte dal proprio ruolo, in un’ottica di continuità del sistema delle partecipate; il problema è di chi dovrebbe ristabilire le reali competenze ed i ruoli effettivi che spettano ai soci.

Per capirci meglio faccio l’esempio più banale. In una certa ottica, articolare le attività del polo fieristico in 15 distinte società è funzionale al consolidamento del sistema di potere sopra descritto (15 consigli di amministrazione, 15 collegi sindacali, ecc. ecc.). Vale lo stesso discorso per gli enti proprietari?
E chi ha deciso che debba esistere, tra quelle controllate dalla Fiera, una società di vigilanza e sicurezza, con relativi dipendenti? Corrisponde questa scelta ad un’attività di servizio di cui è giusto e necessario si occupi una società pubblica?
Le risposte a mio avviso sono scontate e indicano dove risiede il macroscopico deficit di controllo.

La notizia vera della conferenza stampa, invece, era l’annuncio dell’esistenza di un piano per fare fronte alle difficoltà presenti. Cagnoni non lo illustra, non ne descrive i suoi contenuti, comunque rassicura che grazie a questo piano non sarà necessario avviare nessuna privatizzazione.
Sostanzialmente lascia sullo sfondo il tema della fusione tra le società di Rimini e Bologna e affida a questo piano il compito di fare superare le contingenti difficoltà finanziarie legate alla impossibilità per gli enti locali di onorare i mutui.
In sintesi, mentre il futuro è decisamente roseo, le nubi attuali sono sotto controllo e non produrranno alcun danno grazie ad un non meglio precisato “piano”.

Se fossi il presidente della più grande organizzazione territoriale di imprese alberghiere d’Italia, presumo che i contenuti di quella conferenza stampa non mi sarebbero bastati per dichiarare il mio no fermo alla privatizzazione. Soprattutto avendo le dita ancora scottate per la vicenda dell’aeroporto, dove la parte sociale che rappresento ha visto i propri esponenti avvallare e dare fiducia a tutti i miracolosi “piani” pubblici che sono stati presentati nel corso degli anni e hanno contrastato ed impedito ogni scenario di privatizzazione.
La risposta al perché invece la Presidente dell’AIA, Patrizia Rinaldis, ha pensato bene, il giorno dopo la conferenza stampa, di spezzare subito la propria lancia a favore di Cagnoni, l’abbiamo appresa qualche giorno dopo con le dichiarazioni del sindaco Andrea Gnassi.
Il “piano” annunciato dal Presidente della Fiera, nella versione Gnassi, consiste infatti nella richiesta di un intervento straordinario della Regione Emilia Romagna che dovrebbe ricapitalizzare il sistema regionale delle Fiere. Ancora soldi pubblici insomma, da bruciare sull’altare della gestione di servizi ed infrastrutture che potrebbero essere più convenientemente affidati alla gestione imprenditoriale di privati, che invece, in questo assetto, garantiscono alle rappresentanze di impresa locali un ruolo di cogestione, come in Aeradria.
Il Sindaco nell’annunciare/rivendicare questo proposito cui sarebbe chiamata a corrispondere la Regione, ci mette il carico da undici. “Altrimenti facciamo da soli”, sintetizzano i giornali.
Per dare forza e credibilità alla ponderosa richiesta alle casse della Regione, torna in primo piano la costruzione del sistema fieristico regionale, che era rimasto in ombra nella conferenza di Lorenzo Cagnoni.
Il tallone d’Achille strutturale di quel sistema, come dimostrano i dati pubblicati da Dreamini, è la Fiera di Bologna, che una eventuale competizione aggressiva di una Fiera di Rimini privatizzata metterebbe ancora in maggiore difficoltà.
La privatizzazione invece di essere seriamente perseguita, viene così usata come minaccia. La buona medicina del mercato viene agitata come spauracchio per costringere la Regione ad aprire la cassaforte ed a finanziare con risorse copiose la costruzione del sistema fieristico regionale, che metta al riparo dalla competizione tra sistemi territoriali, dalla concorrenza e dalla apertura dei mercati.
Riuscirà questo tentativo?

