E' una storia che si trascina da anni. Con richieste di modifiche progettuali spuntate dal nulla, in contraddizione con pareri favorevoli espressi in precedenza. Ma i giudici amministrativi le "suonano" a Cozzolino e company, e anche a palazzo Garampi. Il tema che fa da sfondo è molto serio: come può un imprenditore investire denaro davanti a una burocrazia che si comporta in questo modo?
Nella storia infinita del progetto di riqualificazione della Galvanina, e in particolare del ristorante il Pomod’Oro, che vede protagonista Rino Mini, il Tar dell’Emilia Romagna ha scritto una pagina molto interessante anche per capire certe modalità di “intervento” delle istituzioni che devono rilasciare i pareri costringendo gli imprenditori a fare i conti con un modus operandi allucinante.
Rimini 2.0 anticipò nel 2016 la polemica iniziativa di Rino Mini che annunciò la chiusura del locale e il trasferimento oltreoceano. Una provocazione forte, così motivata: “Il Pomod’Oro di Rimini ha chiuso i battenti e si sta trasferendo a New York, dove non esistono burocrazia e burocrati che intralciano le imprese calpestandone la storia, i diritti e l’occupazione, ma dove e al contrario, gli imprenditori vengono aiutati a costruire aziende solide che, a loro volta, creano occupazione formando giovani capaci e professionisti, anche nella ristorazione”. Ad oltre quattro anni di distanza il discorso si è spostato nelle aule di tribunale e i problemi non sono stati risolti.
Davanti alla richiesta di autorizzazione paesaggistica presentata da Rino Mini con la società F.lli Fornelli, si è visto piovere addosso un parere vincolante della Soprintendenza, prescrizioni da parte della Commissione per la qualità architettonica e il paesaggio, dal Comune (che deve tenere conto in maniera vincolante di quanto deciso dalla Soprintendenza) per ulteriori modifiche e alla fine è arrivato il diniego alla autorizzazione paesaggistica.
Va notato che si sta parlando di un’area di 593 mq e che fa parte di un progetto di riqualificazione ben più vasto riferito ad una superficie complessiva di 12.957 mq, comprendente altre due aree, quelle dello stabilimento industriale e del parco termale della Galvanina. E, particolare non secondario, il progetto più generale (“La Galvanina”) è stato approvato dal Comune di Rimini e la Soprintendenza ha espresso parere favorevole sotto il profilo paesaggistico.
Praticamente la Soprintendenza, pur esprimendosi favorevolmente sul progetto di riqualificazione del Pomod’Oro, in concreto ha posto tutta una serie di “paletti” tali da stravolgere il progetto originario: si va dal distacco della sala del ristorante dall’edificio esistente utilizzando “…il linguaggio della serra…”, alla realizzazione della sala ristorante secondo i criteri della bio edilizia “…senza l’utilizzo di fondazioni e/o strutture in c.a. in opera o prefabbricate…”, fino all’obbligo di restauro della casa colonica, (in quanto struttura che rappresenta l’architettura rurale tipica dei colli riminesi), con conseguente eliminazione degli accorpamenti previsti nel progetto. Prescrizioni, secondo la società che ha fatto ricorso al Tar, “carenti di motivazione circa le ragioni del contrasto tra opere e vincoli” ma allo stesso tempo tali da “modificare in modo rilevante le originarie scelte progettuali di tipo architettonico-compositivo o tecnico costruttivo”, per di più “in evidente contraddizione con il precedente parere favorevole reso dallo stesso organo statale sul progetto di riqualificazione “Galvanina” del 16/4/2015. Detto progetto, infatti, pur concernendo complessivamente tutti e 3 gli ambiti di intervento, era del tutto identico, anche per quanto concerne l’analiticità e il dettaglio della documentazione tecnica ad esso allegata, al progetto attuativo del solo Ambito n. 2 vagliato dalla Soprintendenza nel 2019, con esito sostanzialmente sfavorevole all’intervento in questione”.
