“Una riapertura del fossato consentirà di riqualificare in maniera forte tutto un quartiere di Rimini e ridisegnare la mappa cittadina. Le principali opportunità saranno costituite dalla riapertura di un terzo del castello ora scomparso e di una cinta certamente edificata 'in toto' da Sigismondo Pandolfo Malatesta e mai vista da alcun riminese vivente. Sarà certamente da sottoporre ad un ampio dibattito civico anche la possibilità di indicare in qualche modo i distrutti valori fuori terra.” Gli studi del castellologo Dino Palloni ripresi e commentati dal prof. Rimondini.
STUDI E RICERCHE RECENTI SUL FOSSATO DI CASTEL SISMONDO
L’eccellenza del fossato di Castel Sismondo è già stata notata dai castellologi più attenti, in particolare da Dino Palloni, che ha dedicato numerose ricerche al corpo del castello. In collaborazione con Giovanni Maccioni dell’Istituto Italiano dei Castelli, uno dei suoi “giovani”, Dino aveva impiantato un laboratorio virtuale per la ricostruzione scientifica delle parti di Castel Sismondo scomparse o nascoste sotto terra.
Nel corso di queste indagini, purtroppo interrotte dalla scomparsa dell’illustre castellologo, era stato preso in considerazione il problema di come poteva essere raggiunto e utilizzato un fossato asciutto. Analizzando il mare di immagini che aveva accumulato nel tempo visitando i castelli italiani ed europei, Dino Palloni aveva trovato, in parecchi fossati di castelli di epoche diverse arrivati sino a noi, la porta che permetteva alle truppe assediate di calarsi ed entrare nel fossato per affrontare gli assalitori.
Questa porta Dino l’ha chiamata “pusterla” [o posterla o postierla dal latino tardo “postierula” che significa la porta di dietro], che è il nome dato alla porta secondaria di un castello, e quindi sarebbe “la pusterla del fossato”. Quando il nostro fossato verrà riaperto è quasi certo che la troveremo, o forse ne troveremo due, una nel fossato interno e una nel fossato esterno, le due parti del fossato separate da due tratti delle mura urbane, entrambe sotto i ponti levatoi.
Con il gentile permesso di Mariarita Golfieri Palloni pubblichiamo un inedito di Dino sulle pusterle in diversi castelli italiani ed europei. Sicuramente fa parte degli ultimi lavori sul fossato di Castel Sismondo, come premessa per sapere cosa ci si deve aspettare di trovare.
DINO PALLONI: ABSTRACT RIAPERTURA FOSSATO
“Una riapertura del fossato consentirà di riqualificare in maniera forte tutto un quartiere di Rimini e ridisegnare la mappa cittadina, anche se porrà imponenti problemi soprattutto in materia di viabilità e parcheggi. Le principali opportunità saranno costituite dalla riapertura di un terzo del castello ora scomparso e di una cinta certamente edificata ‘in toto’ da Sigismondo Pandolfo Malatesta e mai vista da alcun riminese vivente. Sarà certamente da sottoporre ad un ampio dibattito civico anche la possibilità di indicare in qualche modo i distrutti valori fuori terra.”
di Dino Palloni
PUSTERLE SOTTO IL PONTE LEVATOIO
PARTICOLARI DELL’ARCHITETTURA CASTELLANA
“Si incontra talvolta, nei castelli, una pusterla di accesso al fossato posta immediatamente sotto il ponte levatoio dell’ingresso principale. Gli esempi che siamo in grado di menzionare non sono moltissimi, ma l’ovvia limitatezza dei castelli presi in esame e la scomparsa o la manomissione di un’elevate percentuale di fossati consente di supporre che ve ne fossero in maggior numero.
Le pusterle in generale sono comunissime nei castelli, nelle rocche e nelle cinte urbane. Da esse passavano messaggeri per comunicare con l’esterno in vista di spedizioni di soccorso o di istruzioni, talvolta portatori carichi di provviste per la ricostituzione delle scorte e, soprattutto, uscivano squadre di armati per effettuare sortite improvvise nel campo degli assedianti.
Le pusterle si aprono quasi sempre a raso sul fondo del fossato per varie ragioni: le loro ridotte dimensioni e il disagevole corridoio di accesso non consentono l’irruzione in massa ad eventuali assalitori, cosicché l’accesso ‘de plain pied’ costituisce un rischio accettabile rispetto alla loro utilità ed alla poca appariscenza; la pusterla trova uso anche nel caso di fossati acquei, come nella rocca di Ravaldino di Forlì. Possiamo supporre che il loro controllo fosse svolto dai responsabili delle porte più prossime, a meno che non vi fossero dei preposti specifici; anche in questa occasione ci troviamo a lamentare la mancanza di un sufficiente approfondimento storico, che dalle fonti documentali possa trarre maggiori informazioni sulle consuetudini dell’organizzazione difensiva.
