“Ho aderito all’Opa, ma è una scelta obbligata”: intervista a Bonfiglio Mariotti

“Ho aderito all’Opa, ma è una scelta obbligata”: intervista a Bonfiglio Mariotti

L'offerta pubblica di acquisto così come è stata congeniata non lascia scelta. Lo spiega Bonfiglio Mariotti, uno dei primi tre soci privati di banca Carim. "Non vendere adesso le azioni Carim significherebbe ritrovarsi con una partecipazione insignificante, di assoluta minoranza e senza alcuna possibilità di influenzare le decisioni assembleari". E aggiunge: "Mi aspetto che Crédit Agricole imprima una svolta importante alla situazione quantomeno di immobilismo e alla discutibile gestione che ha contrassegnato gli ultimi anni".

A Rimini c’è calma piatta attorno all’Opa, l’offerta pubblica di acquisto volontaria di 15.480.560 azioni ordinarie (corrispondenti a circa l’1,4754% del capitale sociale) detenute dagli azionisti di banca Carim. Eppure non si tratta di un passaggio insignificante, anzi. E i “grandi” azionisti che hanno visto andare in fumo il valore delle loro azioni non sono pochi. Soprattutto, non passano inosservati perché appartengono alle famiglie imprenditoriali più note della città. Ma tutti tacciono, perché a Rimini l’effetto palude c’è, inutile negarlo. Uno che è abituato a prendersi le proprie responsabilità anche nei confronti della città e accetta di parlarne è l’imprenditore Bonfiglio Mariotti, vice presidente di Eticredito all’epoca della fusione con Carim. “Ho aderito all’Opa, ma solo perché obbligato”, spiega Mariotti che in Carim è uno dei primi tre soci privati.

Non le avranno mica puntato la pistola alla tempia per ottenere la sua firma sotto l’Opa…
No anzi, sono stati anche molto collaborativi. Di fatto, però, l’Opa così come è stata congeniata non lascia scelta.

Ci spieghi perché.
Basta leggere il documento contenente l’offerta. Non so quanti l’abbiano fatto perché è voluminoso, ma gli elementi di fondo sono questi: l’offerente è Crédit Agricole Cariparma S.p.A., e non la “casa madre” francese, cioè Crédit Agricole S.A., e le azioni di Crédit Agricole Cariparma S.p.A. “non sono quotate in alcun mercato regolamentato, né trattate su sistemi multilaterali di negoziazione o da internalizzatori sistematici, né si prevede che lo saranno successivamente alla Fusione”. Questo sta scritto nel documento relativo all’Opa. Esattamente come avveniva per le azioni di Carim, rimaste invendibili nonostante le periodiche proteste dei piccoli azionisti che spesso rappresentano famiglie che avevano messo li parte dei propri risparmi. Quindi non aderire all’offerta di acquisto equivarrebbe a trovarsi in mano azioni non negoziabili di una banca italiana, e non con azioni quotate di Crédit Agricole S.A. Chi vorrebbe possedere azioni non negoziabili? Nessuno, immagino. E da quello che riesco a captare, per queste stesse ragioni molti altri azionisti stanno aderendo all’Opa.

Per questo parla di una scelta obbligata?
Certo, anche perché Crédit Agricole Cariparma S.p.A. detiene il 95,3% di Carim (così come di Caricesena e Carismi) e la totalità del capitale sociale di Crédit Agricole Cariparma S.p.A. è in capo a Crédit Agricole S.A. per il 76% e per il restante 24% a Fondazione Cariparma e Sacam International S.a.s. Non vendere adesso le azioni Carim significherebbe ritrovarsi con una partecipazione insignificante, di assoluta minoranza e senza alcuna possibilità di influenzare le decisioni assembleari.

Può dirci quale era il valore delle sue azioni quando da Eticredito è confluita in Carim, a seguito della fusione per incorporazione avvenuta nel 2013?
Circa 600 mila euro, che adesso, grazie – si fa per dire – al valore di 0,194 euro per azione, equivalgono a poco più di 20 mila euro.

Una bella fregatura!
Se si pensa che dopo la lunga fase di amministrazione straordinaria, circa cinque anni fa i commissari di Bankitalia hanno riconsegnato una banca tornata “in bonis”, parlare di “fregatura” è poco. Non si può affrontare il tema della gestione della banca e di eventuali responsabilità, con qualche battuta di una intervista, ma prima o poi bisognerà pur tirare una riga e qualcuno dovrà andare a vedere, conti alla mano, chi ha sbagliato, finendo col consegnare la storica banca di Rimini in mani francesi. Non parlo solo del management, ma anche di chi ne ha avallato o, peggio, influenzato le scelte.

L’Opa prevede anche che coloro che venderanno le azioni Carim, aderendo all’offerta di Crédit Agricole Cariparma S.p.A., incasseranno il prezzo intero solo se resteranno clienti della banca fino a tutto il 2020.
E’ vero. Mi pare che Crédit Agricole Cariparma S.p.A. sia preoccupata di avere dei clienti e non degli azionisti, determinando così la fine della influenza di quei grandi portatori di interessi che hanno minato irrimediabilmente la sopravvivenza di Carim.

E quali sono i dividendi attesi?
Una mancetta… In base agli elementi noti, cioè al bilancio 2016 e al progetto di bilancio 2017, i dividendi di Crédit Agricole Cariparma S.p.A. ammontano a circa 0,12-0,13 euro per azione e dunque in virtù del rapporto di concambio (1 azione Carim uguale a 0,032 azioni Crédit Agricole Cariparma S.p.A.) chi detiene oggi mille azioni Carim potrà incassare un dividendo di circa 4 euro.

Le condizioni dell’Opa di cui abbiamo parlato non riguardano fondazioni e investitori istituzionali.
No, per loro c’è una sorta di trattamento di “favore” e questo vale soprattutto per la Fondazione Carim che era il socio di riferimento della banca col 58,73% delle azioni, e ha forse una corresponsabilità nella situazione che si è venuta a creare.

Cosa si aspetta dalla gestione di Crédit Agricole Cariparma?
Stiamo parlando di un grande gruppo bancario e mi aspetto che si comporti di conseguenza anche a Rimini. Che imprima una svolta importante alla situazione quantomeno di immobilismo e alla discutibile gestione che ha contrassegnato gli ultimi anni di Carim. Penso che Crédit Agricole Cariparma abbia le carte in regola per fare uscire dalle secche il principale istituto di credito del nostro territorio, e sappia mettere in campo una forte strategia di rilancio. Mi auguro non solo tutto questo, ma anche un atteggiamento nuovo verso il territorio e tutte quelle realtà imprenditoriali e non, che meritano di essere sostenute per il loro valore e non per logiche da “cerchio magico”. Un certo tipo di banca del territorio è morto e sepolto, questo ci insegna l’epilogo di Carim. Ora speriamo si possa vedere all’opera qualcosa di radicalmente nuovo voltando definitivamente pagina.

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