Le chitarre italiane di Elvis Moro, un esempio di Romagna innovativa con le radici nel passato

Le chitarre italiane di Elvis Moro, un esempio di Romagna innovativa con le radici nel passato

Abbiamo incontrato un liutaio davvero unico, che si ispira a Maria Rita Brondi, gloria riminese di inizio Novecento. Ci ha spiegato la sua vita controcorrente nel piccolo borgo di Calbano sopra Sarsina, la sua ricerca musicale e filosofica, il ritorno alla tradizione.

“Là c’è Perticara; quella è Sant’Agata”. Dalla cima del borgo, guardando verso est un vecchio ci indica le direzioni dello sguardo, dai paesi più grandi ai piccoli gruppi di case, fino a un casolare bianco solo apparentemente isolato.
Il manto dei colli è tutto verde, salvo alcune macchie di color marrone: “sono le frane dell’alluvione”, sembrano grandi cerotti appiccicati sui versanti.
Siamo a circa 300 metri di altitudine, sull’altura che sovrasta Sarsina, in un pomeriggio caldo di giugno. Un grappolo di case attorno a due torri: Calbano. Poco distante la moderna Arena Plautina, meta estiva di rappresentazioni teatrali.
Qui abbiamo incontrato, per caso, fra i vicoli, un pezzo di Romagna antica, attaccata alle radici, eppure nuova e con una promessa di futuro davanti; una Romagna autentica, nascosta, caparbia, innovativa: incastonata nel borgo di Calbano la bottega-laboratorio di un liutaio, il Maestro Elvis Moro, di origine cesenate. Nel posto la sua non è una presenza decorativa, “pittoresca”, ma, al contrario, ciò che non ti aspetti di trovare fra le sonnacchiose mura: l’inedito, la ricerca, il viaggio della conoscenza.
La storia di Elvis Moro si intreccia con quella di una gloria riminese, Maria Rita Brondi (Rimini, 5 luglio 1889 – Roma, 1º luglio 1941), cantante e compositrice, chitarrista e liutista, studiosa di storia degli strumenti e del folklore musicale, acclamata ai suoi tempi in varie tournée in Europa, insomma una personalità di spessore internazionale, tutta da riscoprire.
Quella che segue è la trascrizione di un dialogo con Elvis Moro, alla scoperta delle sue creazioni assolutamente singolari, e soprattutto delle sue ragioni, ideative e pratiche.

Sarsina vista da Calbano.

Lei costruisce “chitarre italiane”. Nel suo sito [lachitarraitaliana.com] ricorda che la musicista riminese Maria Rita Brondi considerava l’italiana “piatta ed elegante più della spagnola”. Per un liutaio significa andare contro la corrente della soverchiante maggioranza. Mi spiega perché?
Per principio!

E questo principio da dove ha origine?
Circa venticinque anni fa mi accorsi di alcune peculiarità, alquanto singolari, che distinguevano le chitarre storiche del Settecento-Ottocento con chitarre più prossime alle contemporanee. Questi strumenti ad oggi vengono classificati come di “transizione”, ossia chitarre “di mezzo” tra il periodo barocco e gli ultimi decenni dell’Ottocento e meglio conosciute come “chitarre romantiche”; per liutai e la stragrande maggioranza dei chitarristi nel repertorio classico – ben pochi esclusi – queste chitarre erano manchevoli di caratteristiche importanti, da un punto di vista acustico, strutturale ed estetico, caratteristiche raggiunte in seguito dalla scuola spagnola in particolare da A. De Torres, considerato lo “Stradivari” della chitarra. Ma sono preconcetti da considerare come dogmi o più semplicemente mode, date – senza troppo dilungarmi – dalla indiscussa fama di uno dei più grandi esecutori dei primi decenni del Novecento, Andrès Segovia: con i suoi duecento concerti – approssimati – ha fatto sognare “nell’immaginario collettivo” studenti, neo-diplomati, docenti e concertisti, rapiti dall’impeccabile maestria del chitarrista ispanico, convinto fautore – ovviamente – degli “istrumenti” del suo paese. L’interesse per il modello “classico” della chitarra di Segovia prese il sopravvento, e la linea italiana, nonché le tecniche costruttive dei nostri strumenti tramandate per almeno trecento anni, caddero in oblio già dai primi anni del Novecento. Ma siamo davvero certi che uno strumento musicale debba necessariamente rispondere alle caratteristiche costruttive delle chitarre odierne? Ebbene, i miei studi mi hanno portato a dimostrare il contrario. Quindi, per rispondere alla domanda iniziale, il mio operato è mal visto dai miei colleghi, proprio perché “rema contro” – per così dire – a più di cento anni di liuteria nazionale ed internazionale, e questo, dal mio punto di vista, per una giusta causa: rendere onore ai costruttori del nostro paese ma non solo, alla liuteria antica in generale, dimostrando, attraverso la scienza della materia, inconfutabile, che il loro sapere, la loro consapevolezza, era assai più profonda della nostra: basti pensare che queste metodiche costruttive si sono tramandate dal basso evo-medio al periodo classico-romantico appunto, prima dell’inaccettabile standardizzazione che prosegue tutt’ora. La stessa Brondi e soprattutto Mozzani, concertista, compositore e liutaio, amico e collega della concertista riminese, erano contro l’avvento della chitarra spagnola; ahimè invano. Ad oggi, i liutai si limitano a produrre raramente copie di strumenti storici, tralasciando tutto il lavoro a monte, ovverosia l’applicazione di tutte quelle discipline coinvolte in liuteria, dalle quali ne conseguono strumenti ogni volta diversi per qualità timbriche ed estetiche, opere uniche propriamente dette.
Oggi ci si limita, per lo più, a produrre due modelli base di scuola spagnola – fra l’altro quasi identici – semplicemente perché tutti lo fanno: facile intuire che il risultato non è altro che strumenti assolutamente identici (come modello, decorazioni a parte). La soddisfazione unica e impagabile di portare avanti il lavoro dei nostri antenati costruttori – non producendo copie, bensì come concezione filosofica caratterizzata da un’austera sacralità – è sentita da me più come una vocazione. Il desiderio assoluto di far parte di un qualcosa che va ben oltre la semplice competizione fra colleghi costruttori.

