Perché a Rimini non hanno mai dedicato una via a Filippo Brunelleschi?

Perché a Rimini non hanno mai dedicato una via a Filippo Brunelleschi?

Per rispondere adeguatamente alla domanda bisogna ripercorrere senza stancarsi tutta la storia dell'attribuzione per risolvere questo enigma riminese, la mancata valorizzazione di un'attribuzione all'architetto fiorentino più grande di tutti i tempi, che nel resto dell'Italia, dell'Europa e del mondo è un fatto acquisito. Tutti lo sanno. Perché a Rimini non è così?

Mi chiede un’amica: “Professore, perché a Rimini non c’è una piazza, una via, un vicolo dedicato a Filippo Brunelleschi?”. Capisco quello che l’amica pensa e non mi dice: – Con tutto il chiasso che fai sul castello, che dici essere opera di Filippo Brunelleschi, a Rimini nessuno se ne cura, nessuno se ne ricorda, e il sindaco usa il castello come un “contenitore”, come se fosse la carta gialla di un pacco regalo, per metterci dentro un museo del ‘nostro’ Federico Fellini, il vero presunto regalo di valore alla città…il terzo museo, ma tutti questi musei non ci faranno male?

Filippo Brunelleschi, Castel Sismondo

Per rispondere adeguatamente, esaurientemente ancora una volta a questa richiesta, bisogna ripercorrere senza stancarsi tutta la storia dell’attribuzione per risolvere questo enigma riminese – uno dei tanti -, la mancata valorizzazione di un’attribuzione all’architetto fiorentino più grande di tutti i tempi, che nel resto dell’Italia, dell’Europa e del mondo è un fatto acquisito. Tutti lo sanno. Perché a Rimini non è così?

Cominciamo ad esporre le ragioni oggettive dell’attribuzione, a partire dalla prima prova che risponde affermativamente alla domanda: “i contemporanei lo sapevano che il castello era opera del Brunelleschi”?
E’ la prova così detta “letteraria” o storico-narrativa. Se i contemporanei lo sapevano vuol dire che un primo fondamento è provato. Ma certamente non basta per un’attribuzione certa, ce ne vogliono altre due.

GAETANO MILANESI SCOPRE L’AUTORIA BRUNELLESCHIANA DEL NOSTRO CASTELLO – LA PROVA STORICA LETTERARIA

Alla fine dell’800, il senese Gaetano Milanesi, tuttora noto per il gran commento alle Vite degli artisti di Giorgio Vasari, basato su documenti d’archivio e testi dei contemporanei, trova e pubblica la prima biografia di Filippo Brunelleschi (Firenze 1377-1446) opera dell’architetto fiorentino Antonio Manetti (1423-1497), De viri illustri di Firenze. Ecco cosa scrive il Manetti a proposito delle architetture militari del Brunelleschi:

“Edificò la fortezza e rocca di Vico Pisano; due torri al primo ponte, cioè della Cittadella di Pisa.
Edificò uno castello, fortezza mirabile, al Signor Gismondo di Rimino.”

La pubblicazione del Milanesi si intitola Operette istoriche edite ed inedite di Antonio Manetti matematico ed architetto del secolo XV, Successori le Monier, Firenze 1887, p.162.
Nella detta pagina 162 troviamo la nota 1 che ci riguarda:

“Gli storici riminesi vogliono che lo stesso Malatesta ne abbia dato il disegno [di Castel Sismondo]; affermando che egli fu assai intendente e pratico nell’architettura militare. Per mettere d’accordo le due contrarie opinioni degli storici suddetti e del nostro Manetti, si potrebbe dire che il Malatesta mandava il disegno del detto castello al Brunelleschi richiedendogliene parere e consiglio, essendo appunto in quel tempo assai cresciuta la fama dell’architetto fiorentino per la costruzione della fortezza di Pisa e di Vico Pisano.”

Chi erano gli “storici riminesi” ai quali si era rivolto il Milanesi?
Certamente ve n’era uno importante, Carlo Tonini, bibliotecario della Gambalunga dal 1874 al 1907, figlio e collaboratore di Luigi (1807-1874).
E’ ben strano che Carlo Tonini non abbia capito lo straordinario valore del regalo che Gaetano Milanesi faceva a Rimini, un diamante purissimo a costo zero, e persino che abbia lasciato cadere il compromesso di una doppia autoria Sigismondo Pandolfo e Brunelleschi.

LO STUDIOSO TEDESCO VON FABRICZY SCOPRE IL VIAGGIO DEL BRUNELLESCHI A RIMINI DAL 28 AGOSTO AL 20 OTTOBRE 1438

Intanto veniva scoperta anche una prova documentale importante: Brunelleschi era venuto da Firenze a Rimini nel 1438, un anno dopo la fondazione di Castel Sismondo, e due da quando a Firenze Sigismondo Pandolfo, capitano pontificio di 19 anni, si era visto con l’Alberti, il Brunelleschi e papa Eugenio IV all’inaugurazione della grande cupola di S. Maria del Fiore, ancora senza la lanterna.
A scoprirla era stato uno studioso tedesco, Cornelius von Fabriczy, che pubblicava la novità brunelleschiana nel 1892 e nel 1907. Nella trascrizione seicentesca del Giornale del Provveditore dell’Opera dal 1438 al 1441 ossia nell’elenco delle spese del grande cantiere, aveva trovato:

Filippo di Ser Brunellesco va al Signore di Rimini, parte di Firenze il 28 Agosto e torna 22 Ottobre 1438.

