Il canonico Baravelli (tutt’altro che un don Balosa) e l’affronto al podestà

Il canonico Baravelli (tutt’altro che un don Balosa) e l’affronto al podestà

Fu anche insegnante di religione di Federico Fellini e a questo titolo arruolato come uno dei personaggi di «Amarcord» con un nomignolo un po' "pataca". In realtà è stato un prete battagliero, che non si faceva problema di rivolgersi al Podestà in modo polemico, ironico e con toni di sfida, coinvolgendo anche il vescovo Scozzoli. Un caso emblematico, nell'estate del 1939, a proposito delle donne in "tenuta ultrabalneare" a passeggio in città.

Nell’anno 1939 in Europa iniziano grandi stravolgimenti, che da lì al successivo la trascineranno nel baratro della seconda guerra mondiale. A Rimini, come credo in altre città italiane, sembra che questa realtà sia lontana e ci si occupa di altri problemi quotidiani. Mentre effettuavo alcune ricerche estranee al fatto narrato in seguito, in una busta contenente atti dell’”Archivio Storico del Comune di Rimini”, conservato presso l’Archivio di Stato cittadino, è emersa una storia curiosa e significativa.

La Chiesa di S. Maria in Corte detta anche “dei Servi”.

Il 30 luglio di quell’anno il parroco della chiesa di S. Maria in Corte, anche dei Servi, don Gaetano Baravelli scrive all’allora Podestà, Guido Mattioli, a proposito della lascività delle donne nel vestire. Ma lo fa in modo ironico e allo stesso tempo fermo, affermando senza troppi complimenti il punto di vista della morale cattolica davanti all’autorità costituita. Il risultato che ottiene è quello di indispettire il suo destinatario che, come vedremo, appare poco propenso all’umorismo e tanto meno ad accettare il “richiamo” di un rappresentante della Chiesa, tanto da prenderla piuttosto male. Va precisato che don Baravelli è stato una figura di sacerdote per nulla secondaria a Rimini. Si insediò ai Servi nel 1933 e fu il prete di riferimento della gioventù cattolica, ma non solo. Rimase certamente impresso anche nella memoria di Federico Fellini, che lo fece diventare un personaggio di Amarcord (don Balosa, interpretato da Gianfilippo Carcano), di cui fu insegnante di religione.

PARROCCHIA DI S. MARIA IN CORTE – RIMINI
Ecc.mo Sig. Podestà,

Rimini, 30 Luglio 1939-XVII

Un Sagrestano della nostra città, per mettere daccordo il divieto del Parroco a lasciar entrare in Chiesa donne seminude, col proprio interesse di cicerone, teneva anni fa a portata di mano alcuni asciugamani con cui copriva le spalle delle visitatrici invereconde.
Davanti allo spettacolo sempre più indecente di donne e ragazze, che nel centro e in Piazza Cavour si presentano, nonostante tutti i divieti e le disposizioni di legge, in tenuta ultra-balneare, i fedeli di questa Chiesa hanno provveduto con una raccolta a questo pezzo di stoffa di m.3,50 onde gli Agenti di P.M. così oculati nel provvedere ad altri sconci, possano farlo nel modo suindicato, per questo urgentissimo e gravissimo.
In caso contrario pregano velare con detta stoffa, la Immagine della vergine Immacolata, benedicente dalla loggia comunale la Piazza e la Città, davanti a cui fu, per mia iniziativa, riaccesa nel 1923, la lampada votiva.
Con devoto ossequio
Il Parroco di S.M. in Corte
f.to Sac. Dott. Gaetano Baravelli

La statua della vergine Immacolata che il parroco, in subordine e con intento polemico, chiedeva di coprire.

Non si fece attendere la piccata risposta del Podestà, che così scriveva una “riservata” lettera al Vescovo:

Rimini, 2 Agosto 1939-XVII

S.E. Mons. Vincenzo Scozzoli
Vescovo di Rimini

Mi perviene stamane la lettera – che accludo – 30 luglio dal Rev.do Parroco di S.M. in Corte e il pacchetto contenente i m.3,50 di stoffa, di cui è in parola nella lettera e che pure unisco.
Non sarei sincero, Eccellenza, se io Vi nascondessi che l’inconsueto tono dell’epistola e il pacchetto con cui il mittente ha ritenuto di accompagnarla, mi hanno vivamente sorpreso.
Non desidero entrare nell’argomento di talune tenute semibalneari che spuntano anche in Città: cosa che rientra nelle competenze dell’Autorità di P.S., non del Municipio, e che purtroppo è diffusa in tutte le Città balneari.
Vorrei solo rilevare che questa maniera di rivolgersi alla prima Autorità civile della Città, sopratutto da parte di persona che per posizione e per cultura è in grado di discernere le convenienze, non mi sembra sia stata la più opportuna, e che comunque non mi pare che il Rev.do Parroco di S. M. in Corte abbia avuto mano particolarmente felice nel difendere una causa che meglio poteva essere raccomandata nei dovuti modi, senza usare una forma che non arriva ad essere né spiritosa né originale.
Vogliate, Eccellenza, darmi venia di questo …(?) e credere ai miei sentimenti di sincera devozione.

