Lettera: tempietto di Sant’Antonio «in uno stato di inaccettabile abbandono»

Lettera: tempietto di Sant’Antonio «in uno stato di inaccettabile abbandono»

Il monumento, caro ai riminesi, si presenta sempre più degradato e afflitto da una profonda incuria. Provocazione «felliniana» per invertire una brutta tendenza.

Era l’ottobre scorso quando il Presidente della Commissione Cultura del Comune di Rimini, rassegnava le sue dimissioni. Aveva capito che presiedeva un inutile orpello di sola facciata, e che a Rimini la Cultura è solo il Sindaco e viceversa, come del resto per tante altre cose.
Poi una volta lasciata la maggioranza, fece un’interpellanza sullo stato di degrado che affligge il Tempietto di Sant’Antonio in Piazza Tre Martiri di proprietà del Comune di Rimini, lanciando addirittura una provocazione che in sintesi recitava: forse meglio venderlo, piuttosto che vederlo ridotto in quello stato.
Da allora però il nulla, ennesimo sintomo di quanto interessino i beni culturali qualora non li si possano modificare a proprio piacimento, uso e consumo.
In effetti il monumento, caro ai Riminesi nelle loro profonde radici, si presenta sempre più degradato e afflitto da una profonda incuria. All’esterno le facciate sono sporche; le parti in pietra arenaria sono prive di protezioni e soggette quindi all’assorbimento di acqua e ai danni del sole. I conseguenti inevitabili distacchi di parti lapidee sono visibili e diffuse, e addirittura in alcuni casi si palesano con significative parti mancanti.

All’interno intonaci e pitture deteriorate da umidità di risalita dal basso, o da qualche problema di infiltrazione di acque meteoriche dall’alto. Ma dopotutto il Tempietto continua a fungere da comodo appoggio per biciclette; almeno a qualcosa serve e per qualcosa è tenuto in considerazione. Negativo esempio per i tanti turisti che lo visitano, come risulta da uno dei siti del settore che tiene conto dei giudizi che lo apprezzano, ma spesso lo considerano “abbandonato” o “poco valorizzato”.
Una vera vergogna in sostanza, e considerando anche i fiumi di denaro che si spendono inutilmente per opere pacchiane ed inutili, o allestimenti circensi–natalizi protratti oltre stagione, tutto ciò è avvilente.
Ma questo è solo uno dei tanti episodi che avvengono in una città che ha l’ambizione di divenire Capitale Italiana della Cultura. Dove già tanto si è cancellato o arbitrariamente pesantemente rimaneggiato, e tanto altro si lascia deperire; penso alle mura cittadine, piuttosto che all’ex Convento di San Francesco a fianco del Duomo. Una sorta di “damnatio memoriae”.
In un bell’articolo apparso ieri su un quotidiano locale relativo alla scoperta degli affreschi della Chiesa di Sant’Agostino, in seguito al terremoto del 17 maggio 1916, il pregiato storico riminese Giovanni Rimondini riporta che il suo scopritore, medico e antiquario Vittorio Belli, aveva dipinto sul cappuccio di un personaggio della “Resurrezione di Drusiana”, una coroncina di alloro stranamente disposta a rovescio, e l’aveva spacciata per un nuovo ritratto di Dante.

Poiché allora ricorreva il sesto centenario della morte del sommo poeta, fu pertanto possibile ottenere i fondi per il restauro degli affreschi nel quadro delle celebrazioni e iniziative che avvenivano nelle città dantesche. Un successo, di cui ne beneficiamo ancora. E da qui lo spunto.
Oggi ci vorrebbe un altro furbastro del genere, che affermi magari di riconoscere nel dipinto laterale all’interno del Tempietto un personaggio felliniano, oppure che in generale quanto presente appartenga ad una scenografia sempre di stessa origine cinematografica. Tanto da essere preso in seria considerazione da chi pone in essere questi bizzarri modelli culturali, e vi getta fior di risorse economiche.
Sebbene possa apparire una provocazione, al pari della vendita del prezioso manufatto, temo che sarebbe l’unica soluzione per vederlo ancora mirabilmente sistemato tra noi. Oppure un altro miracolo al pari di quello di cui il sito fu teatro.
Siamo a Rimini dove tutto si immagina, non so poi cosa in verità; ma proviamo ad immaginare anche questo.

Salvatore de Vita

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