Verrebbe da dire: a che gioco giochiamo?
La Soprintendenza non ci fa una grandissima figura. Anzitutto perché alla richiesta del Tar di poter ottenere tutti gli atti del procedimento che hanno portato ad emettere i pareri vincolanti sulle istanze di autorizzazione, non ha dato seguito alle ordinanze istruttorie dei giudici amministrativi. E’ stato necessario un ulteriore sollecito del Tar per ottenere dalla Soprintendenza, ma solo in parte, la documentazione richiesta.
Ma in secondo luogo il comportamento della Soprintendenza non brilla nemmeno nel merito. Scrive il Tar nella sentenza che «Entrambi i pareri vincolanti resi dalla Soprintendenza ed i consequenziali provvedimenti comunali recanti, da ultimo, il diniego di autorizzazione paesaggistica riferito alla realizzazione, da parte della ricorrente, dell’intervento di riqualificazione urbana “Ambito n. 2 Galvanina – Ristorante Pomod’Oro”, risultano infatti oggettivamente carenti di motivazione, con conseguente accertata violazione degli obblighi motivazionali imposti, in via generale, dall’art. 3 della L. n. 241 del 1990 e, nella specifica materia della tutela paesaggistica, delle disposizioni contenute nell’art. 146 del D. Lgs. n. 42 del 2004».
Puntualizza il Tar che «dagli atti di causa emerge, in maniera netta, che il progetto presentato nel 2015 dalla ricorrente in allegato alla richiesta di autorizzazione paesaggistica (relativo al complessivo piano di riqualificazione da attuare, comprensivo di tutti e 3 gli Ambiti attuativi) è sostanzialmente uguale – per quanto concerne l’Ambito n. 2 Galvanina Ristorante Pomod’Oro di interesse in questa sede – al progetto allegato dalla ricorrente all’istanza di autorizzazione paesaggistica del 2019; ciò anche e soprattutto in riferimento all’analiticità e al dettaglio della documentazione ad esso allegata, concernente l’intervento sul Ristorante”. Non solo.
«Il parere favorevole della Soprintendenza reso con riferimento al complessivo intervento progettato (2015) non prevedeva alcuna modificazione da apportare riguardo al progetto di cui all’Ambito n. 2, di modo che, all’evidenza, si deve ritenere che l’ulteriore sottoposizione a parere del solo Ambito n. 2, al momento dell’attuazione dello stesso, non possa comportare, da parte della Soprintendenza, stante l’accertata sostanziale uguaglianza tra i due progetti, l’introduzione di nuove e mai prima rappresentate prescrizioni, se non, eventualmente, di quelle sole aventi rilievo e incidenza del tutto marginali e minimali sull’originario progetto».
Ma c’è di più. «Dagli atti di causa risulta, inoltre, che le modifiche apportate dalla ricorrente al primo progetto relativo al Ristorante sono state prescritte dalla Commissione comunale per la qualità Architettonica e del Paesaggio e che esse non riguardano minimamente gli aspetti dell’intervento interessati dalle prescrizioni della Soprintendenza, consistendo detta prescrizione imposta dalla Commissione, nella modificazione della copertura dell’edificio dal sistema c.d. “a capanna”, come ab origine progettato dalla ricorrente, al sistema c.d. “a più campate” indicato dalla Commissione. La ricorrente, avendo adempiuto a tale modificazione progettuale, ha conseguentemente dovuto presentare una seconda istanza di autorizzazione paesaggistica in variante della precedente, ma esclusivamente al predetto scopo». Chiaro a che sorta di gioco dell’oca è stato sottoposto, suo malgrado, l’imprenditore?
