Il cosiddetto Psbo costerà ai riminesi oltre 150 milioni di euro. Più che fogne sembrano un caveau. Ma cancellerà definitivamente il problema degli scarichi in mare? L'infrastruttura di piazzale Kennedy è sufficiente per scongiurare i divieti di balneazione? No, risponde l'ex direttore del Consorzio di Bonifica della provincia di Rimini. L'infrastruttura di accumulo per complessivi 35 mila metri cubi non è di per sé in grado di risolvere il problema, considerati i rilevantissimi volumi in gioco in occasione degli eventi meteorici che hanno messo in crisi il sistema negli ultimi anni. Cita precedenti locali ed esperienze all'estero, dove è stato necessario optare per enormi "batterie" di vasche. I pro e i contro della separazione della rete fognaria. E la domanda delle cento pistole: siccome per garantire l'efficacia del Psbo, tutte le acque dovranno raggiungere i rispettivi ricettori in maniera separata, chi garantisce che tutti i privati proprietari di immobili urbani entro 5 anni realizzeranno la separazione delle reti di scarico? Intervista a Virgilio Buffoni.
L’intervento relativo al Psbo (piano di salvaguardia della balneazione ottimizzato) è stato presentato come risolutivo dei problemi che Rimini vive da decenni e che hanno motivato la nascita di un Comitato come “Basta merda in mare”. Un nome, un programma. Amministrazione comunale ed Hera hanno dato molta enfasi al cosiddetto intervento 7 di piazzale Kennedy. “Grazie al Piano di Salvaguardia della Balneazione Rimini sarà la prima città costiera a risolvere il problema degli scarichi a mare, nel limite di piena decennale, dando così una soluzione complessiva alle criticità in termini di balneazione”.
Hera ha spiegato che l’infrastruttura di accumulo per complessivi 35 mila metri cubi, è costituita da una prima vasca di 13 mila metri cubi di volume che raccoglierà le acque di prima pioggia. Da una seconda vasca di 22 mila metri cubi che avrà la funzione di vasca di laminazione (con lo scopo, cioè, di limitare, attraverso un processo di laminazione della piena, le portate bianche convogliate a valle), e da un impianto di sollevamento con una capacità di pompaggio di 12 mila litri al secondo. Hera ha ulteriormente dettagliato parlando di “un intervento di grande portata, che in pillole potrebbe essere rappresentato così: 35 milioni di litri la capacità della nuova vasca di accumulo Ausa; 12.000 litri al secondo la capacità di pompaggio dell’impianto; 4.800 kg di carboni attivi per abbattere ogni odore; 7 metri il punto più alto del belvedere”. Un progetto colossale (che prevede 11 cantieri) anche dal punto di vista finanziario: 154 milioni di euro. Che ovviamente saranno pagati dai cittadini. Trenta milioni di euro circa solo per piazzale Kennedy.
Non manca la ciliegina: il belvedere. Passeggiata, giochi d’acqua e sedute. Saranno cancellati anche gli odori (l’aria aspirata dalla vasca sarà “ripulita” passando attraverso carboni attivi). Tutto molto bello (per quello che costa dovrà essere bellissimo), ma quanto potranno discostarsi gli annunci (sul problema risolto degli scarichi) dalla realtà? Lo abbiamo chiesto ad un esperto che per molti anni si è occupato, in veste di direttore del Consorzio di Bonifica, di progetti per la difesa del suolo, regimazione delle acque, irrigazione e salvaguardia ambientale: Virgilio Buffoni. Senza nessuna pretesa di esporre le tavole della legge, pubblichiamo le sue riflessioni, che in diversi punti non collimano con quelle enunciate nel Psbo, ed anzi ne mettono in discussione i “fondamentali”.
Si può dire con assoluta certezza che il Psbo risolverà finalmente il problema degli scarichi a mare evitando i divieti di balneazione? E in particolare, è sufficiente una struttura di accumulo di 35.000 metri cubi?
Assolutamente no. Una infrastruttura delle pur rilevanti dimensioni annunciate non è di per sé in grado di risolvere il problema, stanti i rilevantissimi volumi in gioco in occasione degli eventi meteorici che hanno messo in crisi il sistema negli ultimi anni, determinando frequenti allagamenti a monte dello scarico e rilevanti problemi di smaltimento dei reflui a mare.
Ci sono altri esempi sul territorio di Rimini che confermerebbero questa sua analisi del problema?
L’esempio dell’articolato sistema di messa in sicurezza delle aree di Rivazzurra-Miramare, dove insistono una vasca di laminazione delle portate di piena del bacino idraulico a monte della Statale 16 di circa 30 mila metri cubi e un canale scolmatore in grado di tagliare parte delle portate idrauliche dei canali di bonifica Rodella e Roncasso, capaci insieme di ridurre il rischio allagamenti per eventi con tempi di ritorno cinquantennali, è emblematico.
In che senso?
