I terremoti che hanno sconvolto la costa riminese

I terremoti che hanno sconvolto la costa riminese

1672, 1786, 1916. Scosse potenti, che provocano enormi danni nel riminese. Un'area ad alta pericolosità sismica. Caratterizzata da una fascia turistica segnata da una edilizia costruita in assenza di normativa sismica.

1672, 1786, 1916. La costa riminese viene scossa da tre terremoti che lasciano il segno. Il primo dei tre, il 14 aprile 1672, provoca anche un’ondata che allaga la spiaggia. Sì, perché la magnitudo momento (Mw), cioè il “prodotto tra area di faglia, dislocazione e resistenza delle rocce”, spiegano dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e dunque “la migliore stima della reale grandezza del terremoto”, arriva a 5.6 (ieri quello rilevato a Santarcangelo è stato di 4.0). Edifici crollati, chiese molto danneggiate e anche morti.

Il 25 dicembre 1786 ancora un terremoto di Mw 5.6 e in piena estate, il 16 agosto 1916, una “botta” ancora superiore: Mw 6.1. Per intenderci, ai livelli del terremoto che ha sconvolto il territorio emiliano nel maggio del 2012.
Così il Corriere Riminese del 27 agosto 1916 racconta i fatti: “Quattro morti. Trenta feriti. Enormi danni. Pochi secondi di cieco furore della natura, in uno di quei terribili sconvolgimenti che la scienza non sa spiegare e tanto meno prevedere, hanno piombato la nostra città, così duramente già provata dalle conseguenze della guerra, nella più tragica rovina. Non occorrono aggettivi per ampliare l’articolo; basta un semplice sguardo alle torri smantellate, ai tetti scoperchiati, alle mura rovinanti, alla popolazione attendata, nelle piazze e nelle campagne, per rendersi conto dell’immane disastro”.

Riporta la stessa testata che moltissime case presentano profonde lesioni ai muri portanti, ai muri divisori, ai soffitti, ai cornicioni; i tetti di moltissime abitazioni, si sono mossi e spostati, i cornicioni distaccati dai muri maestri, in parte precipitati ed in parte pericolanti, i camini minacciano di precipitare nelle vie”.

I danni più gravi e diffusi interessarono il rione Montecavallo e le case lungo la via Flaminia. Fra gli edifici monumentali, minuziosamente descritti dal lungo reportage corredato da fotografie del settimanale riminese, lesioni si ebbero al palazzo comunale, al Teatro Vittorio Emanuele, alla Rocca Malatestiana e al palazzo Gambalunga.
Numerose chiese furono danneggiate, alcune in modo grave: in particolare le chiese di S. Bartolomeo, di S. Giovanni Battista, della Colonnella, di S. Agostino, di S. Bernardino.

Una quarantina di località lungo la fascia costiera tra Rimini e Pesaro e nell’entroterra subirono crolli e gravi lesioni negli edifici. Particolarmente colpita fu Riccione, dove molte case, specialmente nella parte alta della cittadina, andarono distrutte.
A Rimini la scossa aggravò ulteriormente i danni causati dal terremoto del 17 maggio: “nessuna casa di Rimini, dalla più modesta alla più sontuosa, è stata risparmiata”. In un’ottantina di altri centri, compresa Pesaro, molti edifici rimasero seriamente lesionati e divennero inagibili. Danni più lievi furono rilevati in tutta l’area compresa tra Fano, Cesena e Urbino. L’avvertimento si estese ad un’area molto vasta dell’Italia centro settentrionale: la scossa fu avvertita fortemente fino a Venezia, verso nord, a Bologna e a Modena verso nord-ovest, ad Ancona, Macerata e Tolentino, verso sud-est, e a Città di Castello verso sud-ovest.
Tutte informazioni a cura di Romano Camassi, dell’Ingv di Bologna, pubblicate dal blog Ingv Terremoti.

Un territorio pericoloso dal punto di vista dei terremoti, dunque. Non a caso i primi comuni ad essere classificati sismici nel 1927 sono proprio quelli del riminese e dell’Appenino (dove la pericolosità sismica è più elevata) forlivese, anche se poi furono declassificati e per oltre 40 anni, fino al 1983, rimasero privi di una adeguata normativa antisismica.
La pericolosità sismica dell’Emilia Romagna deriva dalla presenza delle strutture sismicamente attive di tutto l’Appennino, anche della parte sepolta sotto la pianura Padana (tra cui le faglie che hanno prodotto i terremoti del 2012), caratterizzata da una lunga storia sismica che ha avuto i suoi massimi con i terremoti del modenese (nel 1501, Mw 6.0), del faentino (1688 e 1781), dell’Appennino forlivese (1661, 1781) e, appunto quelli citati della costa riminese.

Se la zona degli Appennini ha un alto livello di pericolosità e mediamente anche gli edifici più vulnerabili, è però scarsamente popolata. Molto diversa è la situazione della costa, densamente popolata, con una edilizia recente ma costruita in assenza di normativa sismica e una parte dell’espansione urbanistica ad uso turistico-alberghiero costituita da sopraelevazioni e ampliamenti, perché la maggior parte del territorio è stata classificata solo dal 2003.

Sul sito di Ingv terremoti si legge che il terremoto registrato ieri nei pressi di Santarcangelo “è stato localizzato in un’area ad alta pericolosità sismica così come mostrato nella mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale con accelerazione attese comprese tra 0.175 e 0.2 di g. Dal Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani (versione 2015) notiamo che l’area epicentrale del terremoto di oggi è quasi coincidente con l’area di un evento sismico del 26 marzo 1911 di magnitudo stimata Mw 5.0 con risentimenti massimi fino al VI grado MCS. L’evento è stato risentito in un’ampia zona, soprattutto nelle province di Rimini, Forlì Cesena e in tutte le province della Romagna; il terremoto è stato avvertito anche nelle vicine Marche. La mappa preliminare dei risentimenti del terremoto elaborata dai circa 1400 questionari inviati al sito è già disponibile sul sito http://www.haisentitoilterremoto.it”.

Fonti:

Invg terremoti

Io non rischio – terremoto – Speciale Emilia Romagna

Ingv

Immagine d’apertura tratta dal sito http://cnt.rm.ingv.it.

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