Infatti solo dal confronto fra i documenti e le evidenze architettoniche può nascere una sempre più completa comprensione dell’architettura fortificata medievale.
Supponiamo che le pusterle qui prese in esame svolgessero le medesime funzioni e si distinguano quindi solo per la posizione, direttamente sotto il pontile dell’ingresso principale o, come a Milano, appena disassate. A prima vista sembra che l’ubicazione non sia molto felice, perché di fronte all’ingresso l’assediante pone certamente maggior cura di rinforzo e sorveglianza, per la possibilità di sortite fuoriuscenti dal ponte levatoio improvvisamente abbassato. Pensiamo quindi che il principale vantaggio di tale ubicazione fosse costituito dall’effetto coprente del battiponte, sia in termini di protezione dai proiettili dell’assediante sia di occultamento alla vista. E’ inoltre possibile che si ricercasse l’economia gestionale consentita dall’affidamento della pusterla e della sovrastante porta principale al controllo di un unico corpo di guardia.
FORME E PERIODO NELLA FALSA BRAGA DELLA CINTA DI LUCERA
Montaiguillon (c. di Louan-sous-Montaiguillon, Seine et marne) “dall’androne una scala dedicata [disposta] in spessore di muro porta al fossato. E’ una posizione abbastanza caratteristica del secondo quarto del Duecento, che si trova, ad esempio, a Cracy” Mesqui, Chateaux forts et fortifications en France p.243.
Ponte levatoio dedicato [disposto, preparato per coprire una pusterla]
Due tipi: 1) accesso al fossato:
Helmsley UK
Rhuddlan UK
Lucera I
Coucy F
Villandraut F
Montaiguillon F
Bonnevillle-sur-Touques F
Casale Monferrato I
Coca E
Lonato I
2) accesso alla camera bassa del rivellino:
Beynes (Mesqui, I, p.360) F
Milano Castello Sforzesco I
Porte de Laon, Coucy (Dictionnaire, VII, p. 133).”
di Giovanni Rimondini
PRECISAZIONI SULLE PUSTERLE E SUL FOSSATO DI CASTEL SISMONDO: IL FONDO DEL FOSSATO FUNZIONANTE COME UNA BATTAGLIERA
Il lavoro di Dino Palloni, che avete appena letto, è rimasto incompleto nell’analisi ma preciso nella sintesi del significato complessivo di “pusterla”, un elemento tipico e ancora ignoto del ‘corpo’ dei castelli, lo status materiale dei castelli del quale Dino era un superbo indagatore e scopritore di strutture importanti mai notate prima. Mi sono ricordato da poco che mi aveva parlato delle pusterle di fossato e quindi, quando Maita mi ha mostrato l’ultimo suo file inedito, ho capito da dove l’idea mi veniva, come nell’emergere di un fiume carsico, la traduzione di una parte della descrizione del fossato di Castel Sismondo fatta da Roberto Valturio, pubblicata in questo sito Rimini 2.0, che rendeva possibile considerare il fondo del fossato un luogo di combattimento, una “battagliera”. Come il fossato della Rocca di Ravaldino di Forlì, ben più tardo, il nostro fossato poteva anche essere allagato.
Due possibili usi del fossato, asciutto e riempito d’acqua, dei quali era forse prevista un’attivazione nei due tempi di un assedio affrontato a pieno regime difensivo; cessati tentativi di forzare il castello nel fossato, il fossato era riempito d’acqua. Oppure era riempito d’acqua dall’inizio dell’assedio, se c’era un numero ridotto di difensori. Non credo poi che queste posterle fossero un segreto assoluto, perché gli “homines docti ad bellum”, gli esperti dei consigli di guerra dei principi grandi e piccoli, erano di sicuro a conoscenza della struttura del fossato di Castel Sismondo. La vera ragione è probabilmente nella linea complessiva di difesa e offesa di Castel Sismondo che risultava quadruplicata per una plurima e possibile difesa / offesa. Gli assedianti potevano essere colpiti anche all’interno del fossato se sulla scarpa vi fossero state le bombardiere, come aveva ipotizzato Dino Palloni. Le battagliere o linee di combattimento o di fuoco di Castel Sismondo potevano essere quattro: le più alte erano i posti di tiro dentro e sulle mura e le torri interne; le battagliere medie correvano sulla cima delle mura basse della falsa braga – sul “promuralis”-; le terze difese/offese erano collocate ai margini o, come ipotizzato, dentro il fossato, con numerose bombardiere al livello del terreno del promurale o sulla parte alta della scarpa; e infine la quarta linea di fuoco era nel fondo del fossato dove gli assalitori faticosamente calatesi si trovavano nella mischia con uomini armati a piedi e forse anche a cavallo.
