Il vero problema del Meeting non è la presenza di mezzo governo Renzi

Il vero problema del Meeting non è la presenza di mezzo governo Renzi

Nel documento di Assago Giussani definisce la politica “forma compiuta di cultura”. Formula così enigmatica (rispetto a quella più tranquillizzante di “forma più alta di carità”) da venire totalmente bypassata, piuttosto che approfondita, dai vari Buttiglione, Formigoni, Lupi, Vittadini ecc., nessuno dei quali è riuscito a sviluppare criticamente l’intuizione Giussaniana. Ma sotto una formula così inquietante, si nasconde l’idea rivoluzionaria d’una politica intesa come “forma di conoscenza” piuttosto che strumento di conquista del potere e/o trasformazione della realtà.

Le recenti polemiche sulla presenza al Meeting della Boschi, nonché di mezzo governo Renzi, credo siano del tutto inappropriate.
Se non altro perché il Meeting ha sempre ospitato presenze istituzionali che mutavano a seconda delle fortune di Democristiani, Socialisti, Berlusconiani, Prodiani e (oggi) Renziani.
In base a un sottinteso, più esistenziale che teoretico, secondo cui Cl è un soggetto talmente forte e autonomo, nella sua identità, da non temere alcun tipo di collocazione e/o confronto.
Assunto che tuttavia ha portato ad equivoci che la stessa leadership Milanese, insediatasi a un certo punto ai vertici del Meeting, ha accusato con la formula “Meno politica più cultura”.
Ovvero, basta politici al Meeting.
Cosa tuttavia mai avvenuta, forse per l’inadeguatezza da parte di quella stessa leadership nel riuscire a fare i conti in maniera non ideologica col potere.
In base al sottinteso che, non potendo un soggetto come Cl non produrre opere e le opere hanno bisogno di sostegno, è teologicamente corretto, anzi doveroso, che il potere le sostenga.
Niente di nuovo o di scorretto sotto il sole, per carità, salvo che un derapage così brusco da destra a sinistra messo in atto quest’anno al Meeting (sulla scia di quanto appena orchestrato a Milano dall’ex capo della CDO Giorgio Vittadini) non può che provocare sospetti di trasformismo e opportunismo forse strumentali, ma non è questo il punto.
Perché imbrancarsi con la politica senza un asset teorico adeguato è peggio che cambiare idea.
Della serie: per cambiare idea, un’idea di partenza ci vuole.
La cui mancanza è sempre stata surrogata da una serie di parole d’ordine di tipo sociale o etico, non politico (dottrina sociale della chiesa, sussidiarietà, bene comune, politica come servizio, valori non negoziabili ecc.), oggi purtroppo datate.
Divenute cioè scatole vuote (dal punto di vista dell’appeal mediatico, non della sostanza) a prescindere dalle migliori intenzioni, anche perché sotto il vestito niente.
Volete un esempio?
Nel documento di Assago Giussani definisce la politica “forma compiuta di cultura”.
Formula così enigmatica (rispetto a quella più tranquillizzante di “forma più alta di carità”) da venire totalmente bypassata, piuttosto che approfondita, dai vari Buttiglione, Formigoni, Lupi, Vittadini ecc., nessuno dei quali è riuscito a sviluppare criticamente l’intuizione Giussaniana.
Non avendo capito che, sotto una formula così inquietante, si nasconde l’idea rivoluzionaria d’una politica intesa come “forma di conoscenza” piuttosto che strumento di conquista del potere e/o trasformazione della realtà.
Donde la constatazione dell’apporto nullo, o quasi, di politici e intellettuali allo sviluppo del concetto.
Dal che discende un altro problema, tutto Riminese, evidenziato dalla seguente domanda: “Se dall’oggi al domani il Meeting venisse meno, cosa resterebbe alla città di culturalmente strutturato e duraturo?”
Lascio a voi la risposta.
Essendo questo il vero problema, non la presenza o meno della Boschi al Meeting.

P. S. Per fortuna a Rimini il condizionamento esercitato dalla lista Pizzolante-Frisoni-Moretti sulla giunta Gnassi (sponsorizzata fra l’altro da un Vittadini che di Rimini ne sa quanto io del Giambellino) risolverà ogni cosa. Alleluia!

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