Il Palazzo Maschi-Lettimi e il suo contesto storico e artistico

Il Palazzo Maschi-Lettimi e il suo contesto storico e artistico

Si sono riaccesi i riflettori sul palazzo Maschi-Lettimi perché destinato a diventare centro studi. Italia Nostra ha chiesto una ricostruzione rispettosa dell’aspetto originario. Per capire l'importanza di recuperare al meglio quel che resta dell'antico palazzo rinascimentale, abbiamo chiesto al prof. Rimondini di collocare la storia di questo edificio in quella della città di Rimini degli inizi del XVI secolo. Quando due famiglie che avevano fatto parte dell'alta burocrazia malatestiana, i Monticoli e i Maschi, si costruiscono dei palazzi monumentali.

Nell’anno 1500 il crudele e determinato Cesare Borgia caccia da Rimini Pandolfo IV Malatesta, suo fratello Carlo e la moglie Violante Bentivoglio coi figli, e pone fine al dominio di una famiglia che era cominciato, secondo la tradizione, nella sanguinosa notte di Santa Lucia del 1295. Cesare Borgia è stato nominato dal padre papa Alessandro VI duca di Romagna, e ha scelto come capitale la città di Cesena.
Suo ingegnere addetto alle fortificazioni è Leonardo da Vinci che in un libretto di disegni di fortificazioni, che va studiando per ordine del duca, lascia un ricordo del suo passaggio a Rimini, l’8 agosto 1502, quando si china a bere da una cannella della fontana duecentesca della piazza del Comune. Nicolò Machiavelli giudica positivamente il duro governo di Cesare Borgia; la Romagna è pacificata. Ma nell’agosto del 1503 papa Alessandro VI muore e i signori cacciati dal duca di Romagna tornano nei loro stati, Guidobaldo di Montefeltro raggiunge Urbino, un figlio di Caterina Sforza Riario prende Forlì, Giovanni Sforza Pesaro, Pandolfo Malatesta con l’aiuto di Venezia, che manda uomini e denaro, rientra a Rimini insieme al fratello Carlo, bene accolto da pochi notabili e dal popolo sempre fedele ai Malatesta. Ma forse si accorge che la maggior parte dei notabili gli è irreversibilmente nemica o forse subisce delle forti pressioni, e subito si trova costretto a vendere la città a Venezia.

La Serenissima in Romagna aveva già il dominio di Ravenna e di Cervia, adesso oltre a Rimini ha esteso il suo dominio anche su Faenza e Imola. Il nuovo pontefice Giulio II della Rovere rivuole le città romagnole e muove guerra ai Veneziani. Venezia isolata e sconfitta cede al papa le città che aveva occupato. Durante la sede vacante tra la morte di Leone X, successore di Giulio II, e l’elezione del nuovo papa Adriano VI nel 1523, Sigismondo, figlio primogenito di Pandolfo IV, entra di nascosto a Rimini e occupa la rocca col favore popolare e dei pochi notabili a lui rimasti fedeli. Chiama a Rimini il padre, ma il nuovo pontefice non rende la città ai Malatesta e manda un esercito per recuperarla. I Malatesta se ne vanno. Quando il nuovo papa Clemente VII è in rotta con l’imperatore Carlo V d’Asburgo e la città di Roma nel 1527 viene espugnata e messa a sacco, Sigismondo e Pandolfo IV approfittano della debolezza momentanea del potere romano e riescono di nuovo a rientrare a Rimini e la governano per quasi un anno. Sono senza soldi e combattono l’inimicizia della maggior parte dei notabili, per questo diventano sanguinari tiranni. Chiusi in Castel Sismondo, spogliano i sudditi ricchi e uccidono quelli che potrebbero rivelarsi come nemici mortali.
All’avvicinarsi dell’esercito pontificio che Clemente VII ha mandato per riprendersi Rimini, Sigismondo fa tagliare l’ultimo arco del ponte romano dalla parte del Borgo San Giuliano, ma poi decide che è meglio non resistere e parte da Rimini con tutta la famiglia.