Era questa assai probabilmente la conosciuta e celebrata pericolosità di Castel Sismondo, certamente destinata a diventare ben presto obsoleta a causa della progressiva forza d’urto delle artiglierie, ma era stata tale da risparmiare al castello qualsiasi tentativo di assedio in tutto il Quattrocento. Solo nei primi anni del ‘500, Cesare Borgia e i suoi ingegneri, tra i quali Leonardo da Vinci, toglievano al castello quelle caratteristiche ‘antiche’ alle quali Sigismondo non aveva rinunciato. Tutto l’apparato a sporgere o i fragilissimi beccatelli per la difesa piombante, e una parte dell’altezza delle torri. Sulla battagliera più alta, come possiamo vedere, muri e torri, il castellano del Borgia costruì dei merloni, meno fragili dei merli tradizionali e degli archetti dell’apparato a sporgere; nel corpo dei muri furono aperte cannoniere alla francese – aperture rettangolari strette con una pianta a clessidra per permettere ai pezzi di bandeggiare -. Le altre tre battagliere potevano ancora andare.
Poiché un assedio e una difesa erano preparati dapprima dai contabili o tesorieri, o “depositari” che calcolavano il costo dei milites e dei pedites in attività durante un numero preciso di giorni, i Signori dovevano sapere che per l’assedio della rocca di Rimini, in previsione delle quadruplicate perdite, erano necessari guerrieri più numerosi che per assediare un castello meno attrezzato, dato che gli assedianti dovevano esporsi ai colpi di quattro linee di fuoco, e quindi ognuno di loro aveva quattro probabilità di essere colpito invece di una o due. Certamente anche la difesa di Castel Sismondo doveva risultare costosissima per il numero di guerrieri necessari per farla funzionare al suo meglio, ma non sempre era necessario che funzionasse a pieno regime.
Forse l’acqua nel fossato serviva solo quando la guarnigione era ridotta o al suo minimo, e c’erano improvvise possibilità d’assedio, oppure quando si sospettava imminente una rivolta popolare; e allora venivano chiuse le paratie all’uscita della piccola fossa perennemente piena d’acqua, la cui sorgente era interna al fossato sotto la “controscarpa” orientale. Solitamente questa piccola fossa scorreva al centro del fossato castellano e si scaricava a ponente nel fossato comunale.
Lo Stegani rappresenta anche dei muri radiali nel fossato, supposti contenitori d’acqua e se riempiti o svuotati singolarmente, capaci di manovre per effetti di rovesciamenti di gran quantità d’acqua nei
luoghi asciutti. Non ne sappiamo niente della loro costruzione e funzione; siccome interrompono il piccolo fossato sembrano essere di epoca postmalatestiana: gli scavi ci daranno informazioni precise.
DIGRESSIONE SULL’ANTICO ACQUEDOTTO DELLA FONTANA DI PIAZZA DI RIMINI
Il primo acquedotto di Rimini collegato alla fontana della piazza del Comune o della Fontana, che dal 1860 si chiama piazza Cavour, attraversava le fosse comunali e castellane. Poiché questo acquedotto interferiva col fossato del castello, si rende necessario spiegare sinteticamente la sua situazione, prima che all’inizio del Novecento venisse abbandonato e messo in funzione un acquedotto generale per tutta la città.