La chitarra italiana ha “qualcosa di più” di quella spagnola sotto l’aspetto musicale? Che cosa è? Perché un musicista dovrebbe suonare uno dei suoi strumenti?
La domanda non ha risposta in quanto la scelta di uno strumento musicale da parte di un esecutore è assolutamente soggettiva e relativa, in base a infinite variabili, prima fra tutte la stessa natura umana. È impossibile (e non improbabile) pubblicizzare il proprio operato come migliore (qualità timbriche) rispetto ad altre chitarre. Il timbro sonoro infatti è pesantemente condizionato da infinite variabili che si sommano, dall’impulso iniziale (il pizzico delle dita o l’attrito dell’archetto) passando per gli innumerevoli mezzi di propagazione, sino ad arrivare alla complessa conformazione anatomica dell’apparato uditivo, nonché la successiva decodifica dell’onda d’urto da parte del cervello: e come ultima percezione, ma probabilmente la più significativa, è l’impatto emotivo che quel dato suono suscita nell’ascoltatore. I miei strumenti pertanto vogliono esser scelti o anche solo apprezzati nella loro completezza: è la “bellezza a prima vista” o “concetto di bellezza universale” quale canone intrinseco tanto ricercato dagli antichi costruttori, che soleva coinvolgere geometrie sacre e costanti di riferimento universali al raggiungimento di tale scopo, bellezza manifestata da un’assoluta maestria evidente in tutte le opere del mondo antico. Credo che l’approccio filosofico sia una parte essenziale nel mio lavoro e di conseguenza nelle opere lignee che ne conseguono: filosofia non tanto come “pensiero spirituale” quanto piuttosto “amore per la sapienza”, da Pitagora “amante del sapere”, ovvero saggezza e sapienza in giusto equilibrio tra loro. Lo studio sui miei strumenti riflette questo pensiero.
Tuttavia, se posso dare una definizione al timbro delle mie chitarre, seppur approssimata, direi che è più intimo e dolce (soave, usando la matrice poetica), rispetto al timbro delle loro sorelle maggiori (chitarre spagnole); ma questo, come detto, non può essere percezione unanime! Questo aspetto particolare, se vogliamo, è dovuto in parte (oltre al progetto) ai materiali che utilizzo, gli stessi che usavano i nostri antenati costruttori nel ‘700, materiali oramai dimenticati.

Gli spartiti di Fernando Sor e Mauro Giuliani, per fare solo due esempi, sono più adatti alle chitarre italiane o a quelle che vanno oggi per la maggiore?
Per quanto riguarda il repertorio, ogni strumento è legato all’interpretazione dell’esecutore: è quest’ultimo che deve plasmare e interpretare al meglio l’opera tenendo conto dello strumento che possiede, sfruttando tutti i colori e le sfumature possibili di quella determinata chitarra. Chiaro è che se un pittore nella sua tavolozza ha a disposizione le 256 possibili gradazioni di grigio, per quanto bravo possa essere, la sua opera risulterà monocromatica. Questo vale per tutto il repertorio antico, classico-romantico, belle époque compresa: nel caso dei miei strumenti sconsiglio alcune partiture del repertorio contemporaneo per motivi strutturali. Le mie chitarre costruite con tecniche antiche arrivano a pesare anche solo 900 grammi, contro i due chili di strumenti moderni.

