Jamil & Chiara divisi sul museo Fellini? Cercano solo di salvare capra e cavoli

Jamil & Chiara divisi sul museo Fellini? Cercano solo di salvare capra e cavoli

Il candidato sindaco lo definisce «un luogo magico e straordinario per i riminesi e per tutti i visitatori della nostra città», mentre la sua spalla che corre da vicesindaca sostiene che avrebbe «desiderato un trattamento diverso di quegli spazi». A che gioco stanno giocando? Semplicemente a tenersi ben stretto il loro elettorato.

Uno loda la vasca jacuzzi per il pediluvio del popolo in cerca di frescura e tutto l’ambaradan del museo Fellini che ha devastato piazza Malatesta. L’altra prende le distanze e critica lo stesso progetto, anche se non si spinge fino in fondo nella sua analisi, forse temendo che qualcuno potrebbe farle fare la fine toccata a Gloria Lisi. Cosa sta succedendo?
Certo, dividersi sul progetto simbolo del decennio Gnassi non è poco e la dice lunga su quel che ci attende in casa centrosinistra. Cominciano già a litigare, si domanda qualcuno, come potranno governare la città? E in effetti il problema è anche questo se affianchi ad un soldatino obbediente come Jamil una donna dall’animo movimentista e che nel recente passato ha ingaggiato polemiche accese con le scelte di politica culturale della giunta Gnassi. Ma non fatevi ingannare. Stanno soprattutto recitando una parte.

Sono una sorta di duo comico, l’uno è la spalla dell’altra. Sorge il sospetto che alla scuola del potere che si tramanda di elezione in elezione (perché in fondo solo questo conta: continuare a gestire tutto il gestibile da palazzo Garampi) abbiano insegnato ai giovani pulcini della sinistra che questa dovrà essere la tattica in campagna elettorale: uno loda il decennio Gnassi (anche perchè c’è stato in ammollo e si è trovato benissimo) e recita la parte della continuità, l’altra fa la voce dissonante e recita la parte della discontinuità. Così che gli adoratori di Gnassi possano trovare in Jamil il loro faro e quelli che, pur col cuore a sinistra, quasi sono arrivati ad odiare il signorotto che ha violentato i beni culturali di Rimini, e dunque stanno meditando di rivolgere altrove il proprio voto, possano fare affidamento sulla candidata che predica dialogo, confronto e radicale cambio di metodo.

Certo è che sul punto i due sembrano militare in due schieramenti diversi e opposti.

8 agosto, Jamil posta un video nel quale, dando le spalle al castello e alla vasca dei sogni vaporosi manda questo messaggio: «Con l’inaugurazione di ieri di Al Mèni, ha aperto anche la nuova Piazza Malatesta. Un luogo magico per i riminesi e per tutti i visitatori della nostra città, straordinario, totalmente riqualificato, che saprà valorizzare ulteriormente la bellezza e l’unicità della nostra città. Qui c’era un parcheggio disordinato e oggi c’è il fulcro del nuovo museo internazionale Federico Fellini, che valorizzerà Castel Sismondo». Tutto perfetto, insomma, per Jamil.

13 agosto, Chiara Bellini diffonde un comunicato stampa nel quale dice: «Come storica dell’arte, avrei desiderato un trattamento diverso di quegli spazi e l’ho espresso più volte in passato, ma il progetto ora è realtà ed è stato accolto parimenti con entusiasmo o con orrore e rabbia. L’unica riflessione che mi preme fare, è ancora una volta sul metodo. Che ci piaccia o non ci piaccia questo poderoso intervento, ciò che abbiamo davanti deve essere un monito per tutte le future azioni dell’amministrazione: le decisioni devono essere partecipate. La cittadinanza deve essere coinvolta prima, non dopo. Solo così le persone si sentiranno parte delle decisioni, anche quando quelle prese non saranno quelle sperate. Ciò che critico oggi, al lavoro intorno al castello, è la mancanza di partecipazione nel suo sviluppo. Gli scambi accesi, ma talora anche fecondi, che ho letto su Facebook all’indomani dell’inaugurazione potevano forse svolgersi prima se la città fosse stata più coinvolta nel progetto. Penso che d’ora in avanti si debba per forza procedere cosi. A quel punto l’’eroe’ o il ‘colpevole’ non sarà più solo un individuo (che magari pensa solo di agire per il bene della città), ma la comunità intera, responsabilizzata e dunque più accorta».
Come si può ben cogliere, la candidata vicesindaca non è tranchant, non dileggia l’opera, addirittura, secondo lei, chi ha devastato piazza Malatesta potrebbe averlo fatto pensando di operare per il bene della città. Non dice nemmeno se quel circo degli orrori bisognerà tenerselo vita natural durante oppure se sarà meglio spostarlo altrove a favore della apertura del fossato del castello. E allora cosa sta cercando di comunicare? Chiara Bellini sta solo cercando di accreditarsi, agli occhi di un elettorato di centrosinistra in fuga, come una garanzia a salvaguardia dei beni culturali e di una certa idea di politica culturale partecipata.

Ma è credibile Chiara Bellini in questo suo prendere le distanze? Solo quattro mesi fa intervenendo ad un incontro pubblico come artefice della proposta di “articolo ventisette” e a sostegno della candidatura di Emma Petitti, ingaggiava una polemica diretta con Andrea Gnassi: «Io stasera dirò anche delle cose un po’ antipatiche», era stato l’esordio. E citando le parole del sindaco («cosa avremmo dovuto farci nel castello, un museo della tortura, un museo delle cere con Sigismondo e la sua corte?») pronunciate circa tre anni prima in una conferenza stampa, così commentava: «a me questa immagine ha dato la fotografia di quello che sta succedendo in questo momento a Rimini, dove un pensiero diverso viene immediatamente ridicolizzato, si passa allo sberleffo di un pensiero diverso dal proprio; e mi ha colpito che dopo questo commento del sindaco, che non teneva conto del reale dibattito sul museo Fellini, portato avanti da studiosi di livello nazionale e internazionale, come Tomaso Montanari, ad un certo punto si sono sentite le risate di alcuni che stavano ascoltando il sindaco…. io le ho trovate pericolose perché sono dovute a una menzogna, una narrativa fuorviante, la questione non era museo delle cere e della tortura. Bisogna fare attenzione a questo atteggiamento un tantino autoritario e autoreferenziale che conduce inevitabilmente all’isolamento». Aveva anche ironizzato sulla gestione della vicenda Rimini capitale della cultura: «Non è sufficiente fare l’elenco dei nostri monumenti, ci sono tre fondamentali istituzioni a Rimini che vanno completamente ripensate: biblioteca, teatro e musei». Aveva anche demolito le istituzioni culturali «dirette da figure amministrative, da funzionari», ovvero puntato il dito contro l’assenza di direttori per la Gambalunga, il teatro e i musei comunali («ci manca l’abc, non abbiamo comitati scientifici né direttori e in questo modo la politica può esercitare il controllo»).
Ecco, come si può notare, ora che ha ricevuto l’investitura alla carica di potenziale vicesindaca, ha già totalmente mutato i toni e sbianchettato buona parte dei contenuti più spigolosi.

Perché si dice “salvare capra e cavoli”? Significa cercare di salvaguardare due obiettivi (bisogni, interessi, tornaconti) inconciliabili.

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