Magistrale intervento di Nadia Urbinati: «Rimini è magica per quel che resta di un’età gloriosa»

Magistrale intervento di Nadia Urbinati: «Rimini è magica per quel che resta di un’età gloriosa»

«Ci vuole una Piazza Malatesta che si opponga antica al mondo cangiante del presentismo del nostro tempo. Ci vuole un professore - le anime critiche - che spiega senza farsi mettere a tacere quel che sta sotto l’apparire». Dalla docente di scienze politiche alla Columbia University di New York un contributo imprescindibile nel dibattito che Rimini 2.0 ha aperto sull'opera del nostro scontento.

di Nadia Urbinati

Seguita e vista da fuori, la discussione accesa, e a tratti dura ma in generale molto interessante, sulla nuova destinazione di Piazza Malatesta, dal largo a lato del Teatro Galli (ex-parcheggio) fino al Castello, assomiglia a quella tensione mai risolta che è il canovaccio di Amarcord. Da un lato, il professore che passeggiando per la città con la bicicletta a mano guida gli osservatori lentamente attraverso la storia gloriosa del passato di Rimini. Dall’altro, gli abitanti della città che gli fanno pernacchie e lo infastidiscono con dispetti continui. Il professore non parla agli abitanti (guarda nell’obbiettivo della telecamera come a volersi astrarre dai suoi concittadini) e gli abitanti non lo ascoltano, semplicemente lo ritengono noioso, un purista, un bacchettone. Non dialogano, eppure sono complementari. Due province, come nella teorica ed estetica di Fellini: quella che si autocelebra attraverso una conoscenza rigorosa del passato (tutte le città italiane, grandi e piccole, hanno una storiografia locale che tiene viva la memoria del passato lontano e cultori che la studiano, la raccontano e la tramandano proteggendola) e quella che vive dell’evento presente, assorbita da ciò che più colpisce l’occhio e agita le emozioni.
Fellini amava entrambe queste province, o forse le amava e odiava insieme. Della prima ne aveva bisogno come del pane, perchè senza di essa gli abitanti sarebbero stati come animaletti solo intenti a godere dei sensi (tutti i cinque sensi sono contemplati in questo straordinario film che è Amarcord) senza chiedersi perchè, come e quando. Della seconda ne aveva bisogno perchè l’estetica dello stupore e della meraviglia si legava al sentire magico e onirico, quel magma di vita generato non si sa come, eppure potentissimo nella rappresentazione della vita umana individuale e collettiva, in bilico tra terra e cielo. Meraviglia, evento, immediato sentire nel godere come nel soffrire, sono la porta spalancata sul mondo dell’inconscio di fronte al quale un poeta figurativo come era Fellini si fermava, preso anch’egli da stupore. Ma quella meraviglia, quella sequenza di eventi che le persone inanellano seguendo il ritmo delle stagioni con impennate occasionali provocate da fatti eccezionali (il nevone, il motociclista nella notte, la ruota del pavone, il faccione del Duce, e così via), è segno di un’umanità che ha bisogno di chi la canti, la studi, la incanali. E infatti, quella meraviglia si involgarirebbe se fosse totale e unica, se restasse la sola forma di reazione umana alle cose della vita e del mondo. Non potrebbe essere cantata e narrata.
Ecco, a me sembra che il metodo che sottostà al rifacimento di Piazza Malatesta sia come una fabbrica artificiale della meraviglia, senza alcuna esternalità ironica o critica. Fabbrica della meraviglia totalizzante come è il tempo nostro, tutto assorbito dall’evento presente, dal presentismo delle emozioni forti e fugaci, che non sedimentano ricordo e neppure educano il gusto. Ci vuole una Piazza Malatesta che si opponga antica al mondo cangiante del presentismo del nostro tempo. Ci vuole un professore – le anime critiche – che spiega senza farsi mettere a tacere quel che sta sotto l’apparire, sottoterra come i resti romani che non si vedono ma sappiamo che ci sono – nessun inganno è possibile con quel che non si diluisce nell’evento emotivo, anche se (o proprio perchè) non si vede, sta sotto. A me sembra che quel che Fellini ci ha lasciato con i suoi film, e soprattutto con Amarcord, è la coscienza della fragilità del mondo dello stupore se e quando è l’unico mondo, l’unica dimensione. Le due Rimini devono esistere l’una accanto all’altra; e resistere alla tentazione di lasciarsi imprigionare dalla logica dell’audience che riduce tutto ad una quantità misurabile di gesti, di atti di stupore, di oh!
Piazza Malatesta è magica non per quel laghetto o per le luci colorate che di notte illuminano il castello o per quel circolare sgabello che mima il circo e che costringe gli avventori che vi si siedono a girarsi le spalle! E’ magica per quel che resta di un’età gloriosa (Rimini fu culla dell’umanesimo, dopo tutto, non fu soltanto una città romana) in un tempo che conosce solo glorie molto materiali e aleatorie: il turismo, gli eventi cultural-turistici, ecc. Questo contrasto tra un antico modernissimo (anzi generativo della modernità) e un moderno che diventa vecchio in una manciata di mesi (generativo di stupori veloci ed effimeri) è ciò che fa di Rimini una città unica.
Preservare questa unicità significa non attualizzare troppo il segno del passato, proprio per consentire la persistenza del contrasto e con esso di un permanentemente bello che, davvero, ci fa stupire e ci meraviglia. Al di là della lotta di parole, anche cruenta e a tratti violenta e volgare, l’opposizione tra puristi e riformatori non ha senso, proprio come aveva spiegato Fellini in Amarcord. Speriamo, dobbiamo sperare, che passati questi furori dell’inaugurazione, quando alla domenica seguirà il lunedì, e la poesia della meraviglia lascerà il posto all’uso prosaico quotidiano degli spazi e delle cose, speriamo che gli abitanti che spernacchiano il professore si avvedano dei limiti del modello unico. Non c’è miglior giudice di chi usa e di chi pratica, e che molto spesso giunge per altre vie alle stesse conclusioni che per ragionata riflessione era già giunto il professore.

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