Questa volta parliamo di ristorazione, quella non banale. Non mi fido delle guide. Se dopo trent'anni hanno scoperto Uliassi, conviene stendere un velo pietoso, sono ormai stelle cadenti. Credo nelle persone, nel lavoro in cucina, nella ricerca, nel piatto rivisitato tenendo sempre conto della tradizione.
E’ il tempo delle Feste!
Gaudemus igitur.
Parliamo di ristorazione, quella non banale, quella che fanno tutti non interessa, non ci tange. Inseguiamo nuvole, il futuro che sarà. Partiamo dalle stelle Michelin, ormai tramontate. Se dopo trent’anni hanno scoperto Uliassi, credo convenga stendere un velo pietoso, sono ormai stelle cadenti. Non mi fido delle guide, non mi torna il conto, non condivido. Credo nelle persone, nel lavoro in cucina, nella ricerca, nel piatto rivisitato tenendo sempre conto della tradizione. Cogito che uscire a cena debba essere un piacere e che i piaceri solitari non sono comparabili con quelli che si godono insieme agli altri. Mi piacciono i tavoli tondi, come Re Artù, perché facilitano la conversazione, la convivialità, l’amicizia, l’intimità. Non mi piacciono i camerieri scortesi, i sommelier presuntuosi, le luci abbaglianti, i telefonini trillanti, i bambini urlanti, e i casinisti paganti. Non mi interessa il menù e nemmeno la carta dei vini pesante come un messale. Ho fatto il chierichetto e ho conosciuto preti meravigliosi come Don Oreste, ma questa è un’altra storia ed allora torniamo a bomba, anzi al vino. Amo vini identitari, autoctoni che hanno tempra, anima, cuore e filosofia. Detesto i vini sottili, facili, lisci, banali senza personalità, eguali. Cerco corrispondenza tra il nome e la cosa, tra il prezzo ed il valore. Preferisco la trattoria, ma essendo da stalla e da salotto, se deve essere lusso sia per la tovaglia, i bicchieri, l’argenteria e i particolari che fanno la differenza. Odio i grissini confezionati, le oliere con gli stuzzicadenti incorporati, i piatti all’ultima moda, il pane di plastica, il vino bianco caldo, il rosso ghiacciato, la musica che non è sottofondo, insomma le mille cialtronerie, che trovo anche nei ristoranti stellati.
Mi piace l’oste, il trattore che ti accoglie col sorriso, ma preferisco sempre la signora che ti fa scegliere il tavolo e ti consiglia il piatto del giorno. Due primi, al massimo tre, lo stesso vale per i secondi sempre legati alla stagionalità e al mercato. Contorni come se piovesse. La Piada se c’è deve essere casalinga come la Pasta. Il Pane merita l’attenzione dovuta, una bruschetta con l’olio delle nostre colline è un buon viatico per una cena da ricordare. Non mangio frutta al ristorante, anch’io ho le mie colpe, per i dolci preferisco quelli secchi da pucciare nel vino, ma una fetta di ciambella non dispiace se veramente merita. Per il conto, mi affido alla correttezza del Padrone di casa e comunque se non sono soddisfatto lo dico sul muso ed informo gli amici.
Rurali sempre.
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