I cattolici (di giunta e della “buona stampa”) fuori registro sulle unioni gay

I cattolici (di giunta e della “buona stampa”) fuori registro sulle unioni gay

Sulla questione delle unioni gay varate dal sindaco Gnassi e sulle obiezioni che la cosa incontra presso il mondo cattolico, occorre ricordare che ci

Sulla questione delle unioni gay varate dal sindaco Gnassi e sulle obiezioni che la cosa incontra presso il mondo cattolico, occorre ricordare che ci fu già una scaramuccia a mezzo stampa qualche tempo fa, quando il sindaco annunciò le sue intenzioni (oggi ufficialmente confermate) e il direttore del Ponte, don Giovanni Tonelli, sollecitato da altre voci dello stesso mondo cattolico, espresse un giudizio ovviamente negativo sulla cosa.
Da notare come la vicenda non suscitò (allora come oggi) la minima reazione da parte della componente cattolica di giunta, a partire da quel vicesindaco Gloria Lisi che, pur appartenendo allo stesso mondo d’un settimanale che tradizionalmente, se non istituzionalmente, rappresenta la voce del vescovo, non fece sentire neanche un sospiro di disagio, figuriamoci di dissenso, nei confronti del suo datore di lavoro.
Ovviamente politico.
A riprova dell’acquiescenza culturale, per non dir peggio, con cui parte del mondo cattolico ha creduto e crede ancora di potersi emancipare cedendo alle lusinghe d’un progressismo ieri Marx-Leninista, oggi pansessualista e transgender.
Ma siamo uomini di mondo e ognuno ha il diritto collocarsi sul mercato come vuole e tutte le volte che vuole.
Anche perché il problema non è etico (che c’entra infatti l’etica con la politica?), ma culturale.
Nel senso che, dai tempi della dissoluzione dell’unità politica dei cattolici, dai tempi insomma d’una scelta religiosa che ha distrutto l’Azione Cattolica ieri come tenta Malignamente CL oggi, il problema non è la collocazione politica e/o partitica del cattolico, quanto la sua capacità di essere “presenza” all’interno dello schieramento in cui si trova.
Ma che vuol dire presenza?
Vuol dire un’interlocuzione di tipo culturale (non etico, vedi la sostanziale irrilevanza di dichiarazioni di principio come la carta Marvelli) in grado di far evolvere criticamente la cultura politica, la mentalità, l’ideologia di riferimento di quel partito.
Il problema insomma non è aver fatto una scelta di sinistra, il problema è come uno si muove all’interno della scelta fatta (qualunque essa sia) per farla evolvere dal punto di vista teoretico, superando la palude d’un dogmatismo più o meno moralista cui restano consegnati quasi tutti i cattolici impegnati oggi in politica.
Rifiutandosi, nella stragrande maggioranza, a quel lavorio critico e autocritico che sarebbe invece indispensabile per evitare l’endorsement alla mentalità dominante, salvo sussulti di tipo pauperista che in realtà bypassano, senza risolverla, la questione.
Di qui il problema di quei mezzi d’informazione (settimanale, radio, televisione) di cui il mondo cattolico dispone nella nostra città e che mai sono riusciti a sollevare un dibattito sul merito teorico delle questioni.
In assenza del quale tutti restano al punto di partenza, in un immobilismo fatto di pregiudizi ideologico-confessionali che impediscono alla città intera di progredire dal punto di vista sostanziale, che non è né pratico né etico né economico.
Senonché, per arrivare a tanto, bisognerebbe che gli intellettuali (cattolici e no) disponessero di quel minimo di background culturale in grado di provocare, in chi fa politica, un’assunzione di responsabilità nei confronti dei sacri testi dell’ideologia.
Affinché la politica, come dice Habermas, torni a essere un processo argomentativo sensibile alla verità, non quella forma di clericalismo di destra o sinistra in cui tanti si esibiscono né quel mostruoso viluppo d’interessi totalmente indifferenti al bene comune.
Si dirà che politica non è filosofia, ma in nome di cosa uno sceglie di militare in un partito di sinistra allora?
Per assecondare il grido dei poveri? Perché è di moda? Per far carriera, e non solo dal punto di vista politico-istituzionale?
Capite bene perché trasformismo e opportunismo, al di là delle migliori intenzioni, siano oggi il tessuto d’una politica sprofondata, dalle nostre parti, sotto il livello zero della propria dignità culturale, oltre che morale, essendo una la conseguenza dell’altra.
Ma essere ignoranti non è una scusa, ed essere culturalmente inincidenti, oltretutto a mezzo stampa, un’aggravante.

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