La Diocesi di Rimini ha i conti in rosso e prova a farsi “francescana”

La Diocesi di Rimini ha i conti in rosso e prova a farsi “francescana”

Ecco la reale situazione finanziaria della chiesa riminese, così come è stata riferita nel presbiterio che si è tenuto a Covignano, alla presenza del vescovo.

L’effetto Bergoglio sulla chiesa è ormai un dato di fatto. Sobrietà, simboli esteriori cancellati in tutta fretta, anelli e croci in oro sostituiti da meno nobili metalli, ritorno all’essenziale, segnali molto concreti che dicono di una forte virata ad usare con oculatezza anche i beni della chiesa. Dallo Ior alle diocesi, poi, è in corso una vera e propria operazione trasparenza. Il magistero del Papa argentino sta rivoluzionando la chiesa universale e anche in Italia la nuova ventata “francescana” comincia a farsi sentire.

La Diocesi di Rimini non ha alle spalle, quantomeno nel suo passato recente, una gestione particolarmente in linea con gli insegnamenti del frate di Assisi. Ma, d’altra parte, chi prima dell’arrivo del pontefice gesuita poteva dirsi sintonizzato sugli ultimi, intesi come poveri, e su uno stile di vita improntato alla povertà?
Mons. De Nicolò, una carriera sbocciata nella Curia romana e una grande passione per le opere d’arte, vescovo di Rimini dal 1989 al 2007, sarà ricordato anche per essersi presentato ad una cresima comodamente seduto su una fiammante Rolls Royce.
Ora le cose sono cambiate. Per la prima volta la Diocesi di Rimini ha deciso di dedicare ai propri conti (in rosso) un presbiterio che ha passato in rassegna – con tanto di slide – tutte le entrate e le uscite, comprese le “falle” che costringono la Curia a correre ai ripari e a stringere la cinghia. Presente alla riunione dei preti che si è tenuta venerdì scorso nel nuovo seminario (nella foto in alto l’ingresso e, qui sotto, una veduta dall’alto), anche il vescovo mons. Francesco Lambiasi.
La parola d’ordine, rimbalzata in numerosi interventi, è una sola: accogliere la sfida di Papa Francesco per una chiesa povera per i poveri. Ma non si tratta di una sfida semplice.

Situazione economica seria
Anzitutto la Diocesi sceglie la strada della condivisione delle scelte economiche. Basta con le decisioni di pochi calate dall’alto e, soprattutto, basta con gli sprechi. D’improvviso questo è diventato un imperativo evangelico ma anche una necessità indotta dal “buco” che si è venuto a creare nel bilancio della Diocesi, dalle difficoltà che lambiscono diverse parrocchie e dal fatto che la crisi si fa sentire per tutti, anche per il clero.
Parecchie diocesi in Italia si trovano con l’acqua alla gola, e lo stesso Vaticano nel 2011 ha avuto un disavanzo di quasi 15 milioni di euro, ma il consuntivo consolidato del 2012 segna un utile di oltre 2 milioni di euro.
Che aria tira a Rimini? Al presbiterio non sono mancate voci di sacerdoti che non si sono fatti intimorire dalla presenza del vescovo ed hanno detto pane al pane e vino al vino. C’è chi ha chiesto come si giustifichino certe spese per opere di scarso utilizzo, facendo riferimento al nuovo seminario. Chi ha proposto di affidare la gestione dei beni della Diocesi a professionisti laici sganciando il ministero sacerdotale dal “maneggio” della pecunia. Più d’un prete ha posto l’attenzione sulle ingenti risorse drenate dagli organi di informazione diocesani (Ponte, Radio Icaro, Icaro Tv ecc.) chiedendosi se, visti i chiari di luna, sia ancora opportuno investire tanto su strumenti che, almeno in alcuni casi, non raggiungono fette significative di pubblico e che andrebbero meglio soppesati nella loro efficacia evangelizzatrice.
Sì, perché far quadrare i conti è diventato davvero difficile. La situazione debitoria della Diocesi – che per molti preti è stato un fulmine a ciel sereno – è stata definita non drammatica ma “seria”. Nonostante un bel gruzzolo di azioni, e poi fabbricati, terreni agricoli, luoghi di culto, affitti, aree edificabili, crediti e alienazioni in corso che daranno entrate consistenti, le spese fatte, la gestione quotidiana e il sostegno a parrocchie e realtà collegate (organi di informazione, libreria “Pagina” e altro) destano qualche allarme.

