L’aeroporto di Forlì può giocarsi anche la carta della «zona franca»

L’aeroporto di Forlì può giocarsi anche la carta della «zona franca»

Esiste già uno studio dettagliato che risale al 2001, ma che è rimasto nel cassetto perché incontrò la contrarietà degli amministratori del porto di Ravenna. Adesso però il rinato «Ridolfi» potrebbe riprendere in mano quella partita.

“La zona franca del territorio doganale dell’Unione Europea è un’area delimitata da una cinta o da un controllo sistematico all’ingresso e all’uscita, nella quale affluiscono per essere lavorate merci da esportare al di fuori del territorio stesso o esservi rimesse in consumo.”

Gli aeroporti della Regione Emilia-Romagna: le aree disponibili
Il sedime dei quattro aeroporti della regione Emilia-Romagna occupa, complessivamente, un’area di 1.000 ettari, così suddivisa:

(1) Aeroporto militare aperto al traffico civile. Il sedime civile occupa circa un terzo di quello totale.

Lo sviluppo del movimento merci nel 2001 e 2019
Complessivamente il movimento merci (arrivate/partite) nei quattro aeroporti regionali ha rappresentato nei due anni
presi in esame il 3,60% e il 3,62% del movimento merci nazionale.
Nella sottostante tavola viene riportato il movimento merci registrato negli anni 2001 e 2019.

Gli studi del 2001 per la zona franca all’aeroporto di Forlì
Tra i quattro aeroporti regionali quello di Forlì è lo scalo che detiene la maggior area disponibile per lo sviluppo delle attività aeroportuali.
Va ricordato che in quegli anni la maggioranza del capitale della società di gestione aeroportuale di Forlì, SEAF, era detenuta dalla Società Aeroporto Bologna.

I fatti
Nel novembre 2001 il presidente SEAF affidò all’ex Direttore Generale delle Dogane del Ministero delle Finanze l’incarico per “prospettive di fattibilità di una zona franca nell’area aeroportuale di Forlì”.
Lo studio di fattibilità con le indicazioni tecnico-giuridiche fu consegnato a SEAF nel mese di dicembre dello stesso anno.
Per lo sviluppo del settore merci all’aeroporto di Forlì lo studio fu assegnato alla multinazionale di consulenza nel settore dei trasporti Steer Davies Gleave.
L’iniziativa per la creazione di una zona franca nel sedime dell’aeroporto di Forlì non piacque agli amministratori del porto di Ravenna, la cui opposizione riusci a chiudere in un cassetto l’iniziativa forlivese, che sarebbe opportuno riaprire.

L’aeroporto di Pescara
Il sedime aeroportuale occupa un’area di 180 ettari.
Dal 2001 (anno in cui venne redatto il piano per il “punto franco”) al 2019 il movimento passeggeri è aumentato del 435% (da 130.213 a 696.327) quello merci è diminuito del 99,6% (da 3.233 t. a 12 t.). Il progetto contemplava un intervento in parte pubblico (60%) e in parte privato (40%).
Le opere previste per la realizzazione della struttura, che doveva sorgere su un terreno avente una superficie di 35.000 mq, prevedevano un costo, rivalutato, di € 10.102.000, di cui € 6.061.200 di risorse pubbliche, € 4.040.800 di risorse private.
Nel decennio 2001-2010 l’analisi costi/benefici prevedeva annualmente i seguenti importi rivalutati: ricavi € 4.192.313, costi di gestione € 2.586.086, risultato annuo netto € 1.602.227.
Anche a Pescara il dettagliato piano per la realizzazione di una “zona franca” trovò la forte opposizione del porto pescarese. Risultato: la lodevole iniziativa venne chiusa in cassaforte.
Sarà possibile trovare la combinazione per riaprirla?

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