Quanto luccica e chi ci guadagna con l’“oro blu” romagnolo

Quanto luccica e chi ci guadagna con l’“oro blu” romagnolo

Utili di esercizio milionari per Società delle Fonti e i gestori del servizio idrico. Pagano i cittadini, che a Rimini subiscono gli aumenti tariffari più alti della regione.

Acqua bene comune? Sì, ma più per alcuni che per altri. Per gli enti pubblici e le multiutility partecipate dalla politica è un conto, per i cittadini che pagano le bollette un altro.
Lo si evince dai bilanci e dalle determinazioni degli enti locali e delle aziende che trafficano con “l’oro blu” di Ridracoli, delle falde del Marecchia e del CER. Enti e aziende che dovrebbero garantire un uso sociale di questo bene comune, eppure prendono decisioni che hanno del paradossale. E che vale la pena sottolineare per metterle a conoscenza dell’opinione pubblica.
Detto in breve: chi amministra l’acqua pubblica (Romagna Acque) ha fatto uno “sconto” al gestore (Hera) nel canone di affitto degli impianti, allo scopo di “contenere” le tariffe, ma queste anziché abbassarsi o rimanere costanti, al contrario sono in continuo aumento.
Chi ci perde e chi ci guadagna? Non è facile rispondere analiticamente. Intanto accontentiamoci spiegando al lettore la faccenda nei dettagli, portando a dimostrazione i documenti ufficiali.
Riepilogo a premessa del tutto: attualmente i comuni e le province romagnole sono i soci detentori degli acquedotti e di tutti gli altri impianti idrici pubblici, diga di Ridracoli e depuratori compresi, attraverso “Romagna Acque – Società delle fonti”, la quale dà in affitto le infrastrutture al gestore del “sistema idrico integrato” (SII), la holding HERA a sua volta partecipata dagli stessi enti locali. Con il controllo e la mediazione dell’authority regolatrice regionale, ATERSIR, e di quella nazionale (AEEGSI) vengono stabiliti sia i contratti di affitto e di compravendita all’ingrosso fra questi colossi, sia le tariffe che i cittadini-utenti devono pagare al gestore.

Veniamo al punto che ha catturato la nostra attenzione.
Romagna Acque è una delle sole 4 società pubbliche, fra le 12 partecipate da palazzo Garampi tramite la sua holding, che fino ad oggi abbia depositato e reso pubblico il suo ultimo bilancio, quello dell’esercizio 2016 consultabile sul sito di Rimini Holding.
Bilancio nel quale, a pagina 18 della Nota integrativa, si legge: «la Società, tenuto conto della sua mission, ha accettato le richieste di ATERSIR di determinare i canoni suddetti (degli impianti in uso a Hera, ndr) non applicando puntualmente le suddette regole tariffarie ma definirli in termini penalizzanti per la Società al fine di contenere i canoni stessi e quindi il loro impatto sulle tariffe all’utente finale».
Sembra una frase da amministratori buonissimi: facciamo uno sconto al nostro gestore, così nessuno infierirà sui cittadini, e tutti saranno più felici e contenti, eccetto la società Romagna Acque che teoricamente ci perde qualcosa.
Ma i fatti sono diversi.
Intanto va detto che le “suddette regole tariffarie” di cui si parla, sono quelle che devono “consentire il recupero dei costi del capitale secondo le regole stabilite da AEEGSI”, cioè l’ente regolatore nazionale che esiste proprio perché ci siano parametri certi e omogeneità nell’industria dei servizi elettrici, idrici e del riscaldamento. Quindi suona un po’ strano che Romagna Acque faccia lo sconto alla sua affittuaria, visto che il “capitale” di cui devono essere recuperati i costi, è il famoso “bene comune” costituito dal sistema dell’acqua pubblica. Per distribuirla, sono stati costruiti degli impianti raccogliendo i soldi dai cittadini-contribuenti.
Su questo punto gli amministratori di Romagna Acque danno una giustificazione: «le rinunce sono state a suo tempo accettate avendo verificato … che non mettevano in alcun modo in discussione la sostenibilità economica e finanziaria della Società». Del resto è stato il regolatore regionale ATERSIR a chiedere per il periodo 2016/2019 «di uniformare in tutti e tre gli ambiti territoriali della Romagna i criteri di determinazione dei canoni in base alle rinunce più alte accettate dalla Società nel periodo 2012-2016». I generosi politici e manager seduti sulle poltrone più alte di Romagna Acque, hanno di nuovo «verificato … che non mettono in alcun modo in discussione la sostenibilità economica e finanziaria della Società» e quindi hanno accettato le richieste di abbassamento venute da Bologna.