Nel corso degli ultimi secoli sono stati trovati i resti degli acquedotti romani di Ariminum: tubi di piombo con in rilievo il nome del curatore dell’acquedotto dentro la città, ed elementi di pietra, come quelli scoperti dal mio studente Manuel Maioli, nei primi rilievi del Covignano dove c’erano le sorgenti. Un acquedotto in terracotta fu intercettato quando si fecero gli scavi del deviatore del fiume Marecchia, che forse in antico portava acqua a un “castrum” o accampamento romano. La presenza di questo probabile “castrum” forse aveva spaventato nel 218 a.C. Annibale che pur scendendo lungo la via pedemontana, che pochi anni dopo sarebbe diventata la via Emilia – 189 a.C -, non s’era spinto ad assediare Ariminum e scendere a Roma per la via Flaminia appena inaugurata. Se c’era, la fortificazione era situata nella stretta lingua di terra emersa tra l’Ariminus, non ancora Marecchia, e il mare, che andava dal Borgo di San Giuliano alle Celle, attraversata dalla via che sarebbe diventata l’ Emilia. Nel Medio Evo, prima che il mare si allontanasse, in quella striscia sorse il Borgo Nuovo di San Giuliano, lungo e stretto e difeso da fossi, terrapieni e palizzate, che sparì dalla metà del ‘300.
E’ considerata ‘romana’ dagli storici di Rimini la fontana di piazza Cavour, detta popolarmente “della Pigna” per la cimasa in pietra d’Istria che sostituì nell’800 la cinquecentesca statua di San Paolo, oggi conservata nel museo. L’edificio trascurato, oggi spesso senza acqua, risulta un palinsesto di diverse epoche dal XIII al XIX secolo. Com’è noto, ha la sua sorgente in via Dario Campana, dove la strada si apre davanti ad un piccolo edificio a base ottagonale coperto da una piramide, opera dell’ingegnere comunale Gaetano Urbani, autore del Kursaal, distrutto nel dopoguerra, e delle ville Baldini-Lega e Solinas, ancora esistenti, a Marina.
Sotto la piramide circa 8 metri c’è la sorgente, un tempo situata sulle rive dell’“Ariminus” poi chiamato Marecchia, prima che si spostasse, la cui acqua sgorgava e si portava in alto fino alle tubazioni. Per un chilometro la tubazione lungo via Dario Campana, non interrata, scendeva fino al fossato del castello, interrotta da tre “bottini” o piccole conserve d’acqua con sopra tre specie di pagode in sasso di San Marino che avevano delle aperture per dare aria all’acqua. Il tubo passava sotto il fossato e versava l’acqua dentro una vasca grande – detta “Casamatta piscina” – , poi risaliva dietro la controscarpa e portava l’acqua alla fontana “della Pigna” di piazza del Comune o della Fontana, oggi Cavour, al fontanone per abbeverare i cavalli, e alle quattro fontanelle della Pescheria. Dalle fontane, l’acqua di risulta scendeva lungo via Gambalunga, chiamata via del rivolo della fontana, in un fosso al centro della strada a cielo aperto, fino ad arrivare nell’area di San Cataldo dove serviva un lavatoio e poi usciva dalle mura nel fossato del comune da dove finiva nel Marecchia nei pressi della soppressa porta Galliana. Il “rivolo della fontana” nei primi anni ’60 dell’800 all’inizio dell’epoca unitaria fu la prima fogna ad essere coperta.
Nel 1832 l’ingegnere comunale Matteo Crudomiglia, un formidabile disegnatore, presenta un “Piano di esecuzione dei lavori atti a migliorare ed a rinnovare l’antichissimo acquedotto della pubblica fonte ormai resosi inservibile”. Per la verità spesso l’acquedotto si rendeva inservibile e veniva riparato, tanto che le tubature a fior di terra erano un misto di tubi di legno, di latta, di terracotta incastrate una dentro l’altra, solo il piombo era usato con parsimonia e nei luoghi dove non poteva essere rubato. L’ingegnere proponeva tubature di cotto perfettamente cilindriche del diametro del doppio di quelle precedenti saldate tra loro con un mastice speciale.
Nel 1839, l’ingegnere pesarese Pacifico Barilari, esperto matematico, disegnava e calcolava , dentro il fossato nella sua parte orientale – sotto il palazzone del notaio Pelliccioni – “la costruzione di un praticabile da cominciarsi alla piscina nuova, e proseguirsi lungo la controscarpa della Rocca Malatestiana fino al principio di quello già costruito nel 1837.”
E’ dai disegni di questo acquedotto praticabile, pubblicati in Acqua da bere acqua da vedere di P.G. Pasini e A. Bernucci che troviamo la “controscarpa” anche nella parete esterna del fossato di Castel Sismondo, definita nella sezione di un triangolo retto di m.10 di altezza e di m.4 di base.
Come già sappiamo, per Roberto Valturio la profondità del fossato, di larghezze varie era di 50 piedi romani, cioè di circa 14 metri. E’ probabile che l’altezza effettiva delle scarpe del fossato sia variabile, lo si vedrà quando verrà aperto.
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