Colpo di scena. L'associazione del Borgo ha ottenuto di visionare in Soprintendenza il fascicolo relativo al comparto 4 ma, spiegano i suoi rappresentanti, "l’autorizzazione è stata rilasciata senza una adeguata e obbligatoria ricerca documentaria e indagine storica e archeologica che attestino la reale datazione delle mura “storiche” interessate alle opere". Si scopre poi che la Provincia ha dato in concessione permanente l'area oggetto dell'intervento evidenziando tutte le responsabilità in capo al Comune. La diffida odierna dell'arch. Napoli.
C’è poco da stare allegri. Secondo l’associazione “Abitanti del borgo” San Giuliano, che sta marcando stretto la Soprintendenza, la quale com’è noto ha dato il via libera ai lavori del progetto Tiberio, anche quelli più invasivi, “l’autorizzazione è stata rilasciata senza una adeguata e obbligatoria ricerca documentaria e indagine storica e archeologica che attestino la reale datazione delle mura “storiche” interessate alle opere”. Colpo di scena.
Ieri mattina i rappresentanti dell’associazione, nelle persone di Ennio Grassi e Moreno Neri, accompagnati dall’architetto Stefano Piccioli, sono andati alla Soprintendenza di Ravenna: “Come avevamo già chiesto formalmente alla stessa Soprintendenza, volevamo visionare la documentazione attestante, sotto il profilo archeologico-artistico e storico-architettonico, la “modernità” o meno delle mura che i lavori in corso stanno abbondantemente perforando, così come gli eventuali “recenti tamponamenti” delle mura della seconda metà dell’Ottocento”, spiegano Grassi e Neri. E cosa avete appurato? “Invece della documentazione richiesta ci è stata fatta visionare la documentazione relativa al “Progetto Tiberio – Comparto 4 Canale”, che già conoscevamo. Niente di più. Con sorpresa abbiamo dovuto constatare che il fascicolo messoci a disposizione è privo di tutta la corrispondenza che si presume dovrebbe essere stata prodotta tra il Comune di Rimini, proponente l’intervento, e la Soprintendenza relativa all’antichità delle mura e suoi eventuali restauri, in assenza della quale si deve credere che la proposta sia stata istruita senza un’adeguata documentazione, e ciò a fronte della notevole invasività dell’opera, sia dal punto di vista del paesaggio, sia della manomissione di manufatti storici importanti quali i muraglioni di contenimento del fiume su entrambi i lati. Non c’è traccia di documentazione storica-filologica relativa al luogo sul quale si sta intervenendo”. E quindi ve ne siete tornati a casa a mani vuote? “Ulteriori ricerche in altra documentazione svolta dalle tre solerti funzionarie della Soprintendenza non hanno portato a nessun altro esito circa la pretesa “modernità”, nemmeno dovuta a pretesi recenti restauri che, in ogni caso, non ne annullerebbero la storicità e l’antichità. A nostro parere, quindi, non c’è prova alcuna che si intervenga su porzioni di mura di “recente” costruzione: in particolare per le mura della sponda sinistra del canale dove è prevista l’apertura di un varco ex-novo per l’accesso ad una terrazza di nuova costruzione. Mentre per quanto riguarda le mura in sponda destra, oggetto di interventi in corso, è stata trovata solo una dichiarazione del Comune di Rimini tacitamente accettata dalla Soprintendenza in cui si scrive che i fori 50×50 ogni 1,50 metri (già realizzati) verranno poi riempiti con “cocciopesto” ricavato dalle demolizioni in corso”. Cocciopesto? “Sì, qualcosa di ben diverso da quanto asserito anche di recente dalla Soprintendenza, e riferito ieri dalla stampa locale, cioè che il materiale rimosso sarebbe stato conservato e poi riposto in opera. In che modo? Il cocciopesto è la macinatura del materiale asportato e rimesso in opera come conglomerato e smerciato come ripristino filologico”.
Nel comunicato del 4 luglio scorso palazzo Garampi, a seguito del sopralluogo dei tecnici di Comune e Soprintendenza sul cantiere (nella foto), scriveva che “in questi giorni la ditta appaltatrice, sotto la sorveglianza della direzione lavori del Comune di Rimini, sta realizzando nelle mura fessure temporanee (asole) attraverso cui saranno fatte passare le sole piastre di ancoraggio alla soletta in cemento armato di via Bastioni poste in testa alle travi dell’orditura principale che avranno il compito di sostenere la passerella. Per far questo gli operai stanno utilizzando apposite macchine tagliamuro ad acqua. Le asole verranno risarcite con i materiali esistenti appositamente recuperati e conservati in loco”. Risarcite? Mah! Intanto si scopre (ma solo grazie a qualcuno che insiste) che i buchi verranno richiusi con macinato di mura malatestiane.