Il Brunelleschi per quasi due mesi si era trasferito nello scacchiere malatestiano, dove erano stati aperti i cantieri dei castelli di Rimini e di Fano, e doveva prendere in esame le rocche di Cesena e Cervia e cominciare le nuove mura del castello di San Giovanni in Marignano. Con Filippo Brunelleschi forse c’era anche Leon Battista Alberti, che stava con la corte pontificia a Ferrara per il Concilio dell’Unione, – ma questa è solo un ipotesi di lavoro –; certamente c’era il giovane Signore di Rimini, e insieme avevano percorso ragionando i territori malatestiani romagnoli e marchigiani.
Il dottor Lorenzo Fabbri archivista dell’Opera del Duomo di Firenze, mi comunicava il 2 maggio 2011 l’originale delle trascrizioni seicentesche, nel registro segnato II.4.14 a carta 38 v. (28 Agosto 1438) era segnata la sospensione del salario fiorentino del Brunelleschi che sarebbe ripreso il 20 ottobre dopo il suo ritorno da Rimini. Da Rimini di Romagna, la nostra città.
Nella trascrizione c’era un piccolo errore nella data del ritorno.

Cose grandi, notizie favolose per Rimini. A Rimini nel ‘400 non c’era stato solo Leon Battista Alberti, ma anche Filippo Brunelleschi e poi Piero della Francesca, le tre favolose generazioni dei grandissimi prospettici toscani, inventori della prospettiva ma anche della balistica. Chi ha testa e cultura capisce cosa significa.

PIERO DELLA FRANCESCA ‘DESCRIVE’ IL BELLISSIMO CASTELLO DI RIMINI

Ora rimane la terza prova, la lettura filologica dello stile del castello che dovrebbe attestare che Castel Sismondo – o quanto ne è rimasto – è all’altezza e delle ossa e del sangue, per così dire, delle altre opere del Brunelleschi. Purtroppo delle architetture di guerra del Brunelleschi non è rimasto che Castel Sismondo, non sono possibili quindi i confronti con altre opere coeve. Quello che a Vico Pisano mostrano come l’opera del Brunelleschi è una bella torre e un alto recinto che rivelano un’età tra il ‘200 e il ‘300. 

Tempio Malatestiano: l’affresco oggi purtroppo fuori posto, spostato dalla luce dell’oratorio sigismondeo al buio di una cappella

Eppure un’affermazione quasi contemporanea quanto alla qualità e alla bellezza dell’opera brunelleschiana riminese l’abbiamo sempre avuta sotto gli occhi. E’ il ritratto di Castel Sismondo, dentro un oculo perfettamente circolare, in un’aria e in una luce di prima mattina primaverile che gli ha dedicato Piero della Francesca nell’affresco purtroppo oggi fuori posto, spostato dalla luce dell’oratorio sigismondeo al buio di una cappella. L’equivalente di quella visione mattutina è una dichiarazione di bellezza, come se avesse detto, come se dicesse: è bellissimo, ha una qualità all’altezza delle altre opere grandi di Filippo.

PERCHÉ RIMINI NON HA FATTO SUE QUESTE SCOPERTE GLORIOSE

C’è una parola yankee che fa al nostro caso, mainstream, che significa corrente maggioritaria, conservatrice, e un po’ tonta di un’arte o, come nel nostro caso, di una parte della società. Ci sono a Rimini, tutti lo sanno, diverse persone che si interessano alla storia e all’arte, individui con diverse qualità e quantità di cultura. Al cuore di questo gruppo, nel mainstream, vi è il gruppo più ristretto, più conservatore che fa tendenza, che si trascina dietro tutta la tradizione passata senza sottoporla a una revisione critica che elimini gli errori, i falsi documentali, i rifiuti interpretativi. Forse qualcuno di questi, alla fine dell’800 – non vorrei incolpare Carlo Tonini; va bene, l’ho fatto, ma mi ripugna, i morti non possono difendersi – non ha capito che la correzione di un’opinione sull’autore di Castel Sismondo e l’abbandono dell’opinione tradizionale che quell’autore era stato lo stesso Signore Sigismondo Pandolfo Malatesta, dava a Rimini un prestigio culturale prezioso, internazionale, ne aumentava l’importanza come centro del primo Rinascimento.

Poi, come succede, chi è al centro del mainstream decide anche delle opinioni degli uomini e donne di cultura ‘inferiori’, e la gravissima dimenticanza dello splendore di Castel Sismondo è durata per più di un secolo e dura ancora. Non è che a Rimini anche i bravissimi giovani delle nuove generazioni di “addetti ai lavori”, che hanno superato da molto tempo la mia, e sono anche più bravi di chi scrive, non sappiano che Filippo Brunelleschi a Rimini è vivo e lotta insieme a noi, ma a me pare che non ne traggano le necessarie conseguenze, non lo valorizzino, non lo difendano. E allora capita che un sindaco dalla cultura storica-estetica evidentemente limitata – ed è anche mea culpa – ricorra a un ministro della cultura, ma dalla cultura come la sua, euforico che gli dà i milioni, saltando la competenza della Sovrintendenza, di sua iniziativa come fosse un califfo, per allestire un museo Fellini dentro al ‘contenitore’, che in moltissimi a Rimini, come mi ha detto Patrizia, ricordano solo come carcere.

Bisogna insistere, sempre che valga la pena conservare la nostra identità culturale, difendere le Patrimoine, il Patrimonio culturale della città e della nazione: il Castello, il Tempio, l’Anfiteatro, il Ponte – siamo ancora una nazione, no? -.
Non saranno quelli culturali i più importanti problemi che stiamo affrontando, ma sono tra i problemi importanti. O no?

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