Le aree scoperte demaniali, indispensabili per lo svolgimento dell’attività, sono soggette al pagamento dell’Imu

Le aree scoperte demaniali, indispensabili per lo svolgimento dell’attività, sono soggette al pagamento dell’Imu

In base ad una recentissima ordinanza della Corte di Cassazione le aree demaniali potrebbero diventare tassabili indipendentemente dal fatto che la concessione preveda la mera disponibilità dell’area o anche la possibilità di collocare opere stabili. Con la conseguenza che l’intero stabilimento balneare verrebbe assoggettato all’imposizione di Imu e Tasi. Con possibili effetti anche sul contenzioso apertosi sulle rendite catastali dei bagnini di Rimini. E il "parco del mare" potrebbe subire dei contraccolpi.

Negli ultimi anni i bagnini si sono trovati, spesso, nell’occhio del ciclone con situazioni che li hanno visti al centro di eventi economicamente complessi. Prima la direttiva Bolkestein, poi la pubblicazione dei canoni demaniali e recentemente gli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate sulla rendita catastale che ne ha mediamente triplicato il valore.
Gli stabilimenti balneari, dal punto di vista della normativa catastale, sono da iscrivere nella categoria D/8 se le attività hanno una gestione reddituale, nella categoria C/5 od anche nella categoria E/3 se, invece, presentano semplici caratteri costruttivi e destinazioni coerenti con servizi elementari.
I “bagni” nelle nostre zone sono uniformemente iscritti nella categoria D/8 e riconosciuti come “attività produttrici di reddito” ma, nel confronto tra “stabilimenti balneari”, si osservano situazioni diverse tra loro ed in particolare:

1) unità immobiliari dichiarate con l’intera area di proprietà, comprensiva delle zone con ombrelloni, come pertinenza dello stabilimento (tutta l’area è considerata come parte dell’attività economica ed è considerata nella rendita catastale);
2) unità immobiliari dichiarate con la superficie minima di pertinenza della costruzione, mentre la restante superficie dell’area di proprietà rimane iscritta al catasto terreni (la rendita catastale non ricomprende l’incidenza economica dell’area a stabilimento rimasta al catasto terreni);
3) unità immobiliari dichiarate con la sola area di sedime occupata dalla costruzione della cabina/chiosco (in genere si tratta dei casi in concessione delle aree demaniali e la rendita catastale non ricomprende alcuna incidenza della restante area utilizzata dallo stabilimento).

A questi differenti modi di dichiarare il bene si aggiungono le diverse modalità di accertamento degli Uffici dell’Agenzia che:
• nel caso 2) ha portato gli uffici a stimare un maggiore costo unitario della costruzione per ottenere una rendita catastale comprensiva delle aree rimaste al catasto terreni;
• nel caso 3) ha portato gli uffici ad attribuire un valore alla teorica superficie demaniale utilizzata dallo stabilimento per sommarla al valore della costruzione e determinarne la rendita catastale. Un’applicazione di questo metodo è quella fatta dell’Agenzia di Rimini con gli accertamenti contestati e da cui deriva il titolo dei giornali “IMU sull’ombra”.
Quindi se da un lato si ha l’uniformità nella classificazione nella categoria D/8 dall’altro si ha una non conformità nella determinazione delle rendite catastali per effetto dei diversi criteri di dichiarazione e di accertamento. Ciò determina iniquità di trattamento nel pagamento delle imposte e dei tributi (IMU e TASI) tra i diversi stabilimenti dell’intera costa. Inoltre, il caso Rimini, ha portato al deposito, a fine anno scorso, di circa 500 ricorsi (così riportano i quotidiani di allora) per le contestazioni fatte alla rideterminazione della rendita catastale.

In conseguenza dei numerosi contenziosi e della risonanza sull’opinione pubblica del caso Rimini, l’Agenzia ha chiesto chiarimenti alla Direzione Centrale che, ad oggi, sembra non avere ancora trasmesso.
Nei giorni scorsi, invece, è stata depositata una decisione dei Giudici della Cassazione che, a mio parere, potrebbe avere effetti anche sul contenzioso apertosi sulle rendite catastali dei bagnini di Rimini.