IL PODESTÀ

Nella sua risposta il Vescovo sorvolava alquanto circa l’operato del suo parroco, ma coglieva l’occasione per “deplorare l’indecenza del costume della nostra spiaggia, che si verifica anche in Città”, esortando chi di dovere a far rispettare le leggi che, evidentemente, non erano abbastanza applicate in quel senso. E così replicava succintamente.

Sig. Conte Guido Mattioli
Podestà di Rimini

A parte il gesto del Parroco dei Servi verso della Signoria Vostra, devo però deplorare l’indecenza del costume della nostra spiaggia, che si verifica anche in Città. Le guardie dovrebbero far rispettare le leggi che ordinano la proibizione dell’indecenza del vestire, che talora rasenta il nudismo anche in città. Prego usare la sua valevole autorità, perché il buon nome di Rimini, non sia alterato.
Con sensi di stima.
Devotissimo

Vincenzo Scozzoli Vescovo

Ma pare che anche la risposta ricevuta dal Vescovo non sia stata di gradimento del Podestà né bastevole, quasi una lesa maestà, che lo porterà a chiedere espressamente le scuse al simpatico parroco, minacciando, in caso contrario, di fare rapporto dell’accaduto alla P.S.; leggi denuncia? E così replica al Vescovo.

Rimini, 11 agosto 1939-XVII

A S.E. Mons. Vincenzo Scozzoli
Vescovo di Rimini

Eccellenza,
alla Vostra cortese lettera devo rispondere per informare V.E. che quanto si chiede in merito alla repressione dell’eccessivo abbigliamento estivo di alcune bagnanti, è di competenza della P.S., e non del Podestà, il quale non ha alcuna legge a sua disposizione per intervenire.
Comunque già la P.S. nel limite del possibile e compatibilmente con le disposizioni che essa ha dal competente Ministero fa il suo dovere.
Ma, Eccellenza, la costumanza del moderno modo di vestire è mondiale e non di Rimini, che anzi a confronto di altre spiaggie, da me personalmente viste, è già ancora la migliore!
Ciò che invece vorrei che V.E. approfondisse è l’atto irriguardoso e in un certo senso ingiurioso che il Parroco dei Servi, si è permesso nei riguardi del primo Magistrato della Città, forse commesso per ignoranza del come ci si comporta nelle relazioni con le autorità ed anche della buona educazione con persone di riguardo.
Prego V.E. di voler invitare alle scuse il Parroco dei Servi, costretto, diversamente, a fare rapporto alla P.S., ciò che non ho fatto per un particolare personale riguardo alla persona di V.E.
Con devoto ossequio.

IL PODESTÀ

Come finisce la vicenda? Con una lettera di scuse del povero prelato, e del resto non poteva essere altrimenti, ma senza darla pienamente vinta al Podestà: argutamente e garbatamente, infatti, don Baravelli, riafferma la posizione assunta in precedenza.

Rimini I6 Agosto 1939 XVII

Illmo Signor Podestà,

Io sono dolentissimo, che la mia lettera del 30 Luglio sia stata interpretata come un’offesa all’Autorità Comunale, verso la quale ho sempre mostrato colla massima deferenza, la più sincera volontà di collaborazione ad ogni nobile e degna iniziativa riguardante il decoro della nostra città.
Persone degne di fede dichiarano che in importanti centri balneari, quali Ostia, S. Remo, Viareggio, è severamente proibito uscire dalla zona balneare in costume ed in abiti da spiaggia ed io mi auguravo, con tono troppo forse scherzoso e confidenziale da cui esulava ogni intenzione men che riguardosa per il Primo Magistrato della Città, anche per RIMINI un tale decoro morale.
Vogliate pertanto accogliere le mie scuse più ampie e credermi Vostro devmo.

Alla propria firma, Sac. Dott. Gaetano Baravelli, fa seguire “ossequi distinti Vincenzo Scozzoli Vescovo”.

Oggi per nostra fortuna i tempi sono cambiati e usciti dalla dittatura di allora siamo in democrazia. Ma, purtroppo, anche oggi la politica non sa ridere, né ascoltare. Penso alle tante discutibili scelte che hanno riguardato la nostra Rimini, senza minimamente consultare figure di sicura competenza che avrebbero potuto dare un sostanzioso contributo in tal senso. E ciò in chiave di partecipazione comune per un unico obiettivo: il bene della città.

Immagine: al centro, dal film “Amarcord”, don Balosa, ovvero don Baravelli secondo il regista.

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