Cultura viva di Rimini città d'arte: Castel Sismondo, Tempio Malatestiano, Palazzo Monticoli, chiesa della Colonnella, Palazzo Maschi poi Lettimi. Con una importante premessa.
1 Filippo Brunelleschi, Castel Sismondo, 1437
2 Leon Battista Alberti, Tempio Malatestiano, 1447
3 Bernardino Guiritti e altri, Palazzo Monticoli, 1508
4 Bernardino Guiritti e altri, Chiesa della Colonnella, 1510
5 Francesco da Carpi e altri, Palazzo Maschi poi Lettimi, 1513
COME LEGGERE QUESTI TESTI
Questi testi, come altri già pubblicati, è vero, sono ‘troppo’ lunghi, per quanto abbia cercato di esporre solo l’essenziale, ma non è necessario leggerli tutti, o tutto in una volta, sono articolati in capitoli con titoli esplicativi in modo che chi li percorre possa eventualmente leggere solo quelli che trattano gli argomenti che trova interessanti e godibili. Scegliete un tesoro. Ho quasi ottant’anni, faccio ricerche e scrivo ancora a Rimini esclusivamente per quel migliaio di Riminesi che il 22 gennaio 2000 abbracciò il Teatro con Attilio Giovagnoli, presidente dell’associazione Renata Tebaldi Rimini Città d’Arte, l’architetto Roberto Mancini, il primo presidente del Fai, e con tanti amici ahimè defunti – ricordo Nedo Zavoli, Tale Benzi, Enzo Pruccoli e l’ultima a lasciarci, la coltissima Maria Luisa Zennari. Abbiamo vinto tutti noi, cari amici, abbiamo ricostruito noi il teatro (quasi) com’era e dov’era, un corvo ci ha rubato le penne. E scrivo anche per i giovani di Italia Nostra e del Fai sempre più numerosi, spero, che nel frattempo si sono aggiunti allo zoccolo duro di quanti amano con intelligenza e passione questa bella e sfortunata città. E tra i nostri Lari voglio ricordare anche il giornalista Silvano Cardellini che ci assicurò, dopo l’abbraccio al Teatro, il sostegno del “Resto del Carlino”.
IL NUOVO TEATRO NON È UN “FALSO, UNO A UNO”
Ho sentito alcuni ragazzi – studenti di architettura? – guardare con disprezzo il nuovo teatro e dire: “E’ un falso, ricostruzione uno a uno”. L’espressione è tipica della cultura del restauro degli anni ’50, l’usava Bruno Zevi, quando argomentava che un’architettura nella sua prima esecuzione fosse come un dipinto d’autore, pensiero e opera irripetibile di un unico artista, che non si doveva ripristinare in tutto o nelle parti se per caso fosse stata distrutta, per non creare, appunto, riproducendo un modello in scala uno a uno, “un falso”, espressione tipica della cultura pittorica che non integrava più le parti mancanti ma lasciava una lacuna grigia là dove la pellicola originale era scomparsa. In architettura in Italia aggiungevano delle parti nuove se proprio dovevano completare un edificio parzialmente distrutto, creando quelle ‘condensazioni’ stridenti di stili antichi e novi.
Ma la cultura del restauro ha fatto passi in avanti. Negli anni ’70 il romano Paolo Marconi ha inventato una nuova cultura del restauro architettonico, ragionandoci su e cambiando la metafora di riferimento esplicativo. Un’architettura non è come un dipinto, un tutt’uno di progettazione ed esecuzione, mente e mano di un solo artista, ma è come un’esecuzione musicale, interpretazione da parte di molti esecutori di un unico spartito, questo sì prodotto dalla creazione dell’artista. Insomma vi è stacco tra creazione ed esecuzione autonoma, tra disegno ed edificio, la seconda operazione sempre affidata a un cantiere ad altri soggetti. Il nostro teatro è nella parte superstite di esecuzione contemporanea al Poletti, parte che certamente ha il pregio di essere stata controllata dallo stesso architetto, nella parte nuova però è un’esecuzione dei nostri tempi, riedita da Pier Luigi Cervellati, già stato assessore comunista all’edilizia bolognese e famoso architetto che ha salvato Bologna dalla “riminizzazione”, perché non tutti gli amministratori comunisti d’Italia erano dei rozzi barbari come sono stati e sono quelli di Rimini. Purtroppo la riedizione critica del Teatro polettiano, magistralmente calibrata, ardua fatica per combinare l’uso dei materiali originari e le norme antisismiche dell’architetto Cervellati, è stata pasticciata dagli sprovveduti dell’Ufficio Tecnico.
Tuttavia lo splendore dello ‘spartito’ polettiano ha vinto anche queste imperfezioni e ingenuità, riuscendo ad imporsi alla nostra vista e alle nostre emozioni in un’esecuzione sopportabile e tutto sommato godibile.
Vediamo adesso non “un falso realizzato con un modello uno a uno”, ma una parziale esecuzione contemporanea di un progetto del Poletti, ultimo dei grandi architetti dei pontefici, da lui composto o disegnato nel 1842, come possiamo ascoltare, oggi nel 2019, l’esecuzione di un quartetto di Mozart ‘scritto’ nel Settecento, senza pensare che stiamo ascoltando un falso. Ragionateci su ragazzi.
