Il primo dato che colpisce nel referendum di ieri è quello sull'affluenza. C'è un elettorato, a Rimini, che quando deve decidere le battaglie che cont
Il primo dato che colpisce nel referendum di ieri è quello sull’affluenza. C’è un elettorato, a Rimini, che quando deve decidere le battaglie che contano a votare ci va in gran numero. Per le elezioni comunali di giugno la percentuale dei votanti era stata del 57,87%, per il referendum costituzionale ha superato il 73% (73,67). Più alta non solo rispetto alla media nazionale (68,48%) ma anche di poco al di sotto di quella regionale (75,93%). Quando invece non c’è partita, quando il centrodestra e il movimento 5 stelle non sono in campo per davvero, nel primo caso per l’assenza di un leader “competitivo” e nel secondo per scelta di suicidarsi, l’elettorato si defila. Perché si gioca per vincere, non per partecipare.
Ma l’altro elemento significativo è che in regione si è affermato, seppure di misura, il sì col 50,39%. A livello di province, in quella di Forlì-Cesena e Ravenna ha vinto il sì: 51,88% nel primo caso e 52,82% nel secondo. Se si eccettuano le province di Piacenza, Parma e Ferrara, dove ha prevalso il no, il sì in Emilia Romagna è passato ovunque. La provincia di Rimini regala al no il 53,29% e il sì sbatte contro il muro del 46,71%. Nel Comune di Rimini, dove Gnassi ci ha messo la faccia per aiutare l’amico Matteo Renzi, ed è sceso in strada con #bastaunsindacoinpiazza mobilitando anche una trentina di amministratori del Pd nel tentativo di convincere i riminesi sulla bontà della riforma Boschi, ha vinto il no col 52,83%. E in provincia di Rimini il sì prevale solo a Sant’Agata Feltria (52,52%) e Novafeltria (51,70%).
Gli elettori di Rimini non hanno nemmeno ceduto alle sirene del turismo, un tasto pigiato sia da Gnassi che da Sergio Pizzolante. Quest’ultimo ha tentato il secondo colpaccio, dopo quello del Patto civico, ma gli è andata male. Non è bastato riunire le categorie economiche e portare a Rimini il ministro Alfano, e anche per l’area popolare si apre adesso un passaggio molto complicato e probabilmente una parte si indirizzerà verso il Pd e un’altra tornerà a casa da Berlusconi.
Con le dimissioni del presidente del Consiglio, Gnassi perde anche un importante santo in paradiso. Amici da quando Renzi era ancora sindaco di Firenze e Gnassi si candidava per la prima volta a Palazzo Garampi, quando lo scout e l’eventologo attraversarono Rimini in bicicletta. Poi le occasioni di incontro sono state diverse, dall’agosto 2015 (quando Renzi venne al Meeting e in mattinata passò quasi un’ora a Castel Sismondo), alla chiusura della campagna elettorale dello scorso giugno, quando Gnassi gongolava per il sostegno del rottamatore ora rottamato: “E’ stato qui da amico, da sindaco e da presidente…”, disse. Renzi non si fece mancare una puntata a Rimini nemmeno per il referendum, il primo ottobre a Castel Sismondo, e anche in quella occasione era emerso il grande feeling con Gnassi. Che ora sarà orfano di quell’uomo solo al comando che sembrava non doversi fermare mai mentre è rovinosamente inciampato nel primo giudizio popolare sulla sua attività di governo. Al governo Gnassi ha trovato porte aperte anche per finanziamenti belli grossi, come dimostra quello recentissimo di 9 milioni di euro da parte del ministero dei Beni culturali a favore del Museo Fellini.
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