Con la sentenza n. 10287 del 12 aprile 2019 i Giudici hanno affermato il principio secondo cui: “in tema di ICI, sono assoggettate al pagamento dell’imposta in quanto non classificabili in categoria E, le aree c.d. scoperte che risultino indispensabili al concessionario del bene demaniale per lo svolgimento della sua attività, atteso che il presupposto dell’imposizione è che ogni area sia suscettibile di costituire un’autonoma unità immobiliare, potenzialmente produttiva di reddito. Dalla piena lettura delle sentenze impugnate si evince che le aree c.d. “scoperte” risultano indispensabili al concessionario del bene demaniale per svolgere la propria attività imprenditoriale, con la conseguenza che alle stesse non può essere applicata alcuna esenzione perché produttrici di reddito”.

Il merito del contenzioso della sentenza è diverso dal contenzioso sulla rendita degli stabilimenti balneari ma, tuttavia, vi sono una serie di punti in comune:
• la presenza di aree demaniali date in concessione;
• la caratteristica di “attività imprenditoriale” svolta sull’area;
• la caratteristica che vede le aree scoperte date in concessione come indispensabili al concessionario del bene demaniale per lo svolgimento della sua attività.
• il fatto che nessuna autonomia funzionale o capacità reddituale potrebbe riconoscersi ai fabbricati, se questi non fossero adiacenti e strettamente strumentali alle stesse aree scoperte ed attrezzate.

Una applicazione sconveniente, per i bagnini, dei principi della sentenza 10287/2019 potrebbe dare origine alla regola secondo la quale tutte le aree dello stabilimento balneare (private e/o demaniali) sono da dichiarare ed accatastare come unità immobiliari di categoria D/8 con l’effetto che l’intero stabilimento balneare verrebbe assoggettato all’imposizione di IMU e TASI.
Le aree demaniali potrebbero così diventare tassabili indipendentemente dal fatto che la concessione preveda la mera disponibilità dell’area od anche la possibilità di collocare opere stabili. In quest’ultimo caso la Cassazione aveva già affermato il principio secondo cui il diritto del concessionario di uno stabilimento balneare integra una vera e propria proprietà superficiaria (cfr Cassazione 10691/2019) e, come tale, tassabile ai fini IMU.

Questo inizio d’anno ha inoltre portato i Giudici di Cassazione a trattare diverse questioni sulle aree demaniali e, formalmente, sembrano non avere “guardato in faccia a nessuno” come dimostra la sentenza n. 3275/2019 che vede assoggetta all’IMU anche l’Agenzia del Demanio per alcuni suoi beni. Tale decisione fece un certo scalpore tant’è che il quotidiano economico Il Sole 24 Ore titolò a febbraio scorso la sua prima pagina nel seguente modo: “Stangata per lo Stato: paghi l’IMU ai Comuni”. Sul nostro territorio una casistica simile a quella della sentenza 3275 sembrerebbe essere quella delle aree demaniali sulle quali è stato realizzato il “canale emiliano romagnolo”.

Infine con l’anno in corso prenderà l’avvio il “parco del mare” con interventi in grado di “scaldare” il clima visto che il tentativo di coinvolgere gli operatori del settore non sembra essere andato a buon fine e non tutti hanno presentato o aderito alle manifestazioni di interesse. Potrebbero così attivarsi conflitti inattesi.
Gli interventi previsti dai diversi progetti produrranno una vera e propria trasformazione delle aree del lungomare con inevitabili effetti fiscali e tributari per i titolari dei beni (bagnini od altri operatori economici) i quali dovranno svolgere una attenta valutazione degli intrecci economici e finanziari che si andranno a produrre.
Sono sempre salve le correlazioni che esistono tra le diverse fattispecie a cui prestare attenzione e quindi i collegamenti tra la capacità reddituale dei beni a fini catastali e fiscali, i canoni di locazione e di concessione, l’investimento effettuato ed il valore dell’opera e la loro vera sostenibilità.

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