Una settimana fa l'annuncio sul fatto che i tamponi sarebbero notevolmente aumentati. Invece non è avvenuto. Così come anche oggi il commissario Venturi ha rinviato ancora la comunicazione dei dati sul personale sanitario infettato. I sindacati non ci stanno. Anche perché si vorrebbe far lavorare il personale medico positivo al covid nel caso sia asintomatico. E il consigliere comunale Mario Erbetta parla di "mancanza totale di coordinamento tra istituzioni". Intanto a Rimini si è chiusa la settimana più nera: 41 decessi.
Partiamo da un dato, quello sulla settimana nera del coronavirus a Rimini, che speriamo non debba più ripetersi. Da domenica 15 marzo a domenica 22 marzo il covid-19 in provincia ha fatto registrare numeri infernali. Fra il fine settimana precedente e l’inizio di quella che si è chiusa ieri (dal 14 al 16), si sono raggiunti 17 decessi. Poi 3 il giorno 17, 7 il 19 marzo, 1 l’indomani, e quindi altri due picchi: 6 e 7 morti, rispettivamente sabato e domenica. In totale fanno 41 persone che il coronavirus si è portato via.
I positivi invece sono passati da 398 a 942 nello stesso periodo. Non triplicati ma quasi. Oggi sono saliti a 1.035, +93 e la classifica dei morti non vede fortunatamente nessun aggiornamento.
Ma le notizie che oggi meritano un approfondimento sono due. La prima riguarda la melina che la Regione sta facendo sui tamponi. Durante l’aggiornamento del 17 marzo, il commissario Venturi ne aveva annunciati subito molti di più. E lo stesso aveva fatto il presidente della Regione Emilia Romagna in tv, come ricordano oggi Cgil, Cisl e Uil. D’altra parte le richieste in questa direzione si stavano facendo pressanti e qualcosa bisognava pur dirlo: sindacati, medici, politica (come aveva fatto la Lega già da metà marzo) reclamavano un salto di quantità nei test. I tamponi invece restano pochi. C’è stato sì un aumento ma comunque contenuto. Di seguito gli incrementi giornalieri dal 17 al 23 marzo: + 1.414, +951, +2.833, +2.409, +3.867, +3.402 e +3.178. Per fare qualche raffronto, va detto che fino ad oggi l’Emilia Romagna ha svolto 31.200 test, contro i quasi 80mila della Lombardia e i quasi 60mila del Veneto.
Ma (e siamo alla seconda notizia) dove la Regione mostra un atteggiamento un po’ cinese, nel senso di poca trasparenza, è sui tamponi eseguiti al personale sanitario. Oggi durante l’aggiornamento consueto via streaming, il commissario Venturi ha rimandato ancora in avanti la comunicazione dei dati sul personale sanitario positivo al covid-19. Queste le sue parole: “Mi chiedete quanti operatori sanitari sono stati testati e sono positivi, è un dato che abbiamo chiesto oggi all’assessorato alle politiche per la salute, assessore Donini, e nel giro di 1-2 dirette saremo sicuramente in grado di darvi conto di questo numero”. Perché è stato chiesto solo oggi? La Regione dà l’impressione di voler nascondere la polvere sotto il tappeto. Gli ordini dei Medici hanno fornito per la verità una risposta di diverso tipo al comportamento di Bonaccini e soci. Era il 16 marzo quando scrivevano in un comunicato alla stampa che “ad oggi, agli scriventi Ordini provinciali, non è stato comunicato da parte della Regione Emilia Romagna e del competente Assessorato alla Sanità il numero dei medici contagiati o posti in quarantena, né è stato comunicato il numero degli altri operatori sanitari infettati in occasione di lavoro. Per motivi che a noi sfuggono sembra ci sia una “logica” di minimizzare il problema, quando invece il problema c’è ed è molto sentito da parte di chi è in prima linea contro il coronavirus”. Il presidente dell’Ordine dei Medici-Chirurghi della provincia di Rimini, Maurizio Grossi, nella intervista concessa a Rimini 2.0, non aveva usato mezzi termini: “C’è una grossa difficoltà nella gestione di questa emergenza sia a livello territoriale che ospedaliero. Dobbiamo mettere in sicurezza gli operatori sanitari, se vogliamo che regga tutto il sistema. Questa non è una “guerra lampo”. Durerà mesi”.
