“Il Tempio Malatestiano è la metafora dei Cantos”: ci vuole un poeta australiano (fuori di testa) per spiegarci il legame tra Ezra Pound e Rimini

“Il Tempio Malatestiano è la metafora dei Cantos”: ci vuole un poeta australiano (fuori di testa) per spiegarci il legame tra Ezra Pound e Rimini

Uno dei più noti scrittori d’Oceania ha studiato i rapporti tra Pound e il Tempio. Il ‘grand tour’ a Rimini lo ha compiuto negli anni Settanta. E nella sua ‘biblioteca d’erba’, conficcata nel bush australiano, sbuca una riproduzione del quadro di Piero della Francesca. Non ci aspettiamo che il Comune – indispettito contro i geniacci – lo inviti in città, ma varare un centro studi su Pound è il minimo…

Un cavallo oscuro. Che è come dire, un cavallo pazzo. Dark Horse. Così, una decina di anni fa, il Sidney Morning Herald tenta di sintetizzare la figura inafferrabile di David Brooks. 65 anni il prossimo 12 gennaio, nato a Canberra, testa lucida come la luna e barba da guru, Brooks è il poeta australiano più eccentrico e anomalo che c’è. Disciplina da vagabondo, David studia in Australia, si perfeziona in Canada, fa una tesi di dottorato su Ezra Pound e per questo fa un tour a Rimini, gettandosi nel Tempio Maltestiano, il cuore del primo nucleo dei Cantos del poeta più contraddittorio e affascinante del Novecento, “il campo di forza intorno al quale gravitano: per me il Tempio era sostanzialmente una metafora del grande progetto dei Cantos”. Animatore culturale – sulla rivista Southerly – ribelle – polemizza, con genio, contro i governi d’Australia, ma soprattutto contro i poeti asserviti al tempo e al mondo, “che si sono convinti di essere impotenti” – Brooks è critico letterario – ha curato l’opera di A.D. Hope – romanziere – ha avuto un certo successo il suo romanzo sul pittore Balthus, The house of Balthus (1995) – saggista – nel 1990 pubblica un testo estremo fin dal titolo, The Necessary Jungle: Literature and Excess – scrittore di racconti. Soprattutto, però, Brooks è poeta. Esordio nel 1983 (The Cold Front), secondo libro più di vent’anni dopo (Walking to Point Clear, 2005), scritto dopo aver ascoltato i consigli dell’amico e maestro, il poeta polacco Czeslaw Milosz, Nobel per la letteratura nel 1980, che ha tradotto. Brooks, che incarna la poesia in una visione di vita, ora abita in una fattoria, nel pieno del bush australiano. Con la moglie, accolgono animali salvati dal macello o dalla morte per stenti. Poesia, per David, è “addentrarmi ulteriormente e più profondamente nel posto in cui sono, e imparare a raccontarlo e a difenderlo nel modo più efficace”, perché “nessun posto è isolato. Ogni luogo è politico. Ogni luogo è sotto minaccia”. Lì, fuori dal tempo, David si è costruito la “biblioteca d’erba” in cui scrive. Nella fotografia che mi invia è attorniato dalle due pecore. Simili a scaltri discepoli. Sembra preferirli agli umani.

Mi racconti del suo rapporto con Ezra Pound e con il Tempio Malatestiano. Perché Pound è un poeta così importante; perché il Tempio Malatestiano (l’anno scorso, per altro, erano i 600 anni dalla nascita di Sigismondo Pandolfo Malatesta)?
“600 anni? Davvero? Proprio uno strano tipo, il Malatesta, dalla testa calda, dal carattere complicato. Da studente laureato, a Toronto, nel 1975 per un corso sul poema nel XX secolo, accettai di scrivere un testo sul Cantos V. Non avevo idea in che cosa mi stessi gettando. Ho dovuto imparare tanto solo per iniziare a capire il poema. Una intera educazione, in quattro pagine! Ma ero affascinato. Ho cambiato il soggetto della mia tesi, da William Blake a uno studio approfondito sui primi sedici Cantos di Pound, e naturalmente al centro di quei Cantos, il campo di forza intorno al quale gravitano, c’è il Tempio, che sorge dal quattro grandi ‘Malatesta Cantos’. Feci un pellegrinaggio a Rimini, nel 1976, e trascorsi un paio di giorni nell’edificio, assorbendo tutto ciò che potevo, imparando così tanto, sul marmo, sull’arte, sul Rinascimento delle origini. Per me, a quel tempo, il Tempio era principalmente una metafora del grande progetto dei Cantos. La ri-creazione di una chiesa papale in un tempio pagano è la monumentale asserzione di Pound, make it new. A poco a poco diventa più personale il modo in cui Malatesta orienta il Tempio su se stesso e Isotta; il modo della sua sconsacrazione assume un carattere esistenziale. Ma è attraverso la poesia, e la poesia dei ‘Malatesta Cantos’ è notevole, che il Tempio è entrato in me profondamente. Forse a causa dell’australiano che è in me. Nel profondo della mente post-coloniale c’è la tendenza a prendere la cultura del ‘maestro’ per ri-pensarla, ri-situarla, ri-leggerla, tentando di identificare e correggere e controbilanciare la cecità e gli errori e le distorsioni dell’antica cultura degli ‘invasori’. Ma probabilmente c’è anche qualcos’altro, come se nel concetto del Tempio ri-proposto esistesse una qualche equazione, un algoritmo, che possa essere usato per altri tipi di transizione. Quando ci trasferimmo nella piccola fattoria dove viviamo, con i nostri animali salvati, c’era un vecchio capanno, spalancato, in ferro zincato, al limite del paddock. Una mattina, me ne stavo in piedi, all’aperto, e capii che quella luce era perfetta per una sala di scrittura. Ho trovato la persona giusta per costruirla. Ha lasciato la vecchia struttura così com’era, l’ha foderata e isolata all’interno. Ora è il luogo in cui lavoro. È pieno dei grandi libri del mondo, ma è circondato dall’erba e dal bush australiano – io lo chiamo la mia biblioteca d’erba – e le pecore possono entrare e riposare tra i libri, come se quello fosse un luogo simbolico dove i libri e la natura e gli animali possono convivere. Ho costruito io le biblioteche. Una delle prime cose che ho messo su di esse è una piccola incisione ottocentesca del quadro di Piero della Francesca nel Tempio, con Sigismondo Malatesta in ginocchio davanti a San Sigismondo. Quanto a Pound. Devo dire che è una figura problematica. C’è così tanto intorno alle sua visione politica che non ho mai neppure tentato di accettarla. Ma non è stata certo la prima grande intelligenza ad aver fallito durante gli immensi orrori e le contraddizioni del XX secolo. La sua grandezza è poetica, non certo come pensatore politico. La sua comprensione del funzionamento dell’immagine, la sua percezione del metodo ideogrammatico, la sua comprensione del ritmo (il ritmo ‘assoluto’, i ritmi eolici) e dell’armonia (quella straordinaria percezione, nel libro su Antheil, che ‘due suoni non sono disarmonici se c’è il giusto intervallo tra loro’), il suo senso della logopoeia (‘la danza dell’intelletto tra le parole’) e soprattutto l’insistenza sull’‘iniezione esotica’ da altre culture: queste sono leggi fondamentali della poesia moderna”.

L’intervista intera potete leggerla qui

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