Quel gran furbo del mio sindaco fa miracoli

Quel gran furbo del mio sindaco fa miracoli

«Non farò subire ricatti a questa città». Con un capolavoro è riuscito ad accreditarsi come il San Sebastiano martire che respinge l'assalto sferrato alle istituzioni. Sfruttando le grandi debolezze del suo finale di mandato e trasformandole in forza. Lettera.

Mi date ospitalità ancora una volta?
Ma anche queste poche considerazioni partono con una domanda: che cosa sta succedendo a Rimini? Sembra a me o adesso è chiaro, definitivamente chiaro, quello che esimi studiosi provenienti da fuori hanno sempre ricordato ai riminesi, che però hanno fatto orecchie da mercante, e cioè che il declino di Rimini e la sua minore potenza di fuoco economico, rispetto alla Romagna e rispetto alla regione tutta, sono figli della sua classe dirigente? E quando si parla di classe dirigente si fa riferimento a tutti coloro che muovono le leve di comando di una città: quindi prima di tutto chi amministra, poi le associazioni di categoria, eccetera. A mio parere in questo elenco va inserita anche la chiesa, perché in particolare a Rimini (già è diverso se ci si sposta a Forlì, Cesena e Ravenna) la guida della chiesa diocesana da De Nicolò in qua si è concepita anche in chiave socio-politica ed ha creato una ragnatela di interessi con il palazzo del Comune. Ci sono stati e ci sono una serie di segnali imbarazzanti da questo punto di vista.

Probabilmente pare solo a me che tutto sia sottosopra. Vedo ad esempio che il Resto del Carlino non la pensa allo stesso modo.

Non ce n’è per nessuno e d’altra parte c’ha una scuola dietro. Andrea Gnassi, di quelli sulla scena politica locale (locale però, perché già se “gioca” a Bologna le cose cambiano e di molto, vedasi ad esempio come è stato ridimensionato in quattro e quattr’otto nelle sue ambizioni fieristiche) è il numero uno. Non penso, come crede qualcuno, che sia il suo portavoce a fare la differenza. Gnassi non ha bisogno di suggeritori, applica lo spirito dell’ingegnarsi, proprio del riminese, al mestiere che ha scelto di fare: la politica. Poi c’ha il Dna che gli arriva dai geni.
Ma nella storia politico-amministrativa della città di Rimini mai un sindaco aveva dimostrato tanta audacia nel tirare la corda, nel forzare la mano, nell’esagerare, sempre però a vantaggio di se stesso. Mettendo al centro sempre se stesso.

Prendiamo il capolavoro che lo accredita come il San Sebastiano martire per il bene di Rimini, che col proprio corpo fa scudo alle frecce dei nemici dell’interesse collettivo che vorrebbero bloccare l’attività amministrativa in quest’ultimo luminoso miglio del suo gloriosissimo mandato.
Vediamo un attimo. Andrea Gnassi stava concludendo i suoi dieci anni da sindaco con alcune evidenti défaillances. Ritardi clamorosi nei cantieri e progetti di assoluta importanza stravolti in corsa. La filosofia di Gnassi si è richiamata fino all’ossessione alla programmazione e alla visione sul lungo periodo, il Masterplan strategico è stato il Moloch, ma nella prassi ha spesso e volentieri seguito l’improvvisazione. Quello che sta accadendo nel cosiddetto parco del mare di Marina centro è emblematico. Fare e disfare il parco del mare, avete scritto voi. Sono stati introdotti aggiustamenti e integrazioni nel “sotto e nel sopra” che hanno stravolto il lungomare Tintori: fognature e servizi, aree gioco nel nome di Rodari spuntate dal nulla, fontane ornamentali eccetera (sorvoliamo sui tempi di realizzazione).
Per quanto riguarda Rimini nord oggi leggo che i Vigili del Fuoco lanciano l’allarme sulla città turistica irraggiungibile in caso di necessità d’intervento, in particolare Viserba.
Poi la piscina dirottata in fretta e furia nel parco don Bello e una serie di altri casi. Quindi c’è il centro storico che è tutto un cantiere e Piazza Malatesta (che visto “l’arredo” dovrà essere ribattezzata Piazza Malditesta) da ultimare.
La sostanza è questa: senza i tempi supplementari che allungano la sopravvivenza della giunta Gnassi fino a ottobre, il suo secondo mandato avrebbe lasciato tutto incompiuto. Un disastro di bilancio, ancor di più se messo vicino alle solite incompiute: nuova Questura (anche in questo caso un cambio repentino di rotta: la cittadella della sicurezza spostata nella caserma Giulio Cesare), colonie, Ceis, Triangolone…

E’ in questo contesto di notevole “svantaggio competitivo”, che il sindaco si è inventato la via d’uscita: fare leva su una buccia di banana clamorosamente idiota pestata dai suoi rivali (che il sindaco ha riassunto così: «Alcuni esponenti del gruppo consiliare del Partito Democratico, che è il mio partito da sempre, hanno risposto così: l’attività amministrativa si ferma ora, fatto salvo alcune cose (quali? Perché? Chi le decide?), non si tocca più nulla, si rimane fermi, immobili e visto che ci saranno probabilmente le primarie, le delibere che devono essere portate in consiglio vanno sottoposte preventivamente e per approvazione ai candidati delle primarie stesse») per spostare l’attenzione sul fumo anziché sull’arrosto. «O ci sarà la responsabilità delle persone e delle forze in consiglio comunale che guardano a Rimini. O non farò subire ricatti a questa città. Prima di ogni cosa viene Rimini e solo Rimini. Già solo doverlo scrivere dimostra a che livello ormai siamo arrivati». Capite che capolavoro?
E non solo perché il consiglio comunale per il sindaco è un optional, come testimoniano le sue assenze da quel luogo. Ma perché da qui al voto la giunta uscente dovrà correre col fiatone solo per terminare ciò che si trova in mezzo al guado più che per «delibere utili allo sviluppo della comunità, della sanità, dell’economia».
Quando mai il sindaco ha condiviso con la sua maggioranza la sostanza dell’azione amministrativa? Probabilmente i consiglieri comunali non sono mai stati birilli da bowling come negli ultimi dieci anni. Ma, soprattutto, il vicolo cieco in cui si è infilato il Pd riminese sul candidato sindaco è tutto frutto del “gnassocentrismo” che ha occupato la scena. Per lui come per pochi altri vale il detto «après moi le déluge!». E l’unica successione accettabile è nella discendenza per incoronazione diretta.

Ma mi rendo conto che sia davvero troppo chiedere alla classe dirigente di Rimini, anche a quella che si occupa di informazione, di comprendere e spiegare tutto ciò. Ieri leggevo sulla prima pagina del Carlino un lungo e preoccupato «editoriale»: teme, il Carlino, che i passi falsi compiuti nel Pd, naturalmente dai nemici di Gnassi, possano regalare il Comune al centrodestra, e dunque «Gnassi inviti a pranzo la Petitti, la convinca a non disperdere l’eredità straordinaria frutto degli ultimi dieci anni. Ha 72 ore di tempo. Solo lui ce la può fare». Lo possiamo chiamare Il Resto del Gnassino? Il «sindaco Gnassi è giunto al termine di un mandato costellato da successi e conquiste» e dunque su quella poltrona, visto che l’eletto non si potrà più sedere, occorre metterci il suo delfino.

Nel centrodestra troppe chiacchiere e poche idee. Troppi muscoli mostrati sulle pagine dei giornali e poca forza persuasiva. La storia di Sigismondo non ha insegnato nulla.

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