Le supercazzole del “nuovo inizio” culturale di Rimini

Le supercazzole del “nuovo inizio” culturale di Rimini

I soldi pubblici di Comune e Regione spesi per spettacoli di “idrofemminismo” e “contro la matrice coloniale, razziale e ciseteropatriarcale insita nel pensiero illuminista e occidentale moderno”: strano ma vero.

Una enorme bocca spalancata ti guarda minacciosa dal manifesto violaceo. Sembra voler azzannare o urlare. È il cartello pubblicitario di «Supernova», seconda edizione di una manifestazione finanziata da Comune di Rimini e Regione Emilia-Romagna, dal 17 al 21 aprile. Ma che è? Non è facile trovare spiegazioni accessibili all’uomo della strada. Leggiamo dai dispacci delle stanze del potere amministrativo: «formati performativi e site-specific e tanti dialoghi con artiste e artisti ospiti»; «azioni ibridate che toccano vari aspetti dell’arte performativa»; «gesto organico che metta in dialogo il dentro con il fuori, il classico con il contemporaneo in una nuova simbiosi, inevitabilmente nutrita della visionarietà felliniana», molto originale l’aggettivo felliniano; «luogo di sperimentazione di pratiche di coinvolgimento e ampiamento (SIC) della comunità di spettatori con rinnovati linguaggi performativi»; una stella, questa supernova, «come una esplosione lenta che si propaga da un nucleo centrale, alle sue zone periferiche e liminali»; vi risparmiamo il seguito [fonte].
Ma poi se si gratta la superficie fanno capolino le solite parole d’ordine: l’installazione video «che parla di crisi, cambiamento e di violenza ecologica»; il duo di «performer» brasiliani «che si confrontano con la matrice coloniale, razziale e ciseteropatriarcale (sic) insita nel pensiero illuminista e occidentale moderno»; non più il femminismo ma l’«idrofemminismo»; il «focus sui corpi operai, corpi misurati, schiacciati dal rullo compressore della produttività» [fonte].
Il sindaco di Rimini Jamil Sadegholvaad aveva presentato la prima edizione di «Supernova» spacciandola per «un nuovo inizio, la ricerca di una strada mai battuta». «Oggi – aveva affermato il primo cittadino -, vigilia della candidatura ufficiale di Rimini a Capitale italiana della Cultura per il 2026, armonizziamo la nostra quotidianità a un progetto culturale contemporaneo, in cui le arti, tutte, vogliono tracimare fuori dai luoghi canonici per entrare direttamente nella vita». Non sembra che abbia portato bene alla candidatura. Del resto nell’edizione 2024 le «performance» prevedono scenari poco allegri: ci saranno spettacoli su «un pianto condiviso che racconta la tragedia del mare», sul «tema del lutto come dimensione esistenziale privata oggi della sua dimensione comunitaria», su «un archivio radiofonico danneggiato da un’alluvione nel 1994»; per non dire dell’imperdibile proiezione attorno al «mal du siècle post-romantico, circondato da un’aura pesantemente oscura fatta di tenebre, frequenze angoscianti e scontri metallici».
Bene, ma chi paga? Le tetre atmosfere portate a Rimini da Motus e Santarcangelo dei Teatri – gli enti promotori, con la collaborazione di Casa Madiba e Casa Don Andrea Gallo – può essere che siano apprezzate dal pubblico; chissà, magari attireranno migliaia di spettatori paganti (alcune delle performance sono infatti a pagamento). Di sicuro una buona parte dei costi è coperta dai fondi pubblici. Nel dedalo di pagine web di Comune e Regione non abbiamo ancora rintracciato gli atti di spesa ma un fatto è certo: palazzo Garampi ha appena deliberato di impegnare 58mila euro per i «servizi tecnici» nei vari spettacoli previsti dal Comune tra il 20 marzo e il 30 aprile nei due teatri (Galli e Atti) «e altri luoghi in cui verranno organizzati eventi di pubblico spettacolo».
D’altra parte i promotori di «Supernova» sono super-sovvenzionati. Fra Regione Emilia-Romagna e Ministero dei Beni Culturali, Motus ha dichiarato incassi di 272.345 euro per il 2023; l’anno prima “solo” 154mila euro. Invece Santarcangelo dei Teatri ha incassato soldi pubblici da una marea di enti per un totale di 896.396 euro (dati dichiarati relativi al 2022).
Lasciamo il vil denaro (pubblico, cioè dei cittadini) e torniamo alla poesia della super-stella che «con la sua luce può illuminare ciò che altrimenti resterebbe al buio», parola di Motus [fonte]. La più croccante curiosità in programma è l’evento con l’«artista indipendente» Sara Leghissa. Talmente indipendente dalle categorie di spazio-tempo (notoriamente patriarcali e illuministiche), che ha pensato di convocare il pubblico in un «luogo e orario segreto». Sì, proprio così, leggere per credere: una performance pagata con soldi pubblici ma ambientata in un «luogo segreto» in un’ora imprecisata (per fortuna a «ingresso gratuito»). Alla faccia della trasparenza.

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