IL CATAFALCO DI VETRO DI BIANCANEVE AL POSTO DI PALAZZO MASCHI-LETTIMI
Al momento si discute e circolano progetti assurdi e senza storia sulla ricostruzione di palazzo Maschi, meglio noto come palazzo Lettimi, ultimo segno rimasto in città dei disastri della guerra. Alcuni architetti modernisti sprovveduti, come al solito, purtroppo quando si tratta del Patrimonio ne sbucano sempre, invece della necessaria e ovvia ricostruzione per anastilosi – cioè la ricostruzione dell’antica struttura con i pezzi di scultura originali -, che preveda di rimettere al loro posto le sculture del balcone e delle finestre sopravvissute al bombardamento e ai furti, depositate nei magazzini del Comune, vogliono costruire un edificio moderno in vetri. Circola un progetto di ricostruzione anni ’70 che sembra il sarcofago di vetro di Biancaneve, quella dei sette Nani. E’ necessario come sempre, per salvare palazzo Maschi-Lettimi dagli architetti modernisti (vedi sotto), che si sono imposti a Rimini negli anni ’30 e ancora dettano legge, riassumere e ripercorrere incessantemente le conoscenze storiche oggettive sia del secondo Rinascimento di Rimini 1508-1513 (palazzo Monticoli, chiesa della Colonnella, palazzo Maschi) sia ovviamente del primo Rinascimento malatestiano degli anni 1435-1468 – Castel Sismondo di Filippo Brunelleschi, il Tempio Malatestiano di Leon Battista Alberti – quello che tout le monde, per usare un’espressione dei nostri cugini francesi, tutto il mondo acculturato del mondo intero conosce e ci invidia, cominciando con le novità di conoscenza che un’incessante ricerca sempre produce. Ai miei tempi, sono stato rigorosamente educato nell’Alma Mater a verificare sempre ogni affermazione storica e critica artistica e a giustificare quanto affermo. Ammetto di avere avuto a volte la spocchia del Bononia docet, aggravata da numerosi errori, tutti sbagliamo, solo Dio possiede la verità assoluta, l’ultimo dei quali lo denuncio in questo testo e chiedo perdono ai miei lettori.
GLI STUDIOSI DI VAGLIA DI RIMINI E IL MAINSTREAM
Rimini ha la fortuna di avere sempre avuto e di avere tuttora molti studiosi e alcuni di vaglia che si occupano a tempo pieno del suo Patrimonio. C’è anche una struttura aziendale, evoluzione di un’associazione culturale, che si occupa validamente di archeologia classica e medievale. Ha però e ha avuto anche due o tre o quattro sfortune, dal dopoguerra ad oggi, di (1) amministrazioni comunali e di (2) autorità curiali che quel Patrimonio hanno trascurato, manipolato e distrutto, e ancor’oggi, sotto i nostro occhi, trascurano, manipolano e distruggono. Rimini ha infine, e questo conta molto, un Mainstream (3) molto conservatore. Mainstream é un concetto nuovo con la sua espressione inglese, alla moda. Si intende per Mainstream la parte degli ‘intellettuali’, veri o sedicenti tali, sempre organici al potere, uniti strettamente con quelle persone di media e bassa cultura più o meno colte o preparate, legate passivamente alla tradizione storiografica e tacitamente agli andazzi politici distruttivi, che decide quello che si deve o non deve concretamente fare, che non ama le novità e le revisioni, e che avversa col silenzio e con la diffusione di leggende nere quanti invece modificano a ragion veduta la tradizione culturale e introducono delle novità.
E non sto parlando dei falsari di vocazione e professione che si inventano le Azzurrine e la scoperta dell’America da parte di Sigismondo Pandolfo.
I CINQUE TESORI RINASCIMENTALI DI RIMINI
Rimini possiede, per ora, perché possono aumentare, già lo sappiamo, cinque tesori romani, che sono la forma urbis e le mura romane (dal 268 a.C.), l’Arco di Augusto (21 a.C.), il Ponte di Augusto e Tiberio (14 – 21 d.C.), l’Anfiteatro (III secolo d.C.), la Taberna Medicina popolarmente detta “la Domus del Chirurgo” (IV secolo d.C.), ma riluce anche per cinque tesori rinascimentali.
I cinque tesori rinascimentali sono: Castel Sismondo progettato da Filippo Brunelleschi (1437-1446); il Tempio Malatestiano progettato all’inizio da Matteo de Pasti e in seguito soprattutto da Leon Battista Alberti (1447-1468); palazzo Monticoli (1508), sul Corso sulla sinistra andando verso Bologna subito dopo la chiesa dei Servi, oggi sede universitaria, progettato da Bernardino Guiritti, un plasticatore di Ravenna che modellava ornamenti in terra cotta, assai probabilmente, per fondata ipotesi, su disegni strutturali di Bernardino Peruzzi e decorativi di Marco Palmezzano e di Melozzo da Forlì, influenzati da Francesco di Giorgio Martini; la chiesa della Colonnella (1510-1514) su disegni delle strutture e delle decorazioni dello stesso Bernardino Guiritti e dei suoi ispiratori citati; palazzo Maschi poi Lettimi (1513) costruito da un capomastro-architetto di nome Francesco da Carpi, su disegni del pittore Benedetto Coda – che ha trasmesso intuizioni formali degli autori citati – e di Bernardino Guiritti.
1-continua
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