Pubblichiamo l'omelia che don Julian Carron ha tenuto ieri nella chiesa di S.Agostino. Alle 17.30 nella Corte della Gambalunga, taglio del nastro della esposizione “Io, poi, sono un amante sviscerato della libertà”.
Si inaugura oggi alle ore 17,30 nella Corte della biblioteca Gambalunga, alla presenza del vescovo mons. Francesco Lambiasi, del sindaco di Rimini Andrea Gnassi, di Cristian Lami della Fraternità di CL di Rimini e di Simone Zanotti in rappresentanza della famiglia Zanotti-Ugolini, la mostra dedicata a don Giancarlo Ugolini dal titolo “Io, poi, sono un amante sviscerato della libertà”, già allestita al recente Meeting di Cl lo scorso agosto. Pubblichiamo l’omelia di don Julian Carron nella messa che si è svolta ieri nella gremita chiesa di S.Agostino.
“Tutto il popolo si radunò come un solo uomo sulla piazza per ascoltare il libro della legge di Mosè che il Signore aveva dato a Israele”. Che cosa fa sorgere il popolo? L’evento che è all’origine di quel libro della legge, non c’è popolo senza quell’evento che racconta il libro della legge: che Dio ha avuto talmente pietà di quegli uomini, che hanno accolto quel suo chinarsi sul loro bisogno per generare un popolo. È quello che stiamo facendo: perché? Cosa è successo perché ci sia questo popolo? Cosa è capitato? Quanti eventi o persone che sono lontane, dopo dieci anni nessuno se le ricorda e finiscono nella dimenticanza? Qual è l’origine di un popolo così numeroso come siamo stasera? Lo stesso, l’abbiamo ascoltato: un evento che non è un libro, come dirà poi il Vangelo, ma una presenza. Una presenza che è diventata la modalità attraverso cui il mistero continua ad agire, a generare un popolo nella storia. Perché il compimento di tutta quella storia che era contenuta nella legge si è sintetizzato, si è incarnato in una presenza storica: Gesù, il Signore, dice il Vangelo che per arrivare ad altri designa altri settantadue e li invia a due a due davanti a sé, per annunciare il regno di Dio. Come li invia? “Come agnelli in mezzo a lupi, non portate borsa” perché non avete bisogno che la verità che portate la dovete difendere, “né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno” semplicemente la portate con voi in tutto quello che fate, in tutto quello che vivete, la portate. Tanto è vero che tutti dovranno decidere se accogliervi o rifiutarvi.
Questa modalità così umana di vicinanza di Dio che si rende così prossimo nella carnalità di un volto umano è all’origine di un popolo: quello che ci è capitato è come successe all’inizio della storia che era contenuta nella legge, che poi racconta il Vangelo, tale e quale senza soluzione di continuità. Come qualcosa che accade ora, quante persone hanno il libro di … nello scaffale e non appartengono a un popolo? Non basta avere i libri, se il libro oggi non è trovato in un’esperienza presente – diciamolo con la parola giusta: in una paternità presente – questo popolo non ci sarebbe. Perché il metodo di Dio non cambia, è tale e quale quello dell’inizio, cioè una irruzione nuova, diversa, nella vita delle persone attraverso un volto umano, con un nome e un cognome: Don Giancarlo, a cui tutti siete grati per la sua paternità. Perché è come se … non “come se”: è la modalità, il volto, la vicinanza, la carnalità, la storicità – altro che astrazione! – del mistero che si è reso vicino a ciascuno di noi e lo abbiamo incontrato nei momenti diversi della strada e ci ha travolto. Voi siete qua perché non avete potuto resistere a quella diversità che lui portava e che vi ha affascinato, perché il cristianesimo sarà sempre questo – mentre è cristianesimo -: qualcuno che si trova per caso, non doveva essere e c’è, è stupefacente, con un nome e un cognome, e non possiamo non sentire tutta la vertigine davanti a quella presenza che ci trascina così fino alle viscere. Perché se non fosse stato così non sarebbe rimasto nulla: dopo il primo sentimentalismo e tanto rumore tutto sarebbe finito. Perché dura da dieci anni o venti o trenta o quaranta per tanti di voi? Che cosa c’era in quella presenza, in quella paternità, così decisiva per la vita, che rimane fino adesso? E siamo qua questa sera a ringraziare la sua semplicità di testimonianza, senza casacca, senza borsa, senza sandali, spogliato di tutto tranne che di quella testimonianza semplice che voi testimoniate e che ha fatto esplodere la vostra libertà fino a – come abbiamo sentito don Giussani di recente – mettere molto la vostra responsabilità personale e il desiderio di rispondere.
E questo è quello che oggi celebriamo: una presenza tale di Cristo in mezzo a noi che Don Giancarlo ci ha testimoniato, di cui Don Giancarlo è stato tramite, che continua ad essere presente per tutti noi e per tutti quanti noi possiamo incontrare lungo la strada. Per questo siamo così grati che il mistero di Dio continua a durare nella storia, è qualcosa che rimane nel tempo: come all’inizio, con le stesse caratteristiche dell’inizio ma che dura per attrarre ancora di più, per suscitare ancora di più questa libertà, per provocare la nostra ragione, per non lasciare che il nostro povero io ritorni al nulla travolto come un sasso dal torrente delle circostanze: niente ci affascina e niente ci attira e finiamo, purtroppo, come tanti dei nostri contemporanei nel nulla perché non c’è niente che sia talmente vero per cui possiamo sacrificarci, perché di tutto conosciamo la menzogna. Noi questa sera testimoniamo che non tutto è menzogna, che c’è qualcosa di vero, cioè che dura, sappiamo che qualcosa è vero, un’amicizia è vera, una paternità è vera perché dura.
Il vero c’è e questa sera noi lo tocchiamo di nuovo con mano non nei grandi sistemi filosofici, dimostrando la verità: la verità ci è capitata. E noi già lo stiamo vedendo qua: per tutti. Perché come è capitata a noi, ci è stata data a noi perché tutti quanti che ci vedranno stasera o ci vedranno nelle strade, lungo la storia della vita … per questo siamo così grati a Cristo che ci dà questi testimoni così potenti, come Don Giancarlo, per generare costantemente il popolo. Chiediamo la semplicità del cuore di assecondarlo nella modalità in cui ci viene incontro ora, compreso l’ultimo, come ha fatto a Don Giancarlo: con questa libertà di assecondare, di piegarsi alla modalità con cui il mistero suscitava persone e lui le seguiva, le abbracciava.
Perché possiamo continuare ad essere un popolo che vive della gratitudine di quello che gli è successo e possa testimoniare davanti a questa situazione storica, in cui tante persone non trovano una ragione per vivere, per la mancanza di senso, di significato del vivere e che vivono – poveretti – senza una ragione per alzarsi al mattino, andare a lavorare, amare la moglie o il marito, educare i figli e possono vedere – vedere – in qualcuno che questo ancora è possibile; non perché noi siamo più bravi, siamo poveretti come loro, ma a noi ci è capitato, per grazia, di avere un Padre da cui ci siamo lasciati generare, se continuiamo a lasciarci generare potremo anche noi generare”.
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