Il quadretto che emerge dalla assemblea degli amministratori Pd che si è tenuta al Palas. All'insegna del tornaconto.
Non mi appassiono a questo peloso dibattito sui tempi del voto politico, che è una vera e propria presa in giro dell’elettorato, stanco e disincantato nei confronti di una classe politica immiserita di uomini (e donne) e di contenuti.
Quel dibattito è, in effetti, solo un tentativo della classe politica di posizionarsi sui nastri di partenza con maggiori possibilità di mantenere un posto all’interno della casta degli “eletti”. Che “eletti”, come sappiamo, nel senso di votati dal popolo, non sono, perché di fatto sono dei nominati dalle segreterie di partito. Dunque “servi del capo del partito”, come ha di recente affermato uno dei leader della sinistra del Pd! Io aggiungo, servi dei capi dei diversi partiti, nessuno escluso, dato che con le libere preferenze il popolo potrebbe alterare e mettere a repentaglio gli equilibri precostituiti dalle candidature delle segreterie dei partiti per il controllo del voto nei due rami del Parlamento.
Ma questo è quanto passa l’attuale temperie politica, con buona pace di coloro che continuano a sperare in tempi migliori: sembra invece che si vada verso il peggio!
Del resto il rigido fine settimana in riviera degli amministratori d’Italia (sic!) Pd ci consegna un quadretto proprio non idilliaco del partito dell’immaginario 40 per cento.
Da una parte i renziani incalliti e di convenienza, che applaudono e venerano il capo sperando in una promozione, poco importa se meritata o di comodo.
Dall’altra, e distante da qui, gli anti renziani che non vogliono restare in un partito saldamente occupato dagli uomini e dalle donne di provenienza democristiana e che intendono il “tana libera tutti” come l’inizio della scissione dal Pd per costruire un contenitore davvero rappresentativo della sinistra italiana. Cioè che paventano la fuoriuscita da un partito che non assegnerà ai leader della sinistra posti e ruoli nelle liste dei nominati alle prossime elezioni politiche.
A Rimini questa dinamica rischia di mettere a nudo una particolarità che forse è sfuggita a molti. Nel senso che a Rimini è la sinistra che ha infoltito le fila del Pd renziano. A Rimini chi non proveniva dal Pci, Pds, Ds è pressoché scomparso nel Pd, defenestrati, ammutoliti o rottamati. Non a caso a Rimini la segreteria politica è in capo a un rappresentante dell’area Cuperlo che di Renzi era antagonista nell’ultimo congresso.
Ora m’immagino gli attuali leader riminesi del Pd, che renziani per davvero non sono mai stati e che lo sono diventati solo per mero calcolo, quanto siano preoccupati di una possibile scissione “democratica” che li costringerebbe a scelte di campo esiziali per le loro stessa sopravvivenza.
Sarebbero finalmente costretti a scegliere tra l’abiura dell’appartenenza alla vecchia tradizione comunista dalla quale provengono, e l’adesione a un renzismo di maniera che ha di fatto rottamato la sinistra senza tanti complimenti. Sarebbero costretti a scegliere se continuare a fingersi renziani pur di fare carriera politica, oppure finalmente dichiararsi con coerenza ciò che sono: rappresentanti di quella sinistra camaleontica e incollata al potere amministrativo fatto di interessi e relazioni sociali, senza le quali avrebbe da tempo perso il controllo del Comune capoluogo e, di conseguenza, della fiera di Rimini o come diavolo si chiama adesso. Per dirlo in modo ancora più chiaro: costoro perderebbero ruoli, rappresentanze istituzionali, visibilità e indennità percepite a vario titolo.
Un bel dilemma per chi è abituato a vivere e a campare con la politica! E che pur di continuare a farlo, nelle ultime amministrative di Rimini, si è pure alleato con gli scampoli di una destra “civica” che solo pochi anni prima era definita impresentabile e inconciliabile con gli interessi dei lavoratori.
In questo caso il vento di garbino non c’entra!
Marino Straccialupi
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