Le sue creazioni presuppongono una attentissima ricerca dei materiali. E’ anche questo un modo di essere “italiano”, viaggiando dalle Alpi al tacco dello stivale?
La ricerca dei materiali è fondamentale nel mio caso; per mantenere una autentica linea filologica mi vedo costretto (ma per quanto mi riguarda lo considero il fascino della ricerca) a far uso degli stessi materiali delle epoche passate: ma quali erano questi materiali e come venivano preparati? I testi pubblicati da liutai dal ‘900 ad oggi hanno una caratteristica in comune, così come le scuole di formazione (pessime, almeno in Italia); sono tutti ideologici, ovverosia ognuno dice la sua senza cognizione di causa, e quando si cimentano nel tentativo di portare prove scientifiche a riguardo, queste sono soventi inconcludenti e prive dunque di credibilità. La ricerca di testi antichi – copie anastatiche dal 1300 alla prima metà del ‘900 passando per i secoli d’oro delle arti figurative – mi ha dato la possibilità di comparare i testi odierni con gli originali delle epoche passate, così come la lavorazione e preparazione degli stessi materiali. Per fare un esempio, la preparazione delle colle impiegate nell’assemblaggio delle parti, argomento trattato in testi moderni o scuole di liuteria, non corrisponde con quanto scritto dai nostri antenati eruditi; anche qui, ad oggi, si è tutto ridotto a estrema sintesi, nel tentativo di recuperare tempo e costi, dimenticando così il processo alchemico, altra disciplina fondamentale, imprescindibile e per niente trascurabile.

Lei sta approntando la pubblicazione di un trattato “sopra la teoria e la materia nelle Arti Liutarie”, dal titolo “Codice Universale”. Che cos’è, un “Codice Da Vinci”, qualcosa solo per “iniziati”, per pochi illuminati, o può interessare un pubblico più ampio?
Ahimè non sarà un testo per tutti: “Aforisma sopra le sette discipline fondamentali dello scibile umano applicate nelle arti liutarie: geometria, matematica, fisica, filosofia, armonia, chimica, istologia”. Del sapere di antiche conoscenze, come quelle trattate in questo testo, oggi è rimasto ben poco. I temi esposti sono per lo più scherniti, derisi, nella migliore delle ipotesi. Va tenuto presente che tutto ciò che sto scrivendo in questo libro è sorretto in gran parte dalla fisica classica, altrimenti nessuno lo prenderebbe sul serio. Per citarne una, supponiamo di dover tenere una conferenza in conservatorio ad allievi di didattica musicale – futuri clienti di liutai – (peraltro, serie di conferenze che sto preparando a tale scopo), affermando che il piano armonico di una chitarra classica non deve in alcun modo essere verniciato, tantomeno con finitura a “specchio”, cosa che oggi viene fatta abitualmente proprio perché da tradizione spagnola; ebbene, sarei sicuramente deriso, per ridurre il termine ad eufemismo! Nel testo viene descritto il fenomeno fisico e acustico nel linguaggio delle scienze, avvalorando le tecniche costruttive del vecchio mondo. Se gli antichi Maestri usavano non verniciare il piano armonico di tutti gli strumenti a pizzico da più di quattrocento anni, un motivo doveva esserci; loro lo conoscevano, la fisica moderna ne spiega il fenomeno, ma oggi si continua a far come se niente fosse, ed i piani armonici, per tradizione iberica, vengono verniciati peraltro con tecniche prese in prestito dall’ebanisteria, non consone quindi ad un corpo elastico come appunto il piano armonico.

Riepilogo alcuni concetti, mi dica lei se ho capito bene oppure no: il mondo della musica oggi tende all’uniformità, allo “standard” uguale per tutti; punta molto sulle emozioni e sull’istinto (vedi amplificazione), poco sulle conoscenze e sulla ragione; cerca i grandi numeri (vedi digitalizzazione e piattaforme) e per trovarli omologa anziché valorizzare le differenze, le singolarità. Lei sta percorrendo la strada opposta?
Credo di aver già risposto alla domanda, lei che ne dice? … Battute a parte, sì certo, sto andando a ritroso. Soffermarmi sul mondo antico, con mente aperta, e non solo con occhi da liutaio, mi ha portato alla convinzione che tutto ciò che veniva fatto in passato non era per nulla casuale. Nell’epoca a noi contemporanea vi è la presunzione di essere più evoluti di cento o duecento anni fa, ma dal mio punto di vista questa è pura illusione: rimaniamo incantati di fronte all’oro degli stolti, senza tanto preoccuparci della sua vera natura! Credo che questa citazione renda bene l’idea: “Non sempre ciò che viene dopo è progresso” (A. Manzoni).

Il borgo di Calbano.