Palazzo Monticoli

Dal 1500 Rimini non è più la capitale di uno stato di rispettabili dimensioni che ai tempi di Carlo Malatesta andava da Cervia a Senigallia – esclusa Pesaro -, da Bertinoro a Sarsina, e lungo tutta la valle del Marecchia, oltre lo spartiacque fino a Borgo San Sepolcro e alla Massa Trabaria, e poi in gran parte delle Marche settentrionali – esclusa Fossombrone -.
Gli ultimi Malatesta non avevano investito grandi capitali in opere d’arte, come aveva fatto Sigismondo Pandolfo Malatesta, che si era servito del grandissimo Filippo Brunelleschi per progettare Castel Sismondo e di Leon Battista Alberti per dare una veste ‘antica’ al Tempio Malatestiano. L’ultimo Malatesta che poteva contare sui cospicui guadagni come capitano di guerra era stato Roberto il Magnifico, ma questo signore era morto troppo presto e del resto non aveva il carattere di uomo di cultura come il padre. Malgrado la situazione critica, nei primi due decenni del ‘500 la comunità riminese, pur a corto di risorse finanziarie, fa erigere un piccolo gioiello, la chiesa della Colonnella, e due famiglie che avevano fatto parte dell’alta burocrazia malatestiana, i Monticoli e i Maschi, certamente tra le poche dotate di mezzi, si costruiscono dei palazzi monumentali.

L’esterno della chiesa della Colonnella

PALAZZO MONTICOLI (1506) E LA CHIESA DI SANTA MARIA DELLA COLONNELLA (1510)

Il palazzo Monticoli e la chiesa della Colonnella sono due progetti dello stesso architetto e decoratore plastico, il ravennate Bernardino Guiritti, figlio di un capomastro muratore di nome Giovanni e fratello di un altro decoratore. Prima di trasferirsi a Rimini ha modellato paraste di terra cotta e trabeazioni ornate di grottesche in diverse chiese di Forlì – San Mercuriale, San Francesco, San Biagio, il monastero e il santuario di Santa Maria delle Grazie di Fornò, costruiti dal pirata Pietro Bianco da Durazzo. Una parasta è come una colonna o un pilastro ‘schiacciato’ con base, fusto e capitello. La superficie del fusto è ornata da grottesche, ossia da quelle decorazioni con metamorfosi di vegetali, animali, corpi umani, oggetti, candelabri e mostri che a Roma venivano scoperti nelle “grotte” ossia nelle camere sotterranee della Domus aurea di Nerone e di altri complessi archeologici. Un contratto del 1505 precisa che Bernardino Guiritti deve realizzare i suoi eleganti calchi per le argille, che poi verranno indurite con fuoco, seguendo il disegno del pittore Marco Palmezzano, allievo di Melozzo da Forlì.
Ma la parasta con la decorazione a grottesche o con una semplice cornice di contorno ha anche altre fonti di ispirazione. Appare nell’Ara Pacis di Augusto e nel ‘400 viene messa in opera all’interno della chiesa di S.Andrea di Mantova di Leon Battista Alberti. La troviamo nello scalone del palazzo ducale di Urbino e più tardi a Bologna, nella facciata del palazzo degli Strazzaroli e in altre chiese e palazzi bolognesi e ferraresi.

Francesco Monticoli e i suoi fratelli sono una famiglia di mercanti, ma una generazione prima il padre era stato un alto funzionario dei Malatesta. Nel 1508 Francesco commissiona al Guiritti, una grande palazzo a tre piani, strutturato con paraste ornate da grottesche in argilla cotta, finestre e due portali in arenaria di Cerasolo con formelle “a punta di diamante”. Il palazzo avrebbe ricordato la romana Farnesina di Baldassarre Peruzzi, ma le paraste non furono costruite. I due portali invece li possiamo vedere in Corso di Augusto con sopra il “poggiolo” o balconcino bolognese.

La chiesa di Santa Maria della Colonnella, sorta vicino alla prima pietra miliare della via Flaminia, tuttora esistente, venne commissionata al Guiritti nel 1511. Delle paraste esterne è rimasta una piccola parte vicino all’abside nella via Flaminia, quelle interne sono state in parte rifatte durante i restauri del dopoguerra.