Prima di esaminare il quesito, voglio sottolineare che questa comunque non è, a mio avviso, una prospettiva desiderabile.
Invece di essere incrementate le risorse pubbliche che oggi sono ingessate nei poli fieristico congressuali andrebbero rapidamente liberate, perché dove non ci sono valori fondamentali da salvaguardare e dove può intervenire convenientemente il privato è bene che il pubblico si ritiri. Quelle risorse sono preziose, non possono correre il rischio di essere svalutate e vanno invece impiegate per dotare il sistema locale di infrastrutture e servizi che il privato stenta ancora a fornire.
Ma occorre considerare anche la necessità di tutelare la competitività delle infrastrutture esistenti che verrebbe mortificata dalla scelta del sistema.
In un’ottica esclusivamente regionale, al di là della zavorra rappresentata da Bologna, non c’è prospettiva di crescita e neppure di tenuta. Anche il mercato delle fiere e dei congressi è cambiato, contano le reti, le filiere, l’apertura verso l’internazionalizzazione. Non è certo l’economia del distretto che ci salverà, almeno non in questo campo.
D’altra parte lo aveva ben presente Cagnoni, già da diversi anni. I tentativi di sbarco a Roma ed a Firenze muovevano esattamente da questa consapevolezza: non c’è futuro se si rimane dentro i confini di relazioni, di know how, di mercati della nostra regione. La privatizzazione è l’unica vera leva rimasta per internazionalizzare il nostro polo fieristico congressuale.

Quanto alla fattibilità della prospettiva rivendicata da Gnassi invito a riflettere sul quadro nazionale nel quale ci stiamo muovendo e che dovrebbe essere ben conosciuto anche dai nostri amministratori.
Il prossimo autunno ci porterà una legge di stabilità il cui piatto forte sarà la spending review di Cottarelli. Basta leggere i giornali per sapere che una delle strette maggiori avverrà sulle partecipate di Comuni e Regioni.
Da questo punto di vista la Fiera di Rimini è un caso di scuola, per i caratteri della compagine societaria, per i consecutivi bilanci in rosso della parte congressuale, per le società a grappolo che da essa discendono, per il livello di indebitamento.
Se qualcuno spera di passare inosservato tra le maglie della spending review temo si sbagli. Ancor più incredibile ritengo sia ipotizzare un nuovo impegno di risorse regionali in questa direzione, ammesso che ne esistano.
Andrebbe inoltre attentamente esaminato il tema del profilo degli aiuti di stato sul quale qualsiasi fiera concorrente a livello italiano od internazionale potrebbe avere qualcosa da dire. Gli orientamenti europei da questo punto di vista sono chiari: vengono tollerate proprietà pubbliche, anche se l’invito è a dismettere, non vengono accettati – viceversa – salvataggi con soldi pubblici.

Non vorrei che questa mancanza di visione, appiattita sulla salvaguardia del sistema di potere locale e sulla sufficienza conservatrice con la quale si guarda alle vicende del grande mondo, ci portasse nella situazione nella quale ci siamo già trovati a proposito della cancellazione della provincia e dei temi dell’area vasta. Gli ultimi giapponesi a combattere a difesa delle provincie, già morte, siamo rimasti noi, mentre forlivesi, cesenati e ravennati si preparavano a gestire al meglio, nell’interesse della loro comunità, la preparazione dell’area vasta. I risultati oggi si vedono.

Torniamo al combinato disposto di Cagnoni e Gnassi. La conclusione è amara, Rimini assomiglia sempre più a Macondo di “Cent’anni di solitudine”, si illude di poter vivere fuori dalla storia, è sempre più egocentrica ed autoreferenziale, disponibile ad accettare le narrazioni più confortanti ed illusorie su quanto accade lontano da qui. Da fuori soltanto echi distorti, mentre il tempo passa inseguendo interminabili giochi e dispute localistiche, le novità ci trovano irrimediabilmente impreparati.
Con quel combinato disposto non si farà nessuna privatizzazione, non si inizierà neppure a discuterne seriamente per capire come farla, quali asset coinvolgere, se interessare anche tutti gli immobili o soltanto quote di essi, se concentrarsi sulle società di gestione. Il tempo in queste operazioni è decisivo, noi abbiamo scelto di usarlo per non decidere.
L’unica utilità, ancora una volta autoreferenziale, sarà quella di poter ottenere la moratoria sui mutui ed eventualmente rispondere ad una richiesta della magistratura qualora le cose si mettessero male da quel punto di vista.
Sarò pessimista, ma la mia impressione è che così stiamo correndo ancora una volta verso il precipizio e rischia di prepararsi un “Aeradria 2”, con conseguenze più gravi per il comune che è già finanziariamente impegnato in due partite da fare tremare i polsi come quella del sistema fognario e del TRC. Dal mio punto di vista meglio rischiare il ruolo di Cassandra piuttosto che abituarmi ai ritmi senza tempo di Macondo.

Sergio Gambini

COMMENTI

DISQUS: 0