Dove e quando potremo vedere e sentire suonare i suoi strumenti prossimamente? Quando potremo leggere il suo libro?
Una “prova strumento” la feci tre anni fa all’auditorio di Cremona in occasione della fiera internazionale; video in rete. Nello stesso periodo iniziai ad organizzare concerti di musica classica e antica presso il santuario all’interno del castello dove vivo e lavoro; una sola data per poi bloccare tutto causa Covid. Dovrei riuscire dal prossimo anno a riprendere: in queste occasioni il chitarrista in concerto eseguirà brani con i miei strumenti. Ma ad oggi sono molto impegnato con il libro che spero di pubblicare l’anno prossimo. Come sa, ho già pubblicato nel sito il frontespizio del testo per iniziare a dare un’idea del progetto.

Lei viene da Cesena e vive a Calbano, sopra Sarsina, dove si gode un panorama stupendo, contrassegnato però, qua e là, dalle lacerazioni delle ultime frane. Come ha vissuto i fatti dell’alluvione di maggio?
Beh, c’è poco da dire, le immagini nelle emittenti televisive sono chiare, una situazione di grande disagio a dir poco! E da quel che ho letto nelle testate giornalistiche il governo fa ben poco a riguardo, in termini di aiuti economici, come del resto sovente accade; ma questa è una costante, non c’è da meravigliarsi purtroppo! Tuttavia il popolo, a fronte di situazioni simili, è sempre riuscito a rialzarsi. Faremo così ancora una volta.

Qual è a suo avviso lo stato della musica oggi in Romagna e quali sono le prospettive per la conoscenza e la pratica musicale?
La nostra Romagna sotto questo aspetto è decisamente all’avanguardia, almeno da quel che posso constatare in maniera diretta. I conservatori e gli istituti musicali in genere presentano ogni stagione programmi decisamente ricchi e articolati e i docenti hanno curriculum invidiabili. Oggi, merito della rete digitale, gli studenti di didattica musicale e non solo, hanno accesso ad archivi storici e partiture di tutte le epoche, in maniera diretta e veloce, con pochi “clic”, agevolati ed indirizzati dagli stessi istituti. Mi verrebbe da dire che quel che rimane, da parte di studenti, concertisti, musicologi, ricercatori e così via, non è altro che la costanza allo studio e alla ricerca, sfruttando fonti inesauribili di informazioni, un tempo pressoché introvabili.

Un’ultima curiosità: come ha conosciuto la figura di Maria Rita Brondi e che cosa può dire di nuovo e attuale ai musicisti e agli appassionati di musica di oggi?
L’opera della Brondi pubblicata nel 1926 fa parte dei testi d’epoca e antichi che ho recuperato nelle università e biblioteche sparse per il mondo ancora una ventina di anni fa. Così come per Mozzani, mi colpì subito il suo amore per le chitarre del nostro paese; è anche attraverso i suoi scritti che decisi di portare avanti le ricerche sulle nostre chitarre e, negli ultimi anni, il tentativo di riportare in vita quelle tecniche costruttive oramai dimenticate (il tutto ovviamente andando contro tutti e per primo contro il mio stesso interesse). Non dico di mettere da parte la spagnola – anche perché sarebbe impresa assai ardua – ma almeno di prendere in considerazione anche gli strumenti della nostra Italia, e non si tratta neppure di discriminare le Arti di culture fuori dalla nostra ma di fatto Italia e Grecia sono stati il porto del mondo occidentale per non pochi millenni. Le modifiche che i liutai spagnoli hanno fatto sulla chitarra, i costruttori italiani le avevano già fatte o previste decenni o secoli prima; la storia è scritta, tutti la conoscono, ma nessuno la vuole sentire. Mi considero più autore e ricercatore che liutaio, e quel che dico ad appassionati o musicisti che passano dalla mia bottega, è di andare non da me, ma dai loro liutai di fiducia e chiedere di costruire per loro una chitarra di scuola italiana, con quello stile, con quelle tecniche, con gli stessi materiali dell’epoca, e magari con la stessa passione e lo stesso amore che provavano i nostri maestri del passato nel prestare la loro maestria, il loro sapere e la loro consapevolezza al servizio delle “arti musicali”, considerate da tempi immemori “le più Divine di tutte le Arti”. Solo Maria Rita Brondi ha saputo descrivere nella sua opera, con mirabile animo poetico, la bellezza unica e assoluta dei nostri strumenti. Chissà se qualcuno, in futuro, riuscirà a recepire il messaggio! Concludendo, a musici e convinti fautori di quest’Arte Divina, posso dire la stessa cosa che dico ai miei figli: “Abbiate la curiosità di un bambino, sempre attento a tutto ciò che lo circonda e con mille perché; è questa innata curiosità per la vita che vi condurrà alla continua ricerca e all’inesauribile sete per il sapere, la stessa curiosità che vi porterà ad esser Maestri Assoluti della Vostra Arte”.

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