«Serve finalmente una politica culturale che questa amministrazione non è in grado di darci»

«Serve finalmente una politica culturale che questa amministrazione non è in grado di darci»

Una pernacchia alla grande storia di Rimini.

Avete presente l’avvocato, il personaggio (foto d’apertura) nella prima scena di Amarcord che viene interrotto da una pernacchia mentre cerca di parlare della grande storia e cultura di Rimini? Segue poi nello svolgimento filmico una rappresentazione di Rimini come un paesone disumano quanto alle donne, mostruose tettone e culone, e quanto ai maschi un’accolita di patacca o proprio di cretini.

Quella pernacchia alla storia e all’arte di Rimini, che fa di Rimini una città millenaria, rappresenta la maledetta tradizione di inciviltà culturale che parte dal dopoguerra, quando le baracche dell’Asilo svizzero vennero impiantate sull’Anfiteatro romano, e subito dopo un sindaco ventenne eletto a grande maggioranza distrusse con le sue mani il Kursaal miracolosamente risparmiato dalla guerra; e poi col vescovo, come racconta Bernard Berenson, venuto a Rimini per portare i dollari della Fondazione Kress di New York per lo smontaggio e rimontaggio della parte litica del Tempio Malatestiano dissestata dalle bombe. Il rappresentante politico e quello religioso di una Rimini quasi del tutto distrutta parvero chiedergli i dollari e in cambio gli avrebbero dato ‘pezzi’ del Tempio Malatestiano destinato ad essere demolito, come tanti monumenti cittadini parzialmente colpiti dalle bombe. E poi ci furono gli anni della “riminizzazione”. Nella ricostruzione alcuni mosaici romani vennero salvati, ma molti furono distrutti, come si vantava con me un vecchissimo imprenditore, per il quale la distruzione di opere uniche al mondo e insostituibili sembrava essere quasi uno status simbol di potere. Negli anni ’70 il disastro del ponte romano scalzato dalle ghiaie e cementato nelle sue pile con uno squilibrio idrico che un sindaco che si accontenta delle apparenze si è ben guardato dal risolvere.

Fin ad arrivare ai recenti interventi del sindaco sopra citato e appena tramontato, che certamente doveva chiedersi cosa “vogliamo” fare del castello considerato “un contenitore” e anche “un rudere” e non come un opus del più grande architetto del mondo – Brunelleschi chi era costui? – opera indiscussa di uno dei nostri meno di dieci geni assoluti della intera storia culturale nazionale, il sindaco suddetto ha fatto cementare il fossato: “magnae mentis et perillustris ingenii opus” opera di una grande mente e di un famosissimo ingegno, che così chiamava Filippo Brunelleschi il nostro umanista Roberto Valturio. E il festival dell’ignoranza insana continua inesausto quando danno fuoco a Castel Sismondo per festeggiare la fine dell’anno.

Avere un ponte romano potrebbe essere un favoloso motivo di grande impegno per un sindaco acculturato e di studio creativo da parte di architetti rispettosi della cultura chiamati all’invenzione di soluzioni moderne che mettano in luce le preziose strutture senza pregiudicarne l’esistenza e le funzioni. E a proposito di funzioni viene in mente quello che disse e scrisse Philippe Daverio che era rimasto sorpreso e felice di vedere un ponte romano ancora in funzione.
Federico Fellini potrebbe mettere insieme sotto il tema filmico del pernacchio tutti questi e molti altri episodi di sorprendente ignoranza patologica per completare Amarcord nei tempi moderni e contemporanei di Rimini.

E dico della Rimini dei politici ma purtroppo anche della Rimini della gente comune. Ho in mente i 1000 cittadini che abbracciarono il teatro, nel 2000, ridottisi a 100 la sera in cui incendiarono per la prima volta il castello.
Fellini da solo non fa cultura e non tutti in Italia sono come il ministro Franceschini… Abbiamo la necessità di avere finalmente una politica culturale che questa amministrazione non è in grado di darci.

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