PALAZZO MASCHI OPERA DI FRANCESCO DA CARPI (1513)

Lo stesso linguaggio artistico, le stesse forme architettoniche e decorative che ci godiamo in palazzo Monticoli e nella chiesa della Colonnella, li troviamo nel palazzo Maschi, o meglio li vediamo illustrati in foto anteguerra e ne riscontriamo una piccola parte ridotta a ruderi.
Nel 1513 Carlo Maschi assume Achille Pirotti un carpentiere di Sassoferrato per il cornicione della facciata, e i capomastri muratori Gabriele di Giuliano da Montale e Antonio di Gaspare. Il 24 dicembre dello stesso anno fa stendere un contratto per la facciata e le camere del piano nobile con Francesco di Giovanni da Carpi.
Di questo architetto capomastro e decoratore sappiamo che nel 1522 – 1528 ricostruisce la chiesa di S.Agostino a Pennabilli, il santuario della Madonna delle Grazie, un edificio piuttosto bello che unisce la semplicità dell’architettura vernacolare toscana a tratti di stile che ricordano le opere auliche di Baldassarre Peruzzi. Da Carpi vengono proprio in quegli anni, come conti di Meldola e Sarsina, Alberto III e il fratello Leonello Pio di Savoia. Sono signori umanisti, lo zio materno è Giovanni Pico della Mirandola e il loro pedagogo è stato Aldo Manuzio. Alberto aveva fatto venire da Roma Baldassarre Peruzzi per rinnovare il suo palazzo nel castello, per ricostruire la Sagra e la cattedrale di Carpi. Ma la versione peruzziana delle paraste decorate con grottesche non è poi tanto diversa da quella bolognese, forlivese e ferrarese.

La facciata di palazzo Maschi a due ordini di finestre con una porta magna è definita in basso da una piccola ‘scarpa’ – la parte obliqua – delimitata da una cordone a treccia di gusto gotico. Le sei finestre del piano terreno, alcune ancora in situ, presentano nel fregio lo stemma dei Maschi, visibile anche, ma non chiaramente, in una pergamena gambalunghiana del 1464: sul fondo d’oro o di colore giallo, ci sono tre bande – o fasce oblique che vanno dall’alto alla nostra sinistra, in basso alla nostra destra – che sembrano azzurre, ma sono diventate scure e non si capisce quali decorazioni vi siano dipinte sopra –. Nella pietra le bande sono ‘caricate’ da una fila di punte insieme connesse col vertice in alto. Un disegno seicentesco fa vedere solo le punte in banda ma senza la banda, un altro mostra intorno allo scudo la bordura malatestiana ‘a sega’, evidentemente una concessione araldica dei Malatesta che Carlo Maschi non ha voluto riprodurre negli stemmi del suo palazzo.
La cimasa di queste finestre è una raffinata scultura con due delfini, il cui archetipo figurativo è il fregio della basilica di Nettuno dietro il Pantheon a Roma, riprodotto però nelle grottesche del Guiritti.

Il secondo ordine di finestre del primo piano nei fregi riporta una sentenza dello storico romano Quinto Curzio Rufo, che scrisse, in epoca incerta, una vita di Alessandro Magno:

NIHIL TAM ALTE / NATURA POSUIT / FACILE QUO NON / / POSSET ENITI / INCLYTA VIRTUS / C(AROLUS) stemma M(ASCHI).

Lo Zanotti ci dice che Andrea Lettimi cancellò le lettere dell’ultimo fregio aggiungendo ET MAGNANIMITAS [La natura non pose nessuna meta tanto in alto che non possa essere facilmente raggiunta da un’inclita virtù e da un grande animo]. Nel fregio della finestra di centro fece incidere C(AROLUS) M(ASCHI) COEP(IT) A(NDREAS) L(ETTIMI) PER(FICIT) [Carlo Maschi iniziò, Andrea Lettimi completò].

L’ENIGMA DEL PORTALE DI PALAZZO MASCHI

Il portale di palazzo Maschi, come i due di palazzo Monticoli, presenta una decorazione a formelle a punta di diamante con sovrapposta rosa quadripetala che era un simbolo araldico malatestiano, di supposta origine scipionica. La punta di diamante, tagliato a piramide, da tema araldico degli Aragona re di Napoli concesso agli Sforza duchi di Milano, diventa un tema architettonico che orna intere facciate, porte e finestre; si diffonde da Napoli a Mosca, passando per Bologna, dove al notissimo architetto Alessandro Fioravanti, che spostava le torri, è attribuito il bellissimo portico del palazzo Re Enzo con formelle quasi a punta di diamante sulle quali sono scolpiti fiori da innumerevoli forme.
Se volessimo isolare i due temi architettonici tipici della seconda stagione rinascimentale di Rimini, dovremmo scegliere proprio la parasta decorata e la punta di diamante.