Una chiesa ricca ma alleggerita da scelte discutibili
La ricchezza non manca nella chiesa riminese. Il valore sul mercato di terreni agricoli, aree edificabili, fabbricati (solo questa voce vale 37 milioni di euro), edifici di culto, equivale ad un tesoro che si avvicina ai 90 milioni di euro. Non mancano le azioni (1 milione di euro) ma pure numerosi crediti da riscuotere verso enti di varia natura.
E’ forte però l’esposizione verso le banche: più di 27 milioni di euro fra mutui e fidi. L’indebitamento è cresciuto a vista d’occhio grazie a pochi ma sostanziosi rivoli: prima di tutto l’opera faraonica del nuovo seminario di Covignano (intitolato a don Oreste Benzi), costato quasi 12 milioni e mezzo di euro, quando i seminaristi sono ormai ridotti al lumicino e pare che le presenze al momento siano di poche unità. Poi la ristrutturazione dell’ex seminario (foto), costata 10 milioni di euro (e comunque la Diocesi incamererà 1 milione l’anno per un decennio, a partire dal 2014, perché in quella struttura è stato ricavato un polo scolastico e l’amministrazione ha acquisito il diritto di superficie dell’edificio ristrutturato). La terza voce per consistenza sono i contributi alle parrocchie, in tutto circa 11 milioni e 800 mila euro, e garanzie rilasciate dalla Diocesi (sempre per le parrocchie) pari a 10 milioni e mezzo di euro.
Ma un altro problema sono le “consociate”, che accumulano debiti e in altri casi chiudono con un leggero attivo (vedi Casa del Clero) grazie alle iniezioni di denaro della Diocesi. Ariminum nel 2012 ha perso oltre 46 mila euro, il gruppo degli strumenti di informazione diocesani ha avuto un passivo di quasi 60 mila euro, il seminario di 98 mila. La Diocesi paga, di soli tassi di interesse, 1 milione di euro l’anno. Qualunque impresa avrebbe motivi sufficienti per preoccuparsi.

Uno “spot” per Banca Carim
Urge una politica dei tagli e del risparmio. I media diocesani nel 2013 avranno il 25% in meno delle somme elargite l’anno precedente. Si cerca di fare economie sul personale e la parola d’ordine è “non aprire nuovi fronti di guerra”, cioè non imbarcarsi in imprese che comportino nuove spese, ma impegnarsi a cercare risorse all’esterno, sul modello di altre diocesi virtuose.
Infine il delicato capitolo banche. Nel discorso alle autorità in occasione di San Gaudenzo, mons. Lambiasi aveva esternato un forte richiamo alle banche di credito cooperativo. Qualcuno si era chiesto: come mai tanta “durezza”? Alle Bcc Lambiasi ha chiesto di non massimizzare il profitto, di non impiegare i risparmi dei soci e clienti in strumenti finanziari ma di prestarli ad altri soci e clienti, di non far mancare il credito alle famiglie in difficoltà e di essere di supporto alle imprese che creano e danno lavoro. “L’attenzione e la prossimità all’uomo non devono essere dimenticate neppure nel momento del recupero crediti, ottenuti per prestiti andati in sofferenza”. Solo un energico scossone verso banche nate nell’alveo del mondo cattolico o anche un po’ di delusione per risposte concrete non date ad esigenze economiche della Diocesi? Probabilmente non si saprà mai.
Si sa invece che dal presbiterio è uscita la conferma che fra la Diocesi e il credito cooperativo in questo momento non c’è feeling, che sembra invece ben solido con Carim.
Colui che dal 2011 ha ricevuto dal vescovo il compito di amministrare i conti della diocesi, don Danilo Manduchi (raccogliendo il testimone da don Andrea Baiocchi, al quale il vescovo venerdì ha tributato un ringraziamento non formale, accompagnato dall’applauso di tutti i preti presenti) ha fatto un autentico “spot” (così l’ha definito lui stesso) a favore di banca Carim. Dopo avere ringraziato l’istituto di credito per il “grosso prestito che ci ha fatto”, ha invitato i parroci a “convogliare li alcuni conti delle parrocchie”.

Colpa anche del governo Monti e del calo degli affitti
Motivando il deficit che grava sui conti della Curia, invece, è stata sottolineata la batosta legata alle norme fiscali introdotte dal governo Monti (le aliquote Imu in primis) perché oltre alle offerte, che incidono per il 25% sul bilancio diocesano, il 75% è costituito dalla rendita degli affitti. La spesa dell’Imu è passata da 32 mila euro l’anno a 65 mila. Un altro imprevisto negativo è proprio in stretta relazione con gli affitti. E’ stato spiegato che per alcuni locali già affittati nel centro storico la Diocesi ha dovuto accontentarsi di una rinegoziazione unilaterale (decisa dagli attuali affittuari) del 10% al ribasso. Un’altra tegola è quella dell’addio della Banca Popolare dell’Emilia Romagna, che dopo una quarantina d’anni ha deciso di lasciare i locali della Curia in via IV Novembre facendo venir meno una entrata sostanziosa. Tanto che la Diocesi è già impegnata a trovare un nuovo affittuario. Aumento delle tasse e diminuzione dei canoni di affitto, insomma, giocano un peso non indifferente nei conti in rosso della Diocesi.

Lambiasi e i baiocchi
Mons. Lambiasi è a Rimini da sei anni. Di lui si parla già a proposito di nuovi incarichi prestigiosi (ad esempio per il dopo Caffarra), fa parte del Consiglio episcopale permanente della Cei, è un raffinato studioso, autore di pubblicazioni di carattere teologico e pastorale. Ora, suo malgrado, dovrà forse concentrarsi anche su un po’ di economia aziendale. Probabilmente non si aspettava di dover ereditare questa grana, e l’ha fatto capire anche davanti ai suoi preti quando ha raccontato il primo incontro informale avuto con mons. De Nicolò, poco dopo essere stato nominato ufficialmente vescovo di Rimini. Della situazione economica – ha confidato venerdì Lambiasi al presbiterio – mons. De Nicolò gli parlò benissimo, disse che non si poteva definire florida ma certamente solida. Il merito, aggiunse il vescovo uscente, non è mio ma di Baiocchi… Lambiasi non sapeva che Baiocchi fosse il nome dell’economo diocesano e intese i baiocchi. Quelli che adesso scarseggiano. (c.m.)

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