Memoria condivisa? Impossibile con chi nega o giustifica i crimini commessi dai comunisti durante la Resistenza

Memoria condivisa? Impossibile con chi nega o giustifica i crimini commessi dai comunisti durante la Resistenza

Non può esistere una memoria condivisa con chi nega rotonde al beato Rolando Rivi, ucciso dai partigiani comunisti; con chi ignora i crimini del Triangolo rosso e giustifica addirittura, come ha fatto l’ANPI a Savona, l’assassinio della 13enne Giuseppina Ghersi.

Proprio in questi giorni a Santarcangelo si svolgono le celebrazioni per ricordare il 73° anniversario della Liberazione con diverse iniziative tenute dal “Comitato cittadino antifascista”, un tavolo di lavoro capeggiato dal Sindaco Alice Parma, che comprende niente di meno che l’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani), l’amministrazione comunale, associazioni del territorio, scuole e alcune forze politiche locali. Gli eventi, iniziati sabato 23 settembre, si concludono oggi. Guarda caso l’ANPI, associazione di parte e nei contenuti riconducibile all’estrema sinistra, in queste occasioni è sempre presente e messa sul piedistallo, con la collaborazione dell’associazione “Mutonia” e del centro sociale “Grotta Rossa”.

Sogno un paese capace di poter accogliere una memoria condivisa, libera dalle violenze ideologiche, dalla faziosità, dalla volontà egemone di dipingere la storia di un solo colore. Sarebbe auspicabile una memoria condivisa che possa servire a ricordare ciò che è stata la guerra in Italia, che possa unire gli italiani in un profondo momento di riflessione senza fare sconti a nessuno. Purtroppo, oggi come oggi, questa prospettiva risulta una pura utopia, impensabile per come continua ad essere sfruttata la data del 25 Aprile. La verità è che la “Resistenza” è diventata un dogma che non si può mettere in discussione, una sorta di bandiera ideologica appartenente alla falce e martello. Guai a toccarla, perché altrimenti potrebbero uscire tanti scheletri dall’armadio e la “gloriosa storia rossa” si macchierebbe del sangue di tutti i crimini di cui una particolare categoria di partigiani si è resa protagonista. Crimini che oggi, grazie a storici di fama nazionale e a scrittori come Giampaolo Pansa, gli italiani hanno iniziato a conoscere molto bene, nonostante i tentativi di negazionismo e giustificazionismo.

L’amministrazione comunale di Santarcangelo, che si riempie tanto la bocca di “memoria”, da questo punto di vista è l’esempio negativo per eccellenza. Come dimenticare la volontà della maggioranza (Partito Democratico + Sinistra Unita) di negare l’intitolazione di una rotonda del paese al seminarista cattolico beato Rolando Rivi in occasione della sua memoria liturgica? La scusa secondo la quale “non si possono dedicare vie a chi non ha avuto niente a che fare con la città” non regge, perché Piazzale Gramsci e Via Togliatti si trovano proprio nel Comune di Santarcangelo e non derivano da un loro particolare rapporto con il paese, ma da scelte meramente ideologiche. Quindi per quale assurdo motivo una rotonda clementina non si può dedicare al beato Rivi? Semplice, perché il seminarista è stato barbaramente ucciso all’età di 14 anni dai partigiani comunisti della brigata Garibaldi che andavano a caccia di preti e cattolici. Assegnare una rotonda a Rolando Rivi significherebbe per la loro concezione della storia, dichiarare una verità che non può essere palesata, perché comprometterebbe la luccicante e falsificata reputazione dei partigiani garibaldini.

Recentemente è accaduto un episodio simile a Savona, dove l’ANPI si è scagliata contro la proposta di dedicare una lapide alla 13enne Giuseppina Ghersi, stuprata e uccisa dai partigiani, perché colpevole di aver ricevuto i complimenti da Benito Mussolini per aver svolto con merito un concorso a tema. Samuele Rago, presidente provinciale dell’ANPI, ha vergognosamente commentato: “Al di là dell’età, era una fascista. Eravamo alla fine di una guerra, è ovvio che ci fossero condizioni che oggi possono sembrare incomprensibili. Era una ragazzina, ma rappresenta quella parte là”.
Ecco, io non voglio condividere alcuna memoria con chi giustifica stupri, eccidi e violenze nei confronti di innocenti, in questo caso nei confronti di una bambina. Non riconosco come modello chi ha continuato, soprattutto a guerra finita, a commettere crimini vergognosi nei confronti di tutti quelli che avevano la sola colpa di non pensarla come loro.

 Tra il settembre del 1943 a il 1949 in Emilia nel famigerato Triangolo della morte (triangolo rosso), questa sorte è toccata a migliaia di italiani. Vennero ammazzate circa 4.500 persone da partigiani e militanti di matrice comunista. Omicidi originati da odio politico, di cui solo una piccola parte delle vittime era realmente fascista; gli altri, la maggioranza, furono eliminati perché bollati come “nemici di classe”. In poche parole venivano visti come un argine alla rivoluzione comunista. I partigiani della Brigata Garibaldi erano espressione del Partito Comunista Italiano e il loro obiettivo era quello di sostituire un regime (quello fascista) con un altro regime agli ordini del dittatore comunista Stalin. Il loro sogno tanto desiderato era quello di trasformare l’Italia in uno stato satellite dell’Unione Sovietica. Come può essere definito “liberatore” chi ha perseguito un simile obiettivo? Per giunta in maniera vigliacca.

Spesso quando si cerca di fornire una prospettiva diversa dal pensiero unico, specialmente su questo tema, si viene etichettati come “sostenitori del regime”. Se la sbrigano così, con queste modalità che rievocano tanto il “o con noi o contro di noi”, ma loro possono farlo, perché si fanno chiamare “antifascisti”. E la storia appartiene solo a loro. È capitato anche a me quando realizzai in occasione del 25 Aprile di quest’anno un video caricato su Facebook, intitolato “Controstoria della Resistenza”. Nel video spiegai chiaramente che non si trattava di una generalizzazione sui partigiani, specificando l’esistenza di partigiani bianchi, cattolici, di quelli liberali e quelli socialisti, oltre ai garibaldini comunisti, i più esaltati, i più ricordati, i più lodati alle manifestazioni in cui si sventola ancora il simbolo della morte, rosso, della falce e martello. Ma non servì a evitare critiche, perché i custodi della storia a senso unico controllano ancora la cultura di questo paese, entrano nelle scuole e ovunque possono contribuire ad influenzare strumentalmente le menti delle giovani generazioni. Oggi il video ha raggiunto le 700.000 visualizzazioni e spero continuerà ad essere visto soprattutto dai più giovani. L’obiettivo è difficile, ma bisogna partire da qua per arrivarci: fare in modo che la verità storica seppellisca la faziosità politica di turno, perché come amo ripetere sempre, nell’Italia che si divise, mi schiero dalla parte di tutti gli innocenti sterminati dall’odio ideologico e che non possono essere ricordati per non macchiare l’apparente buona condotta di qualche criminale passato alla storia come eroe.

COMMENTI

DISQUS: 0