Il Tar condivide con Mini anche il rilievo sostanziale: «le modifiche alle quali la Soprintendenza condiziona il rilascio di parere favorevole consistono in operazioni che – qualora fossero portate a termine dal soggetto attuatore – comporterebbero un concreto ed effettivo stravolgimento del progetto originario di intervento. La prima prescrizione impone infatti il distacco, non previsto nel progetto originario, tra la sala-ristorante e l’edificio esistente, mentre la seconda prescrizione impone che la sala-ristorante sia realizzata secondo i criteri della bio-edilizia, con tassativa esclusione, quindi, del cemento armato per la realizzazione delle fondamenta e delle strutture. Risulta infine di considerevole impatto sull’originario intervento progettato dalla ricorrente, la terza prescrizione, sia nella parte in cui si impone il distacco della casa colonica dall’edificio, mentre il progetto originario ne prevedeva, all’opposto, l’accorpamento, sia laddove si prescrive, sulla base di un interesse paesaggistico per la casa colonica, prima di quel momento mai manifestato dall’organo statale e dal Comune, che il soggetto attuatore provveda a restaurare il suddetto manufatto».
Da una parte si prescrive in una maniera che si potrebbe definire “invadente” e contraddittoria, dall’altra non vengono esplicitate «le effettive ragioni sulla base delle quali (la Soprintendenza, ndr) ritiene che le opere originariamente previste in progetto siano in contrasto con il vincolo paesaggistico impresso all’area interessata dal Piano di Riqualificazione e dall’intervento attuativo».
Il Tar apertamente tira le orecchie alla Soprintendenza: «Infine, risulta del tutto estranea e incoerente rispetto alla motivazione di un diniego di autorizzazione paesaggistica, l’ultima prescrizione inserita nel primo tra i pareri impugnati, con la quale innovativamente si qualifica la casa colonica, che nel progetto originario era considerata quale manufatto da accorpare al complesso immobiliare, come edificio che “…rappresenta l’architettura rurale tipica dei Colli Riminesi”, con conseguente prescrizione, altrettanto innovativa e del tutto immotivata (vista la mancanza di precedente manifestazione di qualsivoglia interesse della P.A. per il manufatto) di procedere al restauro della casa colonica. Per quanto concerne quest’ultima “prescrizione”, l’accertata inconferenza e l’evidente scollegamento della stessa rispetto al vincolo paesaggistico gravante sull’area, trovano ulteriore conferma nell’operato della stessa Soprintendenza, che – in sede di parziale e tardiva risposta a ben tre ordinanze istruttorie disposte da questa Sezione al fine di acquisire ulteriore documentazione procedimentale e relazione di chiarimenti sui fatti di causa – ha fatto pervenire una relazione esplicativa con la quale, nello spiegare le ragioni del fino a quel momento inespresso interesse per la conservazione della casa colonica (solo ora valorizzata quale elemento di paesaggio), essa tenta inammissibilmente di dotare di motivazione i pareri impugnati, che, però, ne erano originariamente e irrimediabilmente privi. Trattasi, in conclusione, tenuto anche conto di quanto accertato in ordine all’effettiva qualificazione giuridica da dare ai due gravati pareri della Soprintendenza, di prescrizioni del tutto slegate ed estranee rispetto all’obbligo motivazionale chiaramente individuato dall’art. 146 del D. Lgs. n. 42 del 2004, quale necessariamente indicante le specifiche ragioni sulla base delle quali l’intervento da autorizzare contrasta con il vincolo paesaggistico».
Anche l’amministrazione comunale viene trascinata in questa magra figura: «Per quanto riguarda, infine, i parimenti impugnati provvedimenti comunali emessi a seguito dei pareri vincolanti resi dalla Soprintendenza, il Collegio ne deve rilevare l’illegittimità, in quanto anche essi viziati per difetto di motivazione. Per le suesposte ragioni, il ricorso principale e il ricorso per motivi aggiunti in ragione della loro fondatezza sono entrambi accolti, con annullamento, per l’effetto, degli atti e dei provvedimenti con gli stessi impugnati». A quando il nuovo Pomod’Oro?
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