Indagheremo in una seconda puntata i contenuti del batti-e-ribatti intercorso tra ATERSIR e la società romagnola di falde e acquedotti.
Qui ci limitiamo a evidenziare qual è il punto del discorso che non fila. I regolatori regionali hanno chiesto di “penalizzare” gli introiti di Romagna Acque «al fine di contenere» i canoni di affitto a Hera «e quindi (sottolineiamo quindi, ndr) il loro impatto sulle tariffe all’utente finale».
Ma domandiamoci: nel 2016 – anno di esercizio del bilancio Romagna Acque di cui si parla – le tariffe pagate dai cittadini romagnoli per acqua, fognatura e depurazione, sono diminuite rispetto al 2015? sono rimaste stazionarie? oppure sono schizzate in su?
In realtà, le bollette da pagare da parte dell’utente finale non sono diminuite né sono state allineate all’inflazione, bensì sono aumentate considerevolmente.
Nel bacino di Rimini, la tariffa dell’acqua per servizio domestico (agevolata, base e eccedenza) è cresciuta dell’8% fra il 2015 e il 2016, e fra il 2016 e il 2017 di un ulteriore 7,9% (dati di fonte ATERSIR).
Secondo notizie pubblicate all’inizio del 2017, con l’8% in più rispetto al 2016 (e la vendita all’ingrosso da parte di Romagna Acque salita del 2,6%) la provincia di Rimini detiene il record dei rincari regionali. Livelli di aumento – giustificati da ATERSIR con la previsione di investimenti del PSBO, piano straordinario per la tutela della balneazione – ben diversi da quelle di altre province, sempre gestite da Hera. A Bologna +6%, a Ravenna e Forlì-Cesena +5,5%, ma a Modena si assiste invece a una netta diminuzione del 3,7%.
E pensare che il Consiglio locale di Rimini di ATERSIR, coordinato da Stefano Giannini sindaco di Misano, un anno fa aveva dato il suo parere favorevole alla «rinuncia» di Romagna Acque motivandolo con l’“obiettivo di un contenimento delle dinamiche di incremento tariffario nella provincia”.

Ed ora guardiamo fuori dalla porta di Romagna Acque, un colosso – basti pensare alla diga di Ridracoli – che in realtà è un pigmeo rispetto alla holding incaricata della gestione del ciclo idrico.
Infatti Hera – dati di bilancio 2016 resi pubblici da Rimini Holding – ha ricavato dal ciclo idrico integrato, fatturando bollette a quasi un milione e mezzo di clienti in Emilia-Romagna, Marche, Veneto e Friuli (3,6 milioni di cittadini serviti), la bellezza di 807,7 milioni di euro, in aumento dell’1,4% rispetto all’anno precedente (11,5 milioni di euro in più). Solo per causa dell’aumento del 7,1% dei costi del personale (quasi 11 milioni di euro) e all’incremento dei costi operativi per 5 milioni, il margine operativo lordo del ciclo idrico per la società bolognese è in zona negativa dell’1,6%.
Il risultato degli 807,7 milioni di euro di ricavi è stato raggiunto trattando 299,98 milioni di metri cubi, nel complesso costituito da acqua, fognatura e depurazione. Allargando il discorso a tutti i servizi gestiti oltre al ciclo idrico, la holding con quasi 1 miliardo e mezzo di euro di ricavi ha conseguito un utile netto di esercizio di 144,7 milioni di euro.

Tornando a Romagna Acque, anche questa società non sembra avere sofferto delle «rinunce» di cui sopra.
«I ricavi complessivi – si legge a pagina 41 del bilancio – sono stati di euro 44.235.939 con un incremento rispetto all’esercizio precedente di euro 764.421 da ricondurre agli aumenti tariffari». In percentuale, «un aumento della tariffa media nel 2016 del +5,92%».
Nel 2016 la società pubblica degli acquedotti ha venduto all’ingrosso quasi 111 milioni di metri cubi di “oro blu”, in aumento dello 0,23% sull’anno precedente. L’aumento dei ricavi di questa vendita è stato invece dello 0,82%.
L’utile dell’esercizio è stato di 6,2 milioni di euro.
Per le società pubbliche, dunque, i conti tornano e gli utili sono milionari, nonostante le «rinunce». Per le tasche dei cittadini e delle famiglie, invece, è tutta un’altra cosa.

Fotografia: Tonino Bernabé, presidente di Romagna Acque Società delle Fonti

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