L’enigma di una Rimini surreale

L’enigma di una Rimini surreale

Sembra di trovarsi in un quadro di De Chirico. Una città sospesa, vuota. Le uniche persone che s'incontrano hanno il volto coperto. Solo una presenza non ha cambiato le sue abitudini.

La nuova ordinanza del presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini ha stabilito la sospensione delle attività economiche, il rafforzamento dello stop alle attività sociali e il riassetto della mobilità viaria per favorire i controlli. Rimangono in funzione solo le attività economiche essenziali e quelle che possono garantire ferree misure di sicurezza interne per prevenire il contagio. Inibite al transito molte strade secondarie, interdetti gli arenili e il lungomare. Fermati anche i cantieri. Il provvedimento arriva dopo la relazione del direttore generale dell’Ausl Romagna (Marcello Tonini) e un documento dei sindaci che chiedeva più drastiche misure di prevenzione a causa della preoccupante situazione epidemiologica locale.

I primi cittadini, seppur obtorto collo, invocavano in coro un “intervento straordinario per garantire contenimento e distanziamento sociale”. Evidentemente, le misure adottate finora non sortiscono gli effetti desiderati. Come in molte parti d’Italia anche a Rimini c’è chi sgarra sicché, con l’aumentare del pericolo, le autorità cittadine si vedono costrette a prendere decisioni severe. Ricorderete la foto del bar al porto, stracolmo di gente, nella prima domenica dopo il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 4 marzo scorso; sembra un secolo fa. Rammenterete che il sindaco Gnassi si è visto costretto a chiudere i parchi cittadini. E il gruppo di idioti che su WhatsApp segnalava dov’erano i posti di blocco delle forze dell’ordine? Per fortuna è stato denunciato alla Polizia Postale dall’assessore Sadegholvaad. Non è concepibile che si debbano spendere energie per arginare l’insensatezza di qualcuno. Ma questo è, purtroppo. E se è vero che chi governa la città ha il dovere di difenderci, bene fa a prendere tutte le misure necessarie per raggiungere l’obiettivo.

 

Se dovessimo giudicare da ciò che abbiamo visto ieri mattina in centro storico (ma oggi la situazione è la stessa), potremmo pensare che stiamo cominciando a capire che stare a casa sia saggio e salutare. Erano le undici, undici e trenta. Se è vero che notare una città senza auto che ne offendano l’estetica è assai piacevole, è altrettanto vero che nel primo giorno di primavera, vedendo il centro città semi deserto dava l’impressione di essere immersi a bagnomaria ne “L’enigma di una giornata”, iconica opera di Giorgio de Chirico. Ben poche persone in giro per il centro, comunque presidiato da carabinieri e polizia. La cronaca odierna riporta ancora diverse denunce fatte venerdì a chi è stato colto a trasgredire le regole anti Covid-19. È sperabile che presto le notifiche diminuiscano in modo direttamente proporzionale ai ricoveri.

A Rimini, come ovunque in Italia, si galleggia in un clima surreale, tra l’ipnotico e l’onirico. Siamo risucchiati in un vortice assurdo, avvitati come siamo, nella lotta al nemico invisibile. Fino a un paio di mesi fa, nessuno poteva lontanamente immaginare che ci saremmo ritrovati così. E ci stiamo quasi facendo l’abitudine. Se non altro, ci sentiamo ancor più vicini ai nostri padri e ai nostri nonni che hanno fatto la fila con la tessera annonaria stretta in mano per avere la loro razione di generi alimentari. E mentre stiamo in coda fuori dal supermercato e ci guardiamo l’un l’altro, ognuno annullato dietro alla mascherina, sembriamo tanti “Uomini senza volto”, proprio come i manichini di De Chirico. E in serie, siamo rimasti intrappolati nella metafisica.
Le azioni più consuete e banali, come acquistare frutta e verdura o un dentifricio sono avvilite dal fatale metro e mezzo di distanza da rispettare tra un essere umano e un altro. Persino nella solitamente affollata via Michele Rosa, la strada del forno Cupioli e della pescheria, a mezzodì non si è vista che qualche defilata figuretta allontanarsi frettolosa, forse verso casa. Assente pure l’onnipresente (perdonate l’ossimoro) venditore ambulante africano che di solito staziona davanti alla scalinata. Tampina le “azdore” in uscita dalla pescheria. Come fa? Mette in scena un’astuta “captatio benevolentiae” per promuovere la propria mercanzia. Le sconcerta e le seduce sfoderando un’accattivante dialetto riminese. Un sistema intelligente e garbato che lo rende simpatico.

 

Ovunque, fuori dalle poche attività in funzione, abbiamo visto (e frequentato) file, oggi ben sgranate.
Quella più sorprendente? Alle Poste, “comme d’habitude”, si potrebbe dire. Dato l’obbligo delle distanza da tenere, la coda, presumibilmente cominciata dentro, proseguiva all’esterno. La lunga teoria di olimpici “mascherinati”, oltrepassava perfino l’arco d’Augusto. Lunedì, passata la prima fase di sbandamento dovuta all’annuncio delle nuove restrizioni con conseguente assalto ai supermercati come se non esistesse un domani, gli accaparratori compulsivi seriali dovrebbero calmarsi. Ci abitueremo a metter naso fuor dall’uscio ancor meno di ora. Impareremo a dosare spese e uscite, la qual cosa significa diminuire i rischi di contagio.

E a proposito di contagio, se c’è qualcuno che di questo se ne fotte bellamente è Francesco (ammesso che veramente si chiami così), il senzatetto più noto (e schivato) della città. Come documentato, con il sole allo zenit, dorme nel proprio bozzolo di stracci in piazza Tre Martiri. Assenza di luce radente a parte, con un po’ di fantasia può ricordare l’Arianna addormentata al centro delle belle piazze d’Italia di De Chirico. A parere del filosofo Ubaldo Nicola, alcune opere del pittore, in particolare la pittura metafisica di cui fu l’artefice, sarebbero state ispirate dalle frequenti cefalee, di cui l’artista, come Picasso, notoriamente soffriva, subendo il disturbo dell’aura visiva. Speriamo che a noi, il mal di testa passi presto.

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