Invece sta accadendo altro. E’ dura la nota che hanno appena diffuso Cgil, Cisl e Uil regionali: “Partiremo con una campagna molto estesa, garantendo alcune migliaia di tamponi al giorno. Siamo pronti per partire immediatamente”. Lo ha detto sei giorni fa a Cartabianca (Rai3) il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini. Stiamo ancora aspettando che qualcosa si muova, mentre cresce la nostra preoccupazione per la salute di chi lavora e cresce anche la tensione del personale delle Aziende sanitarie per la poca chiarezza con la quale vengono gestite le situazioni dopo lo sviluppo di nuove positività. Sappiamo, infatti, che la Regione ha inviato alle Aziende un documento (di cui ne siamo venuti a conoscenza grazie agli stessi dipendenti) che contiene a nostro avviso un grave errore di lettura e una grave contraddizione della normativa vigente. L’indicazione che viene fornita è di far andare al lavoro il personale Covid positivo nel caso sia asintomatico”. Nel documento si parla di ripresa del lavoro “su base volontaristica” ma, dicono i sindacati, il decreto “Speranza” afferma che gli operatori sospendono l’attività nel caso di sintomatologia respiratoria o esito positivo per Covid-19.
Aggiungono i sindacati che “nel documento mandato alle Ausl, si dovrebbe modulare differentemente la tutela della salute degli operatori del S.S.R. a seconda che siano in zone ad elevata, moderata o massima diffusione, effettuando, in maniera differenziata, i tamponi sia per numero che per tempi.
Sono passaggi che richiedono chiarimenti immediati, perché vorremmo capire la paternità di una scelta per noi assolutamente incoerente e contraria alla tutela della salute e alla normativa vigente. Per noi la salute di un medico, di una infermiera, di un OSS o di un qualunque altro operatore sanitario ha lo stesso valore da Piacenza fino a Rimini, e i protocolli di prevenzione e tutela della salute su chi lavora devono essere uguali per tutti”.
Tempo di un amen e Donini ha risposto: “Siamo pronti al confronto, come facciamo sempre, con le Organizzazioni sindacali in merito al documento inviato alle Ausl sul tema della tutela degli operatori sanitari impegnati nella lotta al coronavirus. Un documento che è stato redatto, lo voglio precisare, sulla base delle indicazioni tecnico-scientifiche che abbiamo ricevuto”. “Il nostro impegno – prosegue l’assessore Donini – ad aumentare il numero dei tamponi eseguiti rimane e già lo stiamo onorando. Tra le priorità vi è certamente quella rappresentata dalla necessità di tutelare chi sta facendo uno straordinario lavoro in tutti i luoghi di cura dell’Emilia-Romagna, professionisti che sono messi a dura prova in questi giorni e che non smetteremo di ringraziare. Apriremo da subito – assieme al Commissario ad acta per l’Emergenza coronavirus, Sergio Venturi – un confronto con le Organizzazioni sindacali, per far sì che la lotta al virus possa realizzarsi nelle migliori condizioni possibili, nella difficile situazione nella quale ci troviamo”.
Da segnalare infine la presa di posizione del consigliere comunale di Rinascita civica, Mario Erbetta sulla “mancanza totale di coordinamento tra istituzioni”: “Conte e il Governo fanno un decreto che entra in contrasto con un provvedimento della Regione Emilia Romagna e i successivi provvedimenti dei sindaci dell’Emilia Romagna. La nebbia più assoluta sulla prevalenza delle normative: il decreto nazionale prevale su quello regionale dato che si rientra in materia concorrente? Oppure si tratta di competenza esclusiva Regionale (e quindi non si comprende come mai si facciano tanti decreti legge)? Ma la cosa che lascia perplessi è l’interpretazione di tali norme che sta portando oggi al delirio. Le banche e le poste devono restare aperte con limiti o totalmente chiuse? Problema di non poco conto in particolare per le poste e per le pensioni che dal 26 dovrebbero essere pagate ai pensionati. Ma anche le banche che lasciano aperti solo i bancomat e non lavorano nemmeno chiuse al pubblico creano problemi enormi. Pensate alle Riba utilizzate nel commercio, a pagamento che andranno in conto in automatico con le problematiche che se non ci sono soldi sul conto non si potrà rientrare mediante chiamata con problemi su assegni, carte di credito e altro. Ma anche l’impossibilità di fare pagamenti agli sportelli per coprire i conti”.
A questo si aggiunge – dice Erbetta – “il grido di dolore degli alberghi annuali affittati a lavoratori e studenti. Cosa devono fare? Chiudere? Ma se i clienti sono residenti fuori provincia e lavorano a Rimini non potendo uscire dal comune o entrare in quello di residenza che fine devono fare? Il Prefetto si basa sul decreto ministeriale e dice state aperti, il Comune che si basa sulle normative regionali e comunali dice dovete chiudere? Ma questi poveri cittadini cosa devono fare? C’è qualcuno nelle nostre istituzioni che si assume per iscritto la responsabilità di dare una giusta interpretazione a queste norme dicendo se tali attività debbano rimanere aperte o no e a quali condizioni? I cittadini hanno bisogno di certezze. Chiedo al Comune di dare formalmente una risposta a questi albergatori e la chiedo immediata. Qualcuno è ora che si prenda le sue responsabilità, nel bene o nel male”.
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