Ma in quel comunicato si diceva ben altro: “La passerella non si ancorerà alle mura esistenti ma alla sede in cemento armato della sede stradale di via Bastioni, realizzata nell’intervento di consolidamento operato nel 2004-2009, quando la strada fu concepita come un “ponte” poggiante su due file di micropali, una verso le mura e una verso le abitazioni, in modo da non gravare né sulle prime né sulle case poste a confine. Le mura storiche, a sacco, sono già state oggetto di un precedente consolidamento negli anni ‘80 e sono attualmente attraversate verticalmente, dal piede alla sommità, da micropali da 8 cm ogni 80 cm circa”. Su quale documentazione si basano queste affermazioni? Va ricordato che una epigrafe fu apposta in occasione del restauro della parte superiore delle mura nel 1751.
Concludono i riminesi in missione a Ravenna che a parer loro queste “gravi inadempienze – sia di ordine procedurale che di merito – configurano il reato di danneggiamento del patrimonio archeologico, storico o artistico (articolo 733 c. del codice penale) che prevede precise sanzioni penali e amministrative”. Sarà eventualmente la giustizia a stabilirlo. Ma l’affare si complica.
C’è poi da registrare la diffida che l’architetto Napoli ha inviato oggi a Moreno Neri, Ennio Grassi e Stefano Piccioli, ma recapitata anche a tutti gli altri enti (oltre al Nucleo Carabinieri tutela del patrimonio) ai quali l’associazione del Borgo aveva inviato una raccomandata a seguito dell’incontro avuto in Soprintendenza, il 2 maggio scorso, con il dirigente Cozzolino e, appunto, l’architetto Napoli. I tre scrissero in quella lettera che l’architetto Napoli in quell’incontro, alla presenza di tutti, avrebbe sostenuto che trattasi non di mura medievali-malatestiane ma di mura recentemente restaurate e di “tamponamenti” recenti. Nella sua diffida il dirigente della Soprintendenza smentisce di avere mai sostenuto quello che gli è stato attribuito ed anzi sottolinea di aver detto il contrario ovvero che si tratta di mura medievali-malatestiane ma che hanno subito restauri nel corso del tempo. E comunque, se anche così fosse, sempre di mura medievali-malatestiane si tratterebbe. E dunque come la mettiamo con l’autorizzazione? Aggiunge l’architetto Napoli di non aver personalmente redatto il progetto in questione ma di avere solo seguito le fasi di progettazione per il ruolo istituzionale che ricopre. Napoli pertanto diffida l’associazione e i suoi rappresentanti ad attribuirgli dichiarazioni mai pronunciate. Per la cronaca, all’incontro erano presenti cinque persone, oltre ai tre riminesi, i due rappresentanti della Soprintendenza.
A proposito di accesso agli atti, nient’altro di significativo l’associazione del Borgo ha ottenuto nemmeno dal Comune (nell’archivio dell’ufficio patrimonio non risultano documenti di tipo archeologico-artistico e storico-architettonico al riguardo). Mentre le carte della Provincia di Rimini un po’ … cantano. L’ufficio patrimonio dichiara di essere titolare del bene interessato dal progetto ma di non avere agli atti alcuna documentazione storica d’archivio per venire a capo della querelle sulle mura medievali-malatestiane. Ma, si legge nel provvedimento del responsabile del servizio dello scorso febbraio, “l’area in oggetto ricade in una fascia territoriale ad alta potenzialità archeologica (Piazza Pirinela al confine con le mura ottocentesche del canale e Mura medievali in sponda destra)”. Per la parte del progetto relativo alla realizzazione del famoso balcone all’altezza di piazza Pirinela (Borgo San Giuliano) e verso il Canale, “la cui esecuzione prevede la riapertura di due nicchie presenti sulla muratura storica presente in sponda sinistra, di proprietà della Provincia di Rimini, al fine di dare accesso al balcone di nuova realizzazione”, scrive la Provincia, “il Comune di Rimini è responsabile in via esclusiva di qualunque danno e lesione possa essere arrecata a terzi nell’esercizio della concessione. Il Concessionario si impegna a non coinvolgere l’Amministrazione concedente in eventuali controversie con confinanti od aventi causa. Il Concessionario è responsabile di ogni eventuale danno riportato da persona o cosa in conseguenza alla costruzione delle suindicate opere, del loro esercizio e della relativa manutenzione. Il concessionario è obbligato a provvedere alla regolare manutenzione e conservazione del bene concesso e ad apportare, a proprie spese quelle modifiche e migliorie necessarie e/o che venissero prescritte dall’Amministrazione concedente a tutela degli interessi pubblici e dei diritti privati”. La Provincia, insomma, mette le mani avanti e si tutela abbondantemente. L’atto della Provincia è una semplice concessione permanente dell’area interessata dal progetto, per il resto, sembra dire l’ente (di cui è presidente Andrea Gnassi), se la veda il Comune. E se arriveranno i fulmini cadranno tutti sulla sua testa.
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