Nel contratto col Guiritti per palazzo Monticoli del 1508 la forma delle due portae magnae è specificata “ad punctam adamantis” e va da sé che sopra vi dovesse essere la rosa malatestiana. Ma la cosa non ci stupisce perché i Monticoli appartenevano al partito malatestiano o “Pandolfesco” che proprio nel momento in cui Venezia si ritirava aveva preso vita per riportare i Malatesta a Rimini. Ma i Maschi erano del partito Ecclesiastico, nemici dei Pandolfeschi e dei Malatesta, perché allora avrebbero fatto scolpire una porta che alludeva al matrimonio tra Pandolfo IV (le rose malatestiane) e Violante Bentivoglio, figlia di Giovanni II, signore di Bologna, e di Ginevra Sforza – che le aveva regalato il diamante araldico -? Non ha molto senso politico.
In precedenza avevo attribuito l’intero palazzo al tardo ‘400, vicino alla data del matrimonio di Pandolfo IV, 1489, quando i Maschi abitavano a Rimini e un omaggio alla coppia che governava si sarebbe capito. Forse questo portale, come quelli dei Monticoli del 1508, imitava un portale costruito per palazzo Atti – che sorgeva dove oggi c’è il giardino Ferrari – progettato per onorare il matrimonio Malatesta-Bentivoglio, di cui resta un frammento nei magazzini del museo.
Formulo delle nuove ipotesi, me ne rendo conto. Forse i Maschi ritornati dall’esilio avevano cominciato a costruire il loro palazzo costruendo la scarpa, il cordolo a treccia e il portale omaggio ai padroni di Rimini. E forse Carlo Maschi non voleva far trovare una damnatio memoriae, la rimozione del portale malatestiano, ai Malatesta caso mai fossero tornati a governare Rimini, come in effetti fecero per due volte nel 1523 e 1528.

Portale Monticoli, particolare

Il palazzo Maschi alla morte di Carlo passò ai Marcheselli. Carlo Marcheselli nel 1570 fece dipingere il soffitto della sala a Marco Minghetti, detto Marco da Faenza, esperto di grottesche e collaboratore di Giorgio Vasari, con i fatti della vita di Scipione Africano, il mitico antenato dei Malatesta. Curiosa scelta. Delle undici tavole del soffitto ne sono rimaste sette, visibili in museo.

Andrea Lettimi, 1862-1865 circa (Archivio fotografico Biblioteca Gambalunga)

Nel 1745 Gabriele Franzi acquistò il palazzo dalla vedova dell’ultimo Marcheselli, e nel 1770 lo vendette ad Andrea Lettimi. Nel 1785 Andrea Lettimi aggiunse un piano e rinchiuse in pilastri le colonne della corte. Nel 1902 l’ultimo Lettimi donò al Comune il palazzo come sede di un’istituzione di educazione musicale. Nel dopoguerra, Mario Zuffa, bibliotecario della Gambalunga e noto etruscologo, riconobbe l’antico teatro di Ariminum nell’isolato che comprende il palazzo Maschi-Lettimi. Sotto il palazzo Maschi-Lettimi esistono i resti della scena dell’antico teatro romano.

In via Gambalunga, tra le due piazze Cavour e Ferrari, prima della guerra vi era un palazzetto chiamato popolarmente ma, senza fondamento storico, “palazzo di Isotta”. Le finestre superiori, scomparse, avevano un motivo simile a quello del portale della chiesa della Colonnella del lapicida veneziano Giovanni Bernardini, contratto del 1514 – l’attuale portale della chiesa era posizionato sul fianco -.

Casa di via Bufalini

Il portale, il balcone, le due finestre del pian terreno sono stati rimontati in una casa di via M. Bufalini.

La rosa malatestiana

Fotografia d’apertura: portale di palazzo Lettimi, 1962, Davide Minghini (Archivio fotografico Biblioteca Gambalunga)

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