Nel senso che, nonostante l’effetto combinato delle due infrastrutture, in almeno tre o quattro casi recenti sono stati registrati problemi di allagamento di una certa importanza. E’ perché oggi piove più di ieri o di ier l’altro? No, è perché oggi l’acqua cade in modo più concentrato, cioé ne viene giù magari la stessa quantità ma in un tempo minore, e perché corre più forte a causa dell’antropizzazione del territorio.
Quindi dove sta la soluzione?
Soluzione è un termine impegnativo. Di certo il problema è quello di abbattere la maggiore quantità possibile di quelle portate prima che arrivino in città o sugli asfalti, dove acquistano una velocità di corrivazione incompatibile con gli attuali sistemi di smaltimento. Abbiamo casi all’estero che si sono orientati in questa direzione.
Ad esempio?
Quello della città di Barcellona, già studiato anche da Hera, che alcuni anni or sono organizzò sul tema un apposito convegno. Barcellona, va detto, non è Rimini. Si affaccia sul Mediterraneo e i fondali delle acque costiere non sono quelli dell’Adriatico e, in particolare, di Rimini. Ciò nonostante si è cercato di realizzare un sistema di laminazione attraverso la realizzazione di “batterie” di vasche, collocate sotto campi sportivi o altre infrastrutture pubbliche, di grandi o grandissime dimensioni, comunicanti attraverso una complessa rete di canali regolati da un’unica centrale operativa, per garantire la migliore regolazione dello smaltimento nelle diverse aree della città. Però…
Però?
Quella concezione di vasche di prima pioggia/laminazione risulta obsoleta, nel senso che le infrastrutture necessarie producono effetti collaterali sul territorio che a loro volta dovrebbero essere risolti con progetti alternativi. Inoltre, in un territorio come quello di Rimini, in cui la gran parte della superficie a valle della Statale 16 è urbanizzata, già trovare gli spazi per le vasche è un problema. Stiamo parlando di un problema idrogeologico rilevantissimo e l’amministrazione comunale lo sta affrontando da sempre nella maniera sbagliata, in modo emergenziale, anche se i tempi di realizzazione degli interventi – e questo è il paradosso – sono rilevantissimi. Oggi ci si pone ancora il problema di come evitare che si allaghino le aree abitate e, allo stesso tempo, come evitare gli sversamenti a mare di reflui e il relativo inquinamento delle acque di balneazione.
E qui entrano in gioco le vasche di prima pioggia/laminazione.
Sì, ma la problematica è da ricercare nella velocità con cui l’acqua affluisce a valle, dunque più che ragionare su quello che fa l’acqua a valle si dovrebbe ragionare su come intervenire per rallentarne il deflusso a monte. In questo modo, forse, si eviterebbe anche di introdurre o di ampliare (dove già esistono) queste vasche, che costituiscono un elemento di criticità ulteriore, nel contesto di una situazione già largamente compromessa.
Si tratta infatti di soluzioni che, pur non prevedendo (o almeno non sempre) consumo di suolo, determinano sprechi energetici, complessità di gestione non sempre compatibili con l’evoluzione repentina dei fenomeni idraulici che dovrebbero consentire di regolare, e pure squilibrio del territorio. Si sta cioè parlando pur sempre di grandi opere e c’è il rischio che le soluzioni, o apparentemente tali, di oggi diventino i problemi di domani. Per non parlare delle ingenti risorse finanziarie impiegate che vengono sottratte alle comunità, risorse potenziali che vengono bruciate, senza risolvere del tutto i problemi.
Il Psbo prevede di “superare completamente gli attuali 11 scarichi a mare entro il 2020” …
Non conosco nel dettaglio le ultime “release” del piano (sulla pagina web dedicata del Gruppo Hera è indicato solo una specie di cronoprogramma), ma giudico alquanto difficile ridurre il numero degli scarichi a mare, stante le portate di quelli attualmente in opera e le rilevanti problematiche gestionali di un sistema misto di bonifica/fognatura, completamente interconnesso. Nell’ottica del piano sembra che il problema sia prevalentemente quello di piazzale Kennedy e dell’Ausa, ma la costa riminese è trafitta da oltre dieci scarichi fognari con problematiche analoghe a quelle del sito appena citato e spesso situati, geograficamente, in aree a maggiore rischio idraulico di piazzale Kennedy. Il vero problema dell’ex Ausa è che la condotta fognaria che arriva allo scarico a mare raccoglie i reflui di tutto il centro storico o quasi e che le disfunzioni, frequenti peraltro negli ultimi anni, di quel sistema di regolazione hanno ricadute estremamente negative sullo stesso centro storico.
Ovvero?
Un ritardo nell’apertura a mare determina l’allagamento del centro storico, mentre la salvaguardia del centro storico con anticipate e frequenti aperture a mare determina gli annosi problemi per la balneazione. Tutto questo, ovviamente, in estate e, in particolare, in estati particolarmente piovose.
L’intervento di piazzale Kennedy prevede anche una condotta sottomarina: è una garanzia di salvaguardia per le acque di balneazione?
Sulla efficacia delle condotte sottomarine con riferimento all’inquinamento delle acque di balneazione c’è molto da dimostrare. E’ vero che le acque reflue verrebbero “trasportate” dove il mare è più profondo e la massa d’acqua per la diluizione dei reflui più consistente, ma c’è il problema delle correnti e il connesso spiaggiamento, ancorché ritardato, dei corpi più o meno solidi presenti negli scarichi, con un incontrollabile effetto diffusore. Mi domando se qualcuno degli eminenti esperti e studiosi del settore abbia mai fatto un’analisi approfondita dei costi/benefici di un sistema quale quello progettato. Se sia mai stato stimato il piano di manutenzione, esercizio e funzionamento di una tale infrastruttura, e dei suoi cloni sull’area costiera. Se sono stati stimati gli effetti di eventuali black-out della complessa macchina del telecontrollo.
In base ai progetti e ai pareri ufficiali prodotti da Arpa e Ausl in occasione della conferenza dei servizi indetta da Atersir, si sostiene che pur permanendo lo sfocio dell’Ausa sulla costa, “nel periodo balneare verrà attivato solo in casi eccezionali, infatti si prevede che la frequenza degli eventi che provocheranno l’apertura della paratoia a mare scenderà dagli attuali 11 di media per ogni stagione balneare ad 1 ogni dieci anni”. Cosa ne pensa?
Circa la probabile riduzione del numero delle aperture degli scarichi, per effetto dell’entrata in funzione del nuovo sistema, credo, ma è una opinione del tutto personale, che non sia del tutto verosimile, vista da una parte l’esperienza del sistema di Miramare (vasca-scolmatore) e considerato che non mi sembra esista uno studio analitico e sufficientemente accurato sulla “probabilità degli eventi critici”.
A Rimini si è scelto di puntare sulla separazione della rete fognaria; è così che viene risolto altrove il problema?
Nelle aree urbane italiane, così come in quelle di molti altri paesi, soprattutto europei, il sistema fognario è sempre stato del tipo cosiddetto “misto”, una tipologia che, con un unico condotto, consente di convogliare contemporaneamente le acque luride degli scarichi domestici ed industriali e quelle meteoriche. Praticamente il sistema risale al periodo degli antichi Romani, aggiornato solo nella tecnologia costruttiva. Il sistema a “reti separate”, ossia l’evacuazione delle acque luride e meteoriche utilizzando due distinte condutture, in Italia è presente in rarissimi casi. Nei comuni ove esiste, è esteso solo ad una limitata porzione del territorio urbanizzato. Il problema posto molto più recentemente della qualità delle acque scaricate nell’ambiente è stato risolto inserendo, nel tratto terminale delle reti fognarie, un depuratore delle acque.
Rimini è contrassegnata da un sistema fognario misto, che pare all’origine di tutti i mali.
E’ così, il sistema fognario riminese è quasi totalmente basato sul sistema misto e presenta evidenti problemi funzionali ed incide negativamente sui costi di gestione. Più razionale potrebbe apparire un sistema basato su fognature a reti separate, dove gli effetti negativi sugli impianti di depurazione dovuti alla diluizione delle acque di pioggia, anche a seguito del drenaggio della falda freatica da parte di reti affatto permeabili, sono inesistenti e gli impianti possono essere più contenuti. Altro vantaggio nelle reti separate sarebbe che le acque di pioggia potrebbero essere scaricate nei ricettori naturali (in mare, ad esempio), senza alterare significativamente l’ambiente e magari realizzare percorsi più brevi. Ma gli aspetti negativi del sistema fognario a reti separate sono diversi.
Quali?
L’alto costo di realizzazione iniziale per la necessità di rivedere tutte le reti, anche all’interno delle proprietà private; un alto costo di gestione della rete e una complessità gestionale non indifferente; la necessità di raggiungere volumi ragguardevoli di acqua lurida da trattare, per potere realizzare impianti depurativi efficienti ed economicamente convenienti. E condicio sine qua non per il corretto funzionamento del Psbo, è che a regime le acque, tutte le acque, raggiungano i rispettivi ricettori in maniera separata. Questo significa “costringere” tutti i privati proprietari di immobili urbani a realizzare all’interno delle loro unità immobiliari la separazione delle reti di scarico. Sarà in grado una qualunque amministrazione d’imporre ai suoi cittadini di aggiornare i sistemi di tutto il patrimonio immobiliare comunale? Non credo entro il 2020. In estrema sintesi, le fognature miste o separate non costituiscono un problema. Sono un problema quando i loro manufatti sono realizzati senza attenzione all’ambiente sul quale impattano e non sono realizzati secondo la buona tecnica.
Claudio Monti
Chi è Virgilio Buffoni
Un diploma tecnico in meccanica e idraulica, laureato in economia e organizzazione aziendale, con una specializzazione in scienza dell’amministrazione e un master in diritto degli appalti, Virgilio Buffoni ha lavorato dal 1986 all’ottobre 2009 al Consorzio di Bonifica della provincia di Rimini, negli ultimi nove anni con l’incarico di direttore generale, occupandosi di progetti per la difesa del suolo, regimazione delle acque, irrigazione e